E’ scomparso a 79 anni a Napoli lo stimato giurista Giacomo De Cristofaro. Figlio di Filippo, classicista di rango, appartenente ad una nutrita famiglia di professionisti originari di Frosolone (Isernia), con nonno professore di latino e greco, è stato docente universitario alla Federico II, in stretta collaborazione con Francesco Paolo Casavola, all’inizio degli anni Novanta presidente della Corte costituzionale. In tempi più recenti è stato docente anche al Suor Orsola Benincasa.
Molto conosciuto e stimato a Napoli, lascia un vuoto incolmabile. Condoglianze alla moglie Luciana, ai figli Filippo, Francesco e Vania, ai nipoti Angela, Giuliana e Alessandro ed ai familiari tutti.
La cerimonia funebre si è svolta sabato 22 maggio nella chiesa di Santa Maria della Libera in via Belvedere 115.
Gennaro Carillo lo ha ricordato così sul Corriere del Mezzogiorno: “Credo sia giusto ricordare Giacomo de Cristofaro, congedatosi con quella discrezione estrema che è stato l’abito etico di tutta una vita. Giacomo era un romanista napoletano. Veniva dunque da una scuola autorevolissima, alla quale hanno guardato come a un modello studiosi di diritto romano di ogni parte del mondo. Scuola potente, sul piano accademico, scientifico e politico-culturale, capace di condizionare – nel bene e talora nel male – la formazione di generazioni di giuristi. Ma Giacomo era romanista in un senso più profondo e pieno. Per lui valeva quanto scrisse Riccardo Orestano: che non si può comprendere il diritto romano se non studiandolo storicamente”.
Carillo ricorda che De Cristofaro si è laureato con Antonio Guarino, poi allievo e collaboratore di Francesco Paolo Casavola. “Padroneggiava il latino e il greco come lingue di famiglia, eredità del padre Filippo, classicista di rango. Conosceva di prima mano le fonti. La storicità del diritto era per lui un dato ontologico”.
Efficace il finale: “Giacomo era soprattutto un uomo di un altro tempo. Metteva la sua conoscenza sterminata delle fonti e della letteratura critica a disposizione di chiunque gli chiedesse un consiglio. Bastava fargli una domanda e lui ti apriva un mondo e ti ci accompagnava col passo sicuro di uno sherpa. Era la personificazione, l’idea platonica, di una generosità antica che non ha corso legale nell’accademia come nella vita. Largheggiando in quel dono, Giacomo mise tuttavia se stesso in ombra, pubblicando relativamente poco rispetto a quello che avrebbe potuto e saputo fare: Enrique Vila-Matas lo collocherebbe tra i Bartleby, gli scrittori che si censurano fino al limite dell’autosovversione. Ma la sua presenza, il suo colloquio arricchente sono riconoscibilissimi in opere altrui che senza di lui non sarebbero state scritte o sarebbero state senza dubbio peggiori. Era remoto da questo tempo, Giacomo. Da una stagione dell’università e della ricerca, in cui la dimensione quantitativa e le logiche della valutazione stanno allevando legioni di polli di batteria. Il valore di Giacomo si sottrae, invece, a ogni quantificazione. Un magistero non misurabile con il metro del presente. Ecco perché la sua non è solo la morte di un romanista napoletano ma il segno di un mondo e di una Napoli che finiscono. E, proprio perché in molti gli devono molto, sarebbe doveroso raccoglierne e ripubblicarne le pagine sparse”. Un ricordo davvero centrato e di altissimo profilo.