Riportiamo di seguito una delle ultime interviste che il popolare vignettista molisano Benito Jacovitti concesse a “Forche Caudine”.
Cow-boy, gangster, giornalisti, pirati: questi i protagonisti dei disegni di Benito Jacovitti, disegnatore nato a Termoli, vissuto a Firenze e residente attualmente a Roma. I ricordi di un’infanzia vissuta in Molise fra tanta miseria, in cui doveva costruirsi i giocattoli, crearli
con le sue mani, dell’unico cinema di Termoli dove vedeva films di avventura, sono tuttora vivi nella sua memoria ma soprattutto nei suoi disegni… e la risata nasce spontanea. Siamo andati a trovarlo.
Ci parli della sua infanzia vissuta in Molise.
“Sono nato a Termoli dove ho vissuto per sei anni. La mia famiglia era molto povera, mio padre faceva il ferroviere e l’operatore cinematografico per passione durante il tempo libero. Mia madre era albanese, infatti intorno a Termoli ci sono diversi centri, come Ururi, in cui vivono albanesi che conservano tutte le loro tradizioni. A casa nostra infatti si parlava l’albanese anche se oggi l’ho totalmente dimenticato. Mia madre ebbe altri bambini oltre me i miei due fratelli, ma tutti morirono a causa di svariate malattie. Ricordo che in quel periodo mancava l’acqua, e siccome eravamo troppo poveri per permetterci di comprarla alla stazione per quattro soldi al fiasco, compravamo dei barili per quattro lire l’uno, anche se non si poteva bere. Si rischiava continuamente di prendere il tifo o qualche altra malattia, forse proprio per questo ho un ricordo negativo di Termoli”.
E’ più tornato in Molise?
“Ci sono tornato nel ’49 nell’immediato dopoguerra, e poi non più, nonostante amici e conoscenti mi invitino continuamente”.
Si è trasferito prestissimo a Firenze e prestissimo ha incominciato a collaborare col ‘Brivido’; come è nata la passione per il disegno e, quando?
“Ho frequentato una scuola d’arte nelle Marche, nel ’39, a sedici anni, sono andato a Firenze dove ho incominciato a lavorare col ‘Brivido’, un giornale umoristico. Già a Termoli, da bambino, andavo per le strade a disegnare sui mattoni più grandi i personaggi dei films di avventura che vedevo nell’unico cinema del posto. Ricopiavo le scene costruendomi col cartone interi paesaggi, con i più piccoli particolari.
Essendo la mia famiglia abbastanza povera, costruivo tutti i miei giocattoli col cartone, persino delle pistole che sembravano sparare grazie ad un meccanismo fatto con un elastico. A sei anni ho mandato una vignetta ad un giornale fascista per bambini, a sette un disegno umoristico alla ‘Domenica del Corriere’, entrambi mi pagarono una e due lire. A Firenze, quando ancora frequentavo la scuola, lavoravo dalle quattro di mattina fino alle otto, poi andavo a scuola e di pomeriggio studiavo.
Ho iniziato anche le università, ma a vent’anni mi catturarono i tedeschi. Mi salvò un prete che mi riconobbe perché ero già abbastanza famoso come disegnatore, nonostante avessi la divisa tedesca”.
Quali sono i suoi personaggi e come sono nati?
“Ho illustrato la storia di Pinocchio più volte ed ho inventato centinaia di personaggi: la signora Carlo Magno, Peter lo sceriffo, Tex revolver. Amo i personaggi del passato, quelli di avventura come pirati, gangster e cow-boy. Nell’illustrarli però lascio la fantasia ed è proprio così che sono nati Cocco Bill, il cow-boy Bullo, Tom Fiaccanaso, un giornalista. I miei personaggi sono finiti sulle magliette dei mondiali, per la pubblicità di più prodotti alimentari”.
Progetti per il futuro?
“Una volta lavoravo otto-nove ore al giorno, adesso circa la metà. Attualmente sto facendo un lavoro per i miei libri di medicina: devo illustrare cinquanta rami della medicina con i miei personaggi, unico problema è che da quando ho iniziato mi sembra di avere tutti i tipi di malattie. Negli ultimi due anni a questa parte poi pennini e matite mi fanno impazzire, non sono più buoni come una volta. Più si va avanti e più peggiora la qualità della vita in generale”.
Cosa consiglia ai giovani che vogliono seguire la sua strada?
“A parte il fatto che è cambiato il modo di lavorare, penso che oggi ci si serva troppo di strumenti tecnici e poco della fantasia. Anni fa Walt Disney, Hanna & Barbera chiamavano tantissimi disegnatori perché realizzassero le varie scene dei cartoni, con i minimi movimenti. Adesso invece si disegna la scena iniziale e quella finale, a quelle centrali ed al movimento ci pensa un cervello elettronico. Ai giovani di oggi consiglio di tornare indietro, ossia di usare solamente: testa, carta e matite. Bisogna tornare a fare le cose come una volta, magari organizzandosi in gruppi di tre o più persone”.
E’ vero che il fumetto è in crisi?
“C’è una grossa crisi del fumetto non solo in Italia ma anche in Francia e in Inghilterra. Dipende principalmente dal fatto che per i bambini non si fanno più fumetti, tranne Topolino, mentre per gli adulti che amano il fumetto ci sono solo riviste fatte da gruppi di amatori, i quali prendono materiale dall’estero, soprattutto dall’Argentina dove ci sono dei veri maestri. Io amo il genere di disegno che si faceva sui primi del ‘900, infatti le mie tavole si ispirano a quel periodo. Se devo disegnare un’automobile la faccio come se ne vedevano allora, perché è più buffa, fa ridere. Mi
piace scherzare non solo sugli uomini ma anche sui passeggeri e sugli oggetti. Non sono un disegnatore satirico perché la satira fa solo sghignazzare la gente, a me piace far ridere come fa un clown con bambini e anziani. La risata deve nascere spontanea, aperta e vivacissima”.
Un sogno nel cassetto particolarmente importante?
“Vivere abbastanza per realizzare mille progetti”.
Quali riconoscimenti o soddisfazioni a livello professionale l’hanno emozionata?
“Ultimamente ho saputo che tre giovani hanno realizzato le loro tesi di laurea su di me. Di premi ne ho ricevuti tanti: la Palma d’oro di Bordighera, uno su Pinocchio nel ’65, un altro a Genova sul fumetto e di livello internazionale”.
Ha mai avuto paura della concorrenza?
“Nessuna. Molta gente mi ha copiato, ma l’ho lasciata fare, non ho mai avuto alcuna voglia di litigare. In questo probabilmente rispecchio una caratteristica tipicamente molisana: il voler vivere tranquillo, così come non mi piace uscire fra la confusione della gente, il che mi porta a starmene volentieri a casa”.
Qualche altro aspetto del suo carattere?
“Ho sempre regalato i miei disegni e mandato soldi di alcune mostre ad associazioni che aiutano bambini abbandonati e non vedenti. Ultimamente ho contribuito ad aumentare i fondi per la ricerca sull’Aids, perché dobbiamo fare qualcosa per sconfiggere una malattia così terribile”.
(Angela Muccino)
© Forche Caudine – Vietata la riproduzione
Nel 2015 Forche Caudine ha organizzato a Roma, nel quartiere Garbatella, una mostra con oltre 100 gigantografie dei personaggi di Jacovitti e altri materiali.
DAL SITO UFFICIALE HTTP://WWW.JACOVITTI.IT/
Benito Franco Jacovitti nasce a Termoli, in provincia di Campobasso, il 9 marzo 1923.
La madre, Elvira Talvacchio, aveva lontane origini albanesi, tanto che fino all’eta’ di sei-sette anni Jacovitti parlava perfettamente albanese, che unito alla già fervida fantasia di bambino e al dialetto molisano, lo faceva contare fino a 10 cosi’: onza, donza, trinza, quaraqua, rinza melaga, dunza, rif,raf e rof.
Il padre Michele Iacovitti (notate che la I e’diventata J solo per un vezzo artistico) faceva il ferroviere ed era affascinato dalle figure politiche forti (da cui i nomi assegnati al figlio per fortuna evitando Adolfo), come secondo lavoro faceva l’operatore in una sala di proiezione cinematografica, cosa che regalò al piccolo Jac, la possibilità di vedere centinaia di films. I western erano quelli preferiti.
Aveva due fratelli Maria e il piccolo Mario, e dato che erano abbastanza poveri, lui da bravo fratello maggiore costruiva loro i giocattoli, con forbici, ago e filo creava pupazzi di stoffa, e poi trenini, casette, automobiline.
A sei anni iniziò a disegnare le prime storie a vignette sui lastroni di pietra che ricoprivano le strade di Termoli. La gente si fermava a guardare. Erano i suoi primi ammiratori.
A 8 anni Benito, e tutta la famiglia, lasciò Termoli per Ortona a Mare, poi Macerata, dove frequentò le elementari…
Infine giunse a Firenze, dove frequentò la scuola d’arte e il liceo artistico. Ed è proprio qui al liceo di Firenze che gli venne affibbiato il soprannome di “Lisca di pesce”, tanto era alto e magro, e con una lisca di pesce rossa firmerà quasi tutte le sue tavole.
Sempre al liceo artistico di Firenze disegno’le prime vignette per i suoi compagni,
Franco Zeffirelli era uno di questi; quindi fece le sue prime caricature, prima per i
soldati tedeschi, e alla fine della guerra, per i soldati americani.
Nel 1939 pubblicò, presso la casa editrice torinese “La Taurina”, l’unica storia seria della sua carriera: ‘L’eroe delle cinque giornate’ sull’insurrezione popolare del 1848 milanese. Iniziò a collaborare con il settimanale umoristico fiorentino ‘Il Brivido’, poi con il periodico satirico ‘Il Travaso’, e soprattutto con il famoso giornale per ragazzi ‘Il Vittorioso’ (dal 1939 al 1967).
A Firenze Jacovitti visse e subì, come tutti gli italiani, la seconda guerra mondiale, e quando c’erano i bombardamenti lui non andava nei rifugi, ma sui terrazzi dei palazzi, per vedere le bombe cadere, sentirne il sibilo, ascoltarne il rumore assordante, anche se aveva una paura tremenda, ma tant’é questo era Jac.
Solo un volta si nascose in un rifugio, una cantina, e passò tutta la notte nascosto sotto un pianoforte. Da quella postazione protetta vide due bellissime gambe, delle quali si innamoro’. Erano le gambe di Floriana Jodice, quella che divenne poi sua moglie e da cui ebbe una figlia: Silvia.
Nel 1946 si stabilì definitivamente a Roma, qui conobbe e lavorò con personaggi come Marchesi, Metz, Fellini, Mosca, Steno. Facevano i ritratti, le caricature per gli americani. Erano i ragazzi del ‘Bertoldo’ e del ‘Marc’Aurelio’, i giornali di satira di quei tempi.
Così la sua carriera iniziata a Firenze, continuò nella Capitale. Qui, oltre a continuare a collaborare con ‘Il Vittorioso’ proseguì la realizzazione del ‘Diario Vitt’ per la casa editrice A.V.E. Dal 57 al 67 lavorò al supplemento ragazzi de ‘Il Giorno’, ed è qui che il 28 marzo del 1957 nacque Cocco Bill. Per tutti gli anni settanta e fino al 1982,
Jacovitti collaborò con ‘Il Corriere dei Ragazzi’ e con il ‘Corriere dei Piccoli’. Nel 1973 lavorò per Linus, chiamato dall’allora direttore Oreste del Buono. Ma se ne andò presto perché, oltre alle proteste dei vari gruppi dell’estrema destra e sinistra che aveva preso in giro nella sua storia e che lo avevano minacciato di morte, in una vignetta, al posto della carta igienica, disegnò una copia della rivista che lo aveva assunto da pochi mesi. La vignetta fu censurata, Jac non amava le censure, e se ne andò.
Ma qualcosa di simile era gia’successo quando scrisse ‘abbasso il Papa’ al bordo di una vignetta per una campagna elettorale della D.C. Aveva poi nascosto la frase sotto il nero, ma al momento di dare il colore, che allora si dava sul retro la scritta apparve in controluce. Non fece più la campagna elettorale. Era il 1948 ed erano schierati da una parte la Democrazia Cristiana, dall’altra il Fronte Democratico Popolare delle sinistre.
Jacovitti lavorò per ‘l’Europeo’, fece vignette per ‘Il Tempo’, ma anche per ‘il Male”, Cuore’ e ‘Tango’.
Illustrò il Pinocchio di Collodi, un personaggio molto amato da Jacovitti, tanto da illustrarlo tre volte. Due volte nelle illustrazioni a commento del racconto ed una storia a fumetti. Gli venne proposto nel 1977 di realizzare ‘Il kamasultra’ con i testi di Marcello Marchesi. La cosa lo incuriosì e accettò. Ma fu costretto a lasciare il Diario Vitt, perché disegnare soggetti a tema erotico non era certo cosa che poteva far piacere alla casa editrice cattolica, ovviamente.
E neanche alla moglie che lo sgridò moltissimo.
Ma Jac continuò imperterrito e iniziò la sua collaborazione con Playmen.
Realizzò poi negli anni 80 ‘il Kamasutra spaziale’.
Lavorò molto nel campo della pubblicita’ ne ricordiamo alcune: i gelati Eldorado con Cocco Bill, la Facis con Pecor Bill, L’Olio Teodora con Zorry Kid, i salami Fiorucci, Il gatto Maramio, per i formaggini Mio. Il gioco dell’oca per l’Enel… Le sue ultime collaborazioni furono per ‘il Giornalino’ delle Edizioni Paoline.
Fu insignito dell’onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana nel dicembre 1994 dal Presidente Oscar Luigi Scalfaro.
Parlare dei personaggi di Jacovitti e’un compito arduo, sono tanti e tutti importanti. Ci sono i 3 P (Pippo Pertica e Palla) ai quali era affezionatissimo perché gli ricordavano i suoi compagni di scuola e Pippo in particolare , con cui si identificava.
Poi Cip il poliziotto, il Pirata Gamba di Quaglia e Battista l’ingenuo fascista, Oreste il guastafeste e Gionni Galassia. Poi ancora Giuseppe, l’unico personaggio muto di Jacovitti, Zorry Kid e Kid Paloma. Elviro il vampiro, il giornalista investigatore Tom Ficcanaso e Baby Tarallo. Pape’ Satan e Aleppe, tre assurdi diavoloni. Il marziano Microciccio Spaccavento. Zagar (Macchia nera in versione jacovittesca). La terribile vecchietta, la Signora Carlomagno. E ancora l’indiano Occhio di Pollo, Giacinto il Corsaro dipinto, il bandito Pasqualone e la strega Filippo. Lolita dolcevita, teenager anni 60, il diavoletto Pop Corn e Jac Mandolino, e ancora tanti tanti e tanti, ma il suo personaggio preferito, il suo alter ego, la proiezione massima delle fantasie jacovittiane è senza dubbio Cocco Bill. Jacovitti amava il lontano west, e aveva infatti una collezione di armi (dal fucile Winchester alle colt)che spesso usava con proiettili a salve per spaventare il gatto di casa, la moglie, la portiera, il postino. Indossava il cappellone, metteva le pistole nei foderi ed usciva per un incontro alla ‘mezzogiorno di fuoco’ con il suo amico disegnatore Nevio Zeccara. Si incontravano nella piazzetta vicino casa e chi sfoderava le armi per primo vinceva. L’arma di Jacovitti era il pennino Perlier (non usava rapidograph o altri ‘strumenti complicati’ come li chiamava lui) una boccetta di inchiostro nero e un foglio di carta porosa. Impaginava, scriveva i testi, stendeva i chiaroscuri, faceva tutto da solo. Soltanto i colori erano dati da un suo amico e collaboratore, Alfonso Castellari. Iniziava a riempire il foglio, già impaginato, dal basso a sinistra verso l’alto, senza sapere quello che sarebbe successo, andava a braccio.
Aveva in mente l’idea di una storia, e poi la storia si realizzava mentre veniva disegnata. Contro la tradizione che predicava la progressione forzata soggetto – sceneggiatura -matita – china, lui aggrediva il foglio direttamente con il pennino, con il tratto, senza ripensamenti, proprio di chi sa fare, ma soprattutto di chi vuol fare. Jacovitti è stato paragonato a Esher e a Bosch. In Francia lo chiamano il Disney europeo. Un maestro dell’assurdo, un ‘estremista di centro’, che ha sempre dimostrato grande libertà e indipendenza dal potere, principale oggetto dei suoi sberleffi. Un aggressivo burlone capace di scherzare su tutto e su tutti. Un disegnatore e sceneggiatore che ha giocato con il linguaggio come un bambino che prende a martellate il trenino nuovo che gli ha regalato papà. Un funambolo in equilibrio sulla matita. Maestro di grafica, di follia universale, di nonsenso, di libertà, di sommessa anarchia. Creatore di un universo originale e irripetibile dove tutto è possibile. Un uomo dal cuore grande, che si definiva un clown, e che riusciva a far ridere anche quando era triste. Un maestro.
E a noi piace pensare che il 3 dicembre 1997, lui, insieme alla sua amatissima moglie Lilli, si sia nascosto in mezzo ai suoi mille personaggi, e che da lì ci guardi divertito, quando ci perdiamo nella lettura delle sue affollatissime tavole. Si dovrebbe aggiungere un altro personaggio alla sua galleria e cioè Jacovitti. Infatti Benitone sembra uscito dalla sua stessa matita. Alto grande e grosso, con il sigaro in bocca, e con l’espressione di chi l’ha combinata grossa. Amava fare scherzi terribili e cattivi, raramente parlava sul serio, e giocava sempre con tutti, soprattutto con quelli che non capivano che stava giocando. Amava la musica jazz, il jazz caldo quello di Armstrong, i suoi strumenti preferiti erano il banjo e la tromba. Non sapeva suonare ma si compro’ una batteria. Così mentre disegnava, ascoltava musica jazz e teneva il tempo battendo con il piede destro il pedale del charleston. Liberale vecchio stampo, ma anarchico nelle idee e nei comportamenti, dissacratore e dispettoso. Allergico alle censure da qualsiasi parte venissero. Pigro da morire, usciva solo con la sua fantasia, e faceva dei viaggi bellissimi.
Il suo mondo fisico era grande 20 metri quadri, (in pratica viveva nel suo studio) ma il suo mondo interiore era gigantesco oltre i limiti dell’universo.
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