Sono trascorsi trent’anni dall’assassinio del giudice Paolo Borsellino e dei cinque agenti della sua scorta (Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, prima donna a far parte di una scorta, e Claudio Traina). Era il 19 luglio 1992 quando, due minuti prima delle 17, in via D’Amelio a Palermo, dove vivevano sua madre e sua sorella Rita, venne fatta saltare una Fiat 126 imbottita di tritolo al passaggio del giudice.
Da allora Paolo Borsellino, oggi ancora senza giustizia, insieme al collega Giovanni Falcone è perlomeno diventato uno dei simboli più importanti nella lotta contro le mafie. A lui sono dedicati monumenti, targhe, scuole, strade, biblioteche, panchine. Una forte reazione della società civile che ha indubbiamente indebolito, ma non certamente annullato, lo strapotere della criminalità organizzata.
Da allora tanti anni di attività giudiziaria caratterizzata da numerosi processi, dagli appelli, dalle pronunce della Cassazione, dal mistero della sparizione dell’agenda rossa, il diario sul quale il giudice scriveva i suoi segreti, e dal clamoroso depistaggio delle indagini rimasto senza colpevoli dopo il verdetto che ha dichiarato prescritte le accuse rivolte a due dei poliziotti accusati di avere inquinato le indagini sulla strage e assolto un terzo agente. Il più grave depistaggio della storia repubblicana, è stato detto. A tutto ciò si aggiunge il giudizio, ancora in corso in secondo grado, a carico dell’ultimo superlatitante di Cosa nostra, il boss Matteo Messina Denaro.
Alcuni presunti esecutori materiali sono stati condannati. Ad esempio il pentito Vincenzo Scarantino, autoaccusatosi della strage, il boss Salvatore Profeta, condannato in via definita all’ergastolo, il proprietario dell’officina in cui è stata imbottita di tritolo la Fiat 126, Giuseppe Orofino, nove anni per favoreggiamento. la 126 usata come autobomba.
Il processo bis si è concluso il 18 marzo 2004 con 13 ergastoli: Totò Riina, Pietro Aglieri, Salvatore Biondino, Natale Gambino, Giuseppe Graviano, Carlo Greco, Giuseppe La Mattina, Gaetano Murana, Gaetano Scotto, Francesco Tagliavia, Lorenzo Tinnirello, Giuseppe Urso e Cosimo Vernengo. Il pentimento di Gaspare Spatuzza, che ha denunciato il depistaggio delle prime indagini, ha determinato la sospensione delle pene per Gambino, La Mattina, Murana, Profeta, Scotto, Urso e Vernengo.
Con il processo Borsellino ter, anno 2006, sono stati condannati all’ergastolo Mariano Agate, Salvatore Biondo, Salvatore Buscemi, Pippo Calò, Cristoforo Cannella, Giuseppe Farinella, Raffaele e Domenico Ganci, Filippo Graviano, Michelangelo La Barbera, Francesco e Giuseppe Madonia, Giuseppe e Salvatore Montalto, Bernardo Provenzano, Benedetto ”Nitto” Santapaola e Benedetto Spera. I due collaboratori di giustizia Antonino Giuffrè e Stefano Ganci sono stati condannati rispettivamente a 20 e 26 anni di carcere. Condannati anche tre pentiti: Giovanni Brusca (13 anni e 10 mesi), Salvatore Cancemi (18 anni e 10 mesi) e Giovanbattista Ferrante (16 anni e 10 mesi).
Con il Borsellino quater, definitivo nel 2021, ha visto le condanne all’ergastolo di Salvatore Madonia e Vittorio Tutino.
A distanza di trent’anni, l’occasione dell’anniversario invita a riflettere sull’evoluzione dell’organizzazione mafiosa, che ha certamente cambiato pelle rispetto a quella su cui indagavano Falcone e Borsellino, che comunque avevano profetizzato la metamorfosi con il salto verso i piani alti dell’economia e della finanza.