Aleggia l’idea della patrimoniale

C’è un’ideologia da “vendetta sociale” dura a morire – tra testi sacri del pensiero unico, sagome venezuelane e romantiche riesumazioni di Robin Hood – nelle proposte di tassa patrimoniale che riemergono periodicamente in parlamento. Ora ce n’è una, contenuta in un emendamento, firmata dalla sponda più “sinistra” del governo, alcuni esponenti di Leu e del Pd, in testa Nicola Fratoianni e Matteo Orfini, che tra l’altro sta alimentando più di qualche mal di pancia nella stessa maggioranza. C’era proprio bisogno di aprire questo nuovo dibattito?

Mentre la maggior parte degli italiani è in forte sofferenza per la lunga emergenza Covid e molti economisti ritengono che il nostro Paese non ripartirà finché non saranno tagliate decisamente le tasse, specie alle imprese, qualche esponente della maggioranza coglie l’occasione per attuare quella logica della “redistribuzione economica”, che in fondo equivale a togliere a chi si ritrova beni immobili, spesso ereditati (e non per questo dispone di stipendi da favola) o abbia “il torto” di avere il fiuto per gli affari e voglia di lavorare più di chi preferisce adattarsi sul reddito di cittadinanza. Insomma, una proposta che non punta alla crescita, semmai alla decrescita. Tra l’altro nessuno è in grado di assicurare che i soldi forzatamente prelevati nelle tasche dei benestanti finiscano nella disponibilità degli indigenti. Anzi, il rischio reale – com’è spesso avvenuto – è che i soldi dei cittadini versati all’erario contribuiscano alla perpetuazione dei privilegi dei pochi.

Gli amministratori di condominio, che hanno il polso della situazione certamente più di qualche politico imbevuto di ideologia, raccontano che la maggior parte di coloro che hanno difficoltà a pagare le quote condominiali, per paradosso risiede nei quartieri benestanti, in quanto si tratta per lo più di figli o nipoti di professionisti, spesso disoccupati, che non riescono a confermare il tenore di vita dei genitori o dei nonni. Insomma, il cosiddetto “ascensore sociale” da anni s’è fermato: se un tempo i figli raggiungevano posizioni professionali ed economiche migliori di quelle dei genitori – si pensi a quanti eredi di contadini siano diventati medici o avvocati, soprattutto nel Mezzogiorno – oggi la situazione spesso si capovolge, con figli di professionisti che restano a lungo disoccupati o sono costretti a trasferirsi all’estero.

Certo, la Costituzione, all’articolo 53, richiama il criterio della progressività. Cioè il contribuente è giustamente tenuto a versare le tasse in modo proporzionale all’aumentare della propria possibilità economica (l’imposta cresce con l’aumentare del reddito). Ma ciò già avviene ogni volta che si versano gli oboli con la dichiarazione dei redditi. E la Costituzione non prevede certo la “ipertassazione”, cioè l’utilizzo delle tasse come bancomat perenne. Gabelle, spesso, applicate su redditi già tassati. Non dimentichiamoci che siamo tra i Paesi con la più alta percentuale di tassazione al mondo, al pari di servizi da terzo mondo.

Semmai non si comprende perché nessun governo intervenga seriamente per combattere la vera piaga, quella dell’evasione fiscale, che vale annualmente tra i 100 e i 150 miliardi di euro. Idem dicasi per le multinazionali del settore tecnologico, quelle che hanno accumulato ulteriori miliardi in questo periodo di distanziamento virale, che continuano a pagare quote risibili rispetto ai fatturati. Tra l’altro al governo, in questo momento, ci sono proprio i partiti firmatari della proposta di patrimoniale e c’è da chiedere loro perché non intervengano seriamente su questi “buchi neri”.

La nuova imposta, secondo le intenzioni dei promotori, dovrebbe colpire i patrimoni di valore superiore ai 500 mila euro, nei quali è compresa la prima casa, oggi esentata dalla tassazione Imu. Rientrano nel patrimonio anche le case possedute fuori dall’Italia.

Tale quota coinvolgerebbe una buona fetta di italiani, perché tra casa di domicilio, abitazione nel paese d’origine, un po’ di risparmi e qualche altro bene si fa presto a raggiungere tale cifra. Ad esempio, non eviterebbero la nuova imposta i proprietari di appartamenti medi in alcuni quartieri della Capitale, dal Flaminio a Trionfale, dal Salario a Prati. Per non parlare del centro storico, dove alle volte basta un loft per arrivare a quella cifra.

La proposta, nel dettaglio, è di abolire l’Imu – che oggi non investe le prime case – e sostituirla con un prelievo dello 0,2 per cento sui patrimoni (immobili e beni mobili come azioni, fondi comuni, conti correnti, ecc.). Imposta che salirebbe allo 0,5 per cento per patrimoni oltre il milione di euro. La nuova tassa partirebbe, quindi, da almeno mille euro l’anno, per molti l’equivalente di uno stipendio.

In conclusione, appare ormai chiaro l’orizzonte: dopo gli aiuti a pioggia, occorre fare cassa. Ed il bancomat è sempre lo stesso: le tasche degli onesti che lavorano.

(Domenico Mamone)

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