Astensione alle stelle, serve una svolta

L’astensionismo registrato nella tornata elettorale regionale in Lazio e Lombardia ha avuto proporzioni davvero dirompenti.

Se a Roma ha votato solo un elettore su tre e a Milano uno su due, è del tutto evidente che la credibilità delle forze politiche è ormai fortemente incrinata.

Il centrodestra ha perso quasi un milione e mezzo di voti rispetto a settembre, ma è soprattutto il centrosinistra ad essere stato colpito pesantemente dall’astensionismo.

Con tali dati parlare di vittoria di uno schieramento o di un candidato è davvero assai relativo se non addirittura risibile; siamo piuttosto davanti a una voragine che rischia di mettere in crisi la struttura della rappresentanza e la stessa democrazia.

Con il crollo dell’affluenza alle urne non solo chi viene eletto rappresenta una parte assai ridotta di cittadini, ma avanza il rischio d’involuzioni gravi nel sistema democratico con la progressiva diminuzione del voto di opinione e il pericolo di derive autoritarie.

Occorre allora a mio avviso analizzare le ragioni che ormai spingono tanti cittadini a rinunciare al diritto di voto.

Le forze politiche sicuramente non sanno o non vogliono interpretare i bisogni della stragrande maggioranza della popolazione che manca a questo punto di diritti fondamentali quali quelli della tutela della salute, del lavoro, della casa, di un sistema scolastico efficiente, di trasporti adeguati e di servizi alla persona che diventano sempre più precari.

La nostra Carta Costituzionale è stata scritta settantacinque anni fa e la politica non riesce ad attuarne neppure i principi fondamentali.

In meno di trent’anni i tedeschi sono riusciti a unificare le due Germanie mentre in Italia non ne sono bastati centosessantadue per dare al Mezzogiorno gli stessi diritti e le medesime condizioni di vita.

Questa politica poi sta dimostrando tutta la sua inconsistenza sul piano diplomatico in un qualche sia pur minimo tentativo di risolvere il conflitto scatenato in Ucraina da Putin.

L’astensionista fondamentalmente è colui che non accetta la falsificazione della verità che troppo spesso è il metodo con cui si conducono le campagne elettorali.

Si capisce bene che una tale classe dirigente non può che continuare a perdere consensi.

Mentre il disimpegno cresce proprio nelle consultazioni elettorali regionali, la paradossalità è poi nel fatto che l’attuale governo insista nel proporre un progetto di legge di autonomia differenziata che prevede maggiori poteri a livello locale con tutti i problemi che abbiamo già avuto ad esempio nell’autogestione di servizi essenziali quali quelli sanitari.

La sensazione è che i cittadini si allontanino dalle urne perché non credono di poter incidere con il voto nella soluzione dei problemi del Paese che sono l’ultimo dei pensieri di forze politiche che guardano piuttosto alla costruzione del consenso elettorale e alla gestione del potere in maniera sempre più verticistica e autoreferenziale.

Se i sistemi elettorali non consentono una reale scelta ai cittadini perché le candidature vengono decise dagli apparati nazionali dei partiti perfino nelle elezioni amministrative secondo logiche di spartizione del potere, come facciamo poi a non capire che la gente diserta le urne?

I partiti sono sempre più vicini alla difesa dei privilegi del mondo della finanza e dei ceti sociali abbienti piuttosto che adoperarsi per garantire a tutti una qualità della vita accettabile.

È in queste crepe che si annida la disaffezione per la politica, ma soprattutto nella sua incapacità di definire progetti credibili per il futuro limitandosi unicamente a tamponare, spesso senza alcuna razionalità, le difficoltà immediate.

Lo scollamento tra gli apparati dei gruppi politici e la base è così profondo che impedisce ormai ogni tipo di partecipazione reale non solo ai cittadini ma perfino ai loro iscritti.

Le stesse primarie si pilotano con il gioco delle tessere o con forme di cooptazione discutibili e pertanto, anche a livello allargato, diventano una pura finzione.

In Molise tra non molto saremo chiamati a rinnovare il Consiglio Regionale.

Leggiamo da più parti che anche da noi i candidati Presidenti della Giunta e quelli al Consiglio verranno sicuramente scelti dai vertici dei partiti a livello nazionale e locale senza alcuna forma di confronto con quei cittadini di cui si auspica la partecipazione al voto, ma non all’individuazione delle persone cui dovrebbero affidare la rappresentanza delle loro esigenze nelle istituzioni.

Più di una volta i molisani hanno accettato e votato alle elezioni politiche candidati del tutto estranei al territorio regionale che erano imposti dai partiti in un puro gioco di potere come ha dimostrato poi il loro disinteresse per i problemi reali dei cittadini.

Ciò avrebbe dovuto insegnarci qualcosa e invece continuiamo a far calpestare la nostra dignità di elettori da decisioni sempre meno condivise dalla base.

Costruire un’alternativa politica in Molise significa finalmente immaginare un raggruppamento politico che pensi a discutere e risolvere le questioni della collettività in confronti aperti con i cittadini cui bisogna affidare le decisioni in forma assembleare quando richieste dalla maggioranza degli iscritti.

Di sicuro questo idealismo cui rimango tenacemente legato non m’impedisce di osservare che tutte le formazioni politiche esistenti vanno nella direzione di un verticismo molto pericoloso non solo per la democrazia, ma soprattutto per la soluzione dei gravi problemi che abbiamo in regione.

Ho indicato in maniera dettagliata le linee di un possibile cambiamento già dal 2021 in un articolo pubblicato su Primo Piano Molise e intitolato “Costruire un’alternativa politica nel Molise”.

Certamente non possiamo arrenderci davanti alla crisi di espressione di rappresentanza a qualsiasi livello istituzionale dove le decisioni vengono prese sempre più per decreto dal potere esecutivo piuttosto che dagli organismi assembleari eletti.

La soluzione alla catastrofe della democrazia cui stiamo assistendo non può in ogni caso essere ricercata mai nell’astensionismo anche quando questo diventa occasionalmente elemento di contrasto a una gestione politica inaccettabile delle questioni sociali.

Non possiamo ignorare che anche la diserzione delle urne ha contribuito a dare il potere a chi lo esercita per motivi di bieco individualismo o corporativismo sia nelle istituzioni nazionali che regionali e comunali.

Atti movimentisti di contrasto alle logiche di una sorta di plutocrazia finanziaria a livello nazionale e di immorale clientelismo in quello locale devono necessariamente accompagnarsi a un’azione di elaborazione pragmatica per creare un soggetto politico indirizzato alla costruzione di una democrazia partecipata e ad una proposta di realizzazione dei valori dell’universalismo, dell’internazionalismo e dell’egalitarismo.

L’impegno deve percorrere allora una strada propositiva capace di riformare le leggi elettorali, di rafforzare il potere decisionale del Parlamento e dei Consigli regionali e di chiamare in causa sempre più il popolo attraverso forme di coinvolgimento diretto da affiancare a quelle di tipo rappresentativo.

In regione abbiamo ancora delle settimane per riflettere sulle modalità di partecipazione e di decisioni condivise con i cittadini da mettere in campo per rendere credibili elezioni che altrimenti ripercorrerebbero le strade dei pacchetti di voto clientelari che sono sicuramente la negazione del voto di opinione e di una vera democrazia.

Di sicuro chi si è seduto per anni in Consiglio Regionale senza portare alcun contributo in termini concreti di elaborazione progettuale allo sviluppo del territorio, ma anzi creando seri problemi alla qualità della vita della collettività, dovrebbe avere il buon senso di non rivendicare più una candidatura tornando a vivere da semplice cittadino.

Se il Molise deve continuare a esistere, abbiamo davvero bisogno di una svolta capace di portare in Consiglio Regionale persone oneste, competenti e capaci di disegnare il futuro culturale, economico e sociale di un territorio che non può essere lasciato più all’improvvisazione o peggio ancora all’inefficienza politica.

(Umberto Berardo)

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