Addio Paolo Rossi, icona di una generazione

Quel geniale gol di rapina nella difesa avversaria, che mise in ginocchio il Brasile, è negli annali del calcio. Quella sorprendente tripletta, nella stessa partita, che ha fatto piangere l’intera nazione carioca – al pari del gol dell’italo-uruguaiano Ghiggia nei mondiali del 1950 – costituisce un ricordo incancellabile per milioni di italiani.

Indossava la maglia numero 20 e questo 2020, amaro destino, continua a infliggerci ferite. Dopo il mesto addio a Maradona, ora siamo a piangere il più “nazionale” dei simboli calcistici, quel Paolo Rossi, toscanaccio con il sorriso da vicino di casa, “un ragazzo come noi” per dirla con gli splendidi versi di Antonello Venditti. L’attaccante puro che ci ha regalato il più bel mondiale azzurro, l’italianissimo trionfo di un gruppo coeso e ingegnoso in una caldissima e irripetibile estate segnata da scaramanzia e urli liberatori, bandiere e caroselli. Italianità ritrovata in ogni angolo del mondo.

Quell’Italia calcistica s’inserì in un Paese che usciva dalle stagioni buie del terrorismo e della violenza comune degli anni Settanta. E aveva voglia di voltare pagina. Quei giocatori-operai incarnarono perfettamente la voglia di riscatto: partirono per la Spagna nella diffidenza più totale e tornarono da eroi. Il pragmatismo silenzioso di Scirea e di Zoff, la forza muscolare di Gentile, fisicamente provata da tanti avversari, l’eleganza funambolica del “brasileiro” Conti, la bellezza italica di Cabrini, l’urlo di Tardelli come fosse un quadro di Munch, quel gol impossibile di “Spillo” Altobelli. E poi lui, quel giocatore “normale” e mingherlino, dotato di un fiuto da gol come pochi, capocannoniere di quel mondiale e pallone d’oro nello stesso anno.

Quel gruppo capitanato dal “mago” Bearzot, con la benedizione finale del miglior presidente della Repubblica che abbiamo avuto, Sandro Pertini, e la “voce” di Nando Martellini, illuminò un’Italia che tornò a credere in sé stessa, la rese coesa e felice, segnando un’intera generazione. Nello stesso tempo abbiamo riconquistato la normalità, con un presidente e un allenatore che si sfidano a scopone su un aereo, e siamo diventati tutti straordinari campioni del mondo.

“Pablito”, prematuramente scomparso, resterà icona di un calcio che purtroppo non c’è più.

(Domenico Mamone)

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