Elezioni / Programmi a confronto



Quali sono le proposte, principalmente sui fronti agricoltura e ambiente, che i partiti politici racchiudono nei propri programmi elettorali per le prossime elezioni politiche? Ritenendo che, nonostante tutto, le piattaforme programmatiche rappresentino ancora un pilastro della democrazia e uno strumento di scelta per il cittadino elettorale, abbiamo compiuto un’analisi comparativa tra “le promesse” e la riportiamo nel dettaglio.
In genere i programmi di questo 2013 sono snelli, schematici e chiari, ben curati anche dal punto di vista dell’immagine (in fondo come i loghi di partito). Sono caratterizzati da una buona dose di pragmatismo, ma non manca qualche riferimento all’ideologia.
Cominciamo dal “vincitore uscente”, il Pdl di Berlusconi. Il programma, estremamente agile (18 pagine), riporta in modo molto diretto una serie di riforme istituzionali di cui il leader, negli ultimi tempi, parla spesso sugli organi d’informazione (dall’elezione diretta del Presidente della Repubblica al rafforzamento dei poteri del governo, ma anche il Senato federale, il dimezzamento del numero dei parlamentari e delle altre rappresentanze elettive e l’abolizione delle Province), poi l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti e l’accelerazione del processo di unione europea. Non mancano spinte federaliste (piena attuazione della riforma federale come da legge 42 del 2009 e istituzione di macroregioni), attenzione alla famiglia (fisco con quoziente familiare, bonus bebè, sviluppo degli asili nido, ecc.), interventi fiscali (calo delle tasse ed eliminazione dell’Imu in primis).
Veniamo al mondo dell’impresa, dove la proposta più corposa riguarda il riconoscimento alle aziende, per le nuove assunzioni di giovani a tempo indeterminato, di una detrazione (sotto forma di credito d’imposta) dei contributi relativi al lavoratore assunto, per i primi cinque anni, nonché vantaggi fiscali per le imprese di under 35 e detassazione dell’apprendistato fino a quattro anni.
Per il turismo c’è la proposta di abbassare l’Iva, per l’agricoltura l’eliminazione dell’Imu sui terreni e i fabbricati funzionali ad attività agricole, il rilancio della imprenditoria giovanile in campo agricolo attraverso la riduzione fiscale per i giovani che aprono imprese agricole e attribuzione di appezzamenti del demanio agricolo per creare nuove imprese, “maggior tutela degli interessi italiani nel negoziato per la Politica agricola comune”, tutela delle produzioni italiane tipiche dalla contraffazione. Infine sul fronte ambientale si parla di un “nuovo piano per il riassetto idrogeologico del Paese”, nonché la messa in sicurezza del patrimonio immobiliare, da realizzare attraverso benefici fiscali e finanziamenti agevolati, la realizzazione dei cicli integrati regionali di smaltimento, con l’obiettivo dell’autosufficienza (“incentivare la raccolta differenziata e la riduzione della produzione dei rifiuti”), la valorizzazione del sistema dei parchi e delle aree protette, attraverso l’uso della leva fiscale, per favorire nuove imprese e occupazione. Ed ancora, “puntare su quattro settori strategici: eco-innovazione, fonti rinnovabili, riciclo dei rifiuti e mobilità sostenibile”.
Per quanto riguarda la Lega Nord, non essendo ancora presente un programma sul sito internet, si può fare riferimento ad un documento specifico sull’agricoltura (“L’agricoltura padana – Inquadramento”) redatto a fine novembre. Dove si sottolinea, in sintesi, che “il comparto agroalimentare rappresenta, prima di tutto, un patrimonio di cultura, di valori e di storia che ha da sempre caratterizzato la nostra terra. Dobbiamo quindi evitare una visione dei problemi legata esclusivamente agli aspetti economici. Le Regioni si devono fare promotrici di tutti gli strumenti necessari alla corretta applicazione delle norme contenute nella Pac, cercandone, il più possibile, un’applicazione basata sulle esigenze peculiari del proprio territorio; le amministrazioni regionali giocheranno un ruolo fondamentale, anche in vista della nuova Pac post 2013, nel sostegno degli agricoltori per una corretta interpretazione dei nuovi strumenti, economici e di buone pratiche agricole, che l’Unione europea definirà”.
