Elezioni / Il sogno infranto degli ultraliberisti



Tra le ultime notizie di questa infinita campagna elettorale, è certamente degno di attenzione e di riflessione lo scandalo che rischia di ridimensionare le velleità della lista “Fare per fermare il declino”. Non certo per le influenze che la vicenda avrà sui risultati elettorali, quasi certamente limitate. Quanto piuttosto per l’ennesima screziatura che mortifica la politica, colpendo in particolare chi si erge a paladino di onestà e meritocrazia e, nel contempo, coloro che anche in buona fede ripongono la propria speranza (dura a morire) o il loro impegno in liste comunque affastellate in pochi mesi e, per recuperare i gap ideologici, pompate con il marketing come in quei viaggi finalizzati a vendere pentole.
I fatti sono noti: l’economista Luigi Zingales, uno dei fondatori di “Fare per fermare il declino”, ha clamorosamente rassegnato le proprie dimissioni dal movimento politico ultra-liberista ad appena una settimana dal ricorso alle urne. Lanciando una pesante accusa: il giornalista Oscar Giannino, candidato alla presidenza del Consiglio nella sua stessa lista, avrebbe falsificato il proprio curriculum accademico.
Lo stesso Zingales, in un lungo comunicato su Facebook, racconta: “Quattro giorni fa, per caso, ho scoperto che Oscar Giannino ha mentito in televisione sulle sue credenziali accademiche, dichiarando di avere un Master alla mia università (Zingales insegna a Chicago ndr) anche se non era vero. Anche la sua biografia presso l’Istituto Bruno Leoni, ora prontamente rimossa, riportava credenziali accademiche molto specifiche e, a quanto mi risulta, false. Questo è un fatto grave, soprattutto per un partito che predica la meritocrazia, la trasparenza, e l’onestà. Ciononostante, il fatto per me ancora più grave è come questo brutto episodio è stato gestito. In una organizzazione che predica meritocrazia, trasparenza, ed onestà, la prima reazione avrebbe dovuta essere una spiegazione di Giannino ai dirigenti del partito, seguita da un chiarimento al pubblico. Invece Oscar si è rifiutato, nonostante io glielo abbia chiesto in ginocchio. Dopo aver provato, per quattro giorni, a fare di tutto per cambiare le cose, non mi resta che una via di uscita: dimettermi”. E aggiunge: “Anche le idee più sane hanno bisogno di gambe sane”.
Zingales ha insomma rifiutato la logica che i panni sporchi si lavano in famiglia. Anche perché, come precisa nella “lettera aperta”, ha coinvolto nell’avventura di “Fare per fermare il declino” molti conoscenti.
Interessante un altro frammento delle sue argomentazioni: “In un’Italia in cui ogni giorno un amministratore delegato o un politico finiscono in galera per corruzione, una bugia in televisione può sembrare un errore veniale. Per me non lo è: rompe il rapporto fiduciario tra cittadini e rappresentanti politici. Gli italiani sono alla disperata ricerca di leader politici di cui potersi fidare. Ma come possono fidarsi di un candidato leader che mente sulle proprie credenziali accademiche? In aggiunta, tollerare queste falsità mina alla base la credibilità di un movimento. Nessuna organizzazione e nessun partito possono essere completamente esenti dal rischio di disonestà e corruzione. L’unico modo per proteggersi è una politica di tolleranza zero che cominci fin dai vertici. In questo caso, purtroppo, Fare ha fallito”. Giannino, affidando all’Ansa una replica, non ha certo migliorato la propria posizione. Ha infatti sottolineato che lui “è stato a Chicago da giovane a studiare e non ha preso il master alla Chicago Booth”. Peccato, però, che nella parte iniziale dell’intervista a Repubblica tv abbia detto esattamente l’opposto (http://video.repubblica.it/dossier/elezioni-politiche-2013/giannino-soli-perche-monti-ha-ceduto-a-fini-e-casini/118437/116906). Inoltre, nonostante l’istituto Bruno Leoni abbia rimosso la biografia di Giannino dove c’era scritto che “ha conseguito il diploma in Corporate Finance e Public Finance presso la University of Chicago Booth School of Business”, il testo è rimasto ben visibile nella cache di Google. Miracoli delle nuove tecnologie.
Le sensibilità individuali di fronte a tale vicenda sono sintomatiche degli attuali umori del corpo elettorale. I principali forum sono arroventati da un fatto di cronaca che si presta a reazioni “di pancia”, quelle preferite da tanti anonimi commentatori. Tra i più blandi non manca qualche garantista che cerca di ridimensionare le colpe del giornalista dandy piemontese, richiamando o accostando la bugia a menzogne ritenute più gravi (l’immancabile nipote di Mubarak su tutte) o qualche complottista che ipotizza la solita lunghissima mano di Berlusconi per fermare un possibile antagonista. Ma nel Paese della fantasia e delle leggende aleatorie (appartamenti ricevuti inconsapevolmente o pagati in nero da altri), le concrete prove di una frottola millantatrice che (concretamente) viaggia on-line alimentano non solo l’immancabile e animosa anti-politica, ma persino giudizi più assennati e riflessivi: da qui il richiamo a quella civilissima Germania dove un ministro si è dimesso con la “veniale” accusa di aver copiato parte di una tesi laurea quarant’anni prima, ma anche alla nostra imprevedibile Italia che s’indigna (giustamente) per i titoli di avvocato conquistati da ex ministre lombarde in trasferta a Reggio Calabria, per lauree conseguite da giovani consiglieri padani in trasferte balcaniche o per millantati master alla Bocconi ottenuti da mondane imprenditrici prestate alla politica.
Proprio su queste pagine, nei giorni scorsi, abbiamo evidenziato come questa campagna elettorale sia caratterizzata da continue “pretese del nuovo” da parte dei candidati, come se il passato in quanto tale – quindi anche apportatore di valori e di ideali (per quanto spesso calpestati) – vada cancellato in toto con un colpo di spugna. Ma “il nuovo”, nella sua genericità, rischia di inglobare una folta schiera di lesti trasformisti, di abili saltatori nel buio e di tecnici che ingarbugliano (presunte) competenze con (presunti) valori etici. A Giannino, paladino del cambiamento ma con un lungo corso nelle anticamere dei Palazzi, la maschera è addirittura caduta prima del responso delle urne. Inavvertitamente, come in tutte le più paradossali storie che la ragion di Stato ci ha abituati a vivere in questi ultimi anni.

(Giampiero Castellotti – 18 febbraio 2013 – Uci)

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