Nel dettaglio la Lega auspica meccanismi di “tutela” del mercato interno europeo nei confronti delle importazioni estere, denuncia il pericolo di una globalizzazione senza freni, minaccia per le piccole, tipiche produzioni a vantaggio della grande industria e della grande distribuzione e garantisce il sostegno al pensiero del “glocal” (globale con l’impronta del locale) “Mettere in vetrina le nostre produzioni comporta, parallelamente, moltiplicare gli sforzi in fatto di tracciabilità e sicurezza – si legge nel documento. Per quanto riguarda l’Unione europea, la Lega l’addita senza mezzi termini quale “responsabile di alcuni provvedimenti legislativi penalizzanti per il nostro modello ‘padano’ di agricoltura”, per cui “il governo ha il dovere di condurre, attraverso il proprio ministro dell’agricoltura, i negoziati con grande determinazione; troppo spesso l’agricoltura del Nord è stata vittima di scelte lontane dal proprio modello a causa della poca efficacia dell’azione governativa nazionale; in passato funzionari e dirigenti ministeriali, ‘delegati’ dal ministero, non hanno saputo incidere in maniera positiva sulle trattative”
La Destra di Francesco Storace racchiude il programma in un “Manuale della sovranità” in dieci punti caratterizzati da altrettanti slogan. Si comincia da “Stop euro” (“L’euro non è la moneta dell’Europa ma è solo lo strumento attraverso cui una banca privata, la Bce, ha privato gli Stati europei della loro sovranità monetaria”), per cui La Destra propone la doppia circolazione monetaria: la lira per gli scambi interni e l’euro per il commercio internazionale; quindi “Lotta alla casta e alla corruzione”, con tetto di 10mila euro mensili da aziende statali. Poi: “Prima gli italiani e poi gli stranieri”: per l’immigrazione, sottolinea La Destra, si ricava un gettito fiscale di 3,3 miliardi di euro a fronte di una spesa pubblica di circa 52 miliardi costituiti da spese sanitarie, scolastiche, comunali, abitative, giudiziarie, di accoglienza, di espulsione, di asilo politico, di rimesse all’estero. Ancora: lotta ad Equitalia e proposta di un mutuo sociale al tasso fisso dell’1%, garantito da un ente pubblico. Manca uno specifico riferimento all’agricoltura, mentre si parla del rilancio delle piccole e medie imprese quale priorità.
Nel terreno del centrodestra, quindi, i programmi sono caratterizzati da un linguaggio spedito e diretto, dove il confine tra slogan e contenuto è molto labile.
Sull’altro fronte, il Pd presenta un programma con il titolo “L’Italia giusta”. Qui ci sono più riferimenti ideologici. Indicative, in tal senso, una serie di parole chiave che caratterizzano i paragrafi: Europa, Democrazia, Lavoro, Uguaglianza, Libertà, Sapere, Sviluppo sostenibile, Beni comuni, Diritti, Responsabilità.
Per l’agricoltura e per l’ambiente, seppur trattati in modo complessivo, si può far riferimento a due capitoli. Alla voce “Sviluppo sostenibile” si legge: “Sviluppo sostenibile per noi vuol dire valorizzare la carta più importante che possiamo giocare nella globalizzazione, quella del saper fare italiano. Se una chance abbiamo, è quella di una Italia che sappia fare l’Italia. Da sempre la nostra forza è stata quella di trasformare con il gusto, la duttilità, la tecnica e la creatività, materie prime spesso acquistate all’estero. Il decennio appena trascorso è stato particolarmente pesante per il nostro sistema produttivo. L’ingresso nell’Euro e la fine della svalutazione competitiva hanno prodotto, con la concorrenza della rendita finanziaria, una caduta degli investimenti in innovazione tecnologica e nella capitalizzazione delle imprese, con l’aumento dell’esportazione di capitali. Anche in questo caso è tempo di cambiare spartito e ridare centralità alla produzione. Una politica industriale “integralmente ecologica” è la prima e più rilevante di queste scelte. Noi immaginiamo un progetto-Paese che individui grandi aree d’investimento, di ricerca, di innovazione verso le quali orientare il sistema delle imprese, nell’industria, nell’agricoltura e nei servizi. La qualità e le tipicità, mobilità sostenibile, risparmio ed efficienza energetica, le tecnologie legate alla salute, alla cultura, all’arte, ai beni di valore storico e alla nostra tradizione, l’agenda digitale. Bisogna inoltre dare più forza e prospettiva alle nostre piccole e medie imprese aiutandole a collegarsi fra loro, a capitalizzarsi, ad accedere alla ricerca e alla internazionalizzazione”.
Per quanto riguarda i “Beni comuni”: “Per noi salute, istruzione, sicurezza, ambiente, sono campi dove, in via di principio, non deve esserci il povero né il ricco. Perché sono beni indisponibili alla pura logica del mercato e dei profitti. Sono beni comuni di tutti e di ciascuno e definiscono il grado di civiltà e democrazia del Paese. I referendum del 2011 hanno affermato il principio dell’acqua come bene non privatizzabile. L’energia, il patrimonio culturale e del paesaggio, le infrastrutture dello sviluppo sostenibile, la rete dei servizi di welfare e formazione, sono beni che devono vivere in un quadro di programmazione, regolazione e controllo sulla qualità delle prestazioni. Per tutto questo, introdurremo normative che definiscano i parametri della gestione pubblica o, in alternativa, i compiti delle autorità di controllo a tutela delle finalità pubbliche dei servizi. In ogni caso non può venir meno una responsabilità pubblica dei cicli e dei processi, che garantisca l’universalità di accesso e la sostenibilità nel lungo periodo. La difesa dei beni comuni è la risposta che la politica deve a un bisogno di comunità che è tornato a manifestarsi anche tra noi. I referendum della primavera del 2011 ne sono stati un’espressione fondamentale. È tramontata l’idea che la privatizzazione e l’assenza di regole siano sempre e comunque la ricetta giusta. Non si tratta per questo di tornare al vecchio statalismo o a una diffidenza preventiva verso un mercato regolato. Il punto è affermare l’idea che questi beni riguardano il futuro dei nostri figli e chiedono pertanto una presa in carico da parte della comunità. In questo disegno la maggiore razionalità e la valorizzazione del tessuto degli enti locali sono essenziali, non solo per la funzione regolativa che sono chiamati a svolgere, ma perché il presidio di democrazia, partecipazione e servizi che assicurano è in sé uno dei beni più preziosi per i cittadini. Superare le duplicazioni, riqualificare la spesa, devono perciò accompagnarsi a un nuovo e rigoroso investimento sul valore dell’autogoverno locale che, soprattutto nella crisi, non va visto, così come ha fatto la destra, come una specie di malattia, ma piuttosto come una possibile medicina. A sua volta l’autogoverno locale deve offrire spazi e occasioni alla sussidiarietà, alle forme di partecipazione civica, ai protagonisti del privato sociale e del volontariato”.
Per il Psi, che tornerà in parlamento dopo molti anni, sul sito internet c’è un doveroso riferimento alla storia socialista. Indicativa sin dal titolo, “Manifesto dei valori”. Vi si legge, tra l’altro, che “il Partito socialista intende riunire uomini e donne che, partendo da esperienze, culture e sensibilità diverse, si riconoscono in politiche riformiste, democratiche e liberali; si rivolge a tutti i cittadini senza distinzioni di genere e di orientamento sessuale, di etnia, di nazionalità e di religione e vuole dare voce a tutti coloro a cui vengono negati diritti ed interessi fondamentali”. Inoltre che “il Partito socialista si propone di realizzare, con forme nuove e adeguate ai tempi e per via democratica nella partecipazione dei cittadini, una società che sia retta da valori di libertà, di uguaglianza, di giustizia, di responsabilità, di solidarietà e di progresso. Ed ancora: “Il Partito socialista crede nel valore dell’uguaglianza che si realizza attraverso l’allargamento delle libertà; opera concretamente affinché sia garantito a tutti il massimo delle opportunità; promuove le condizioni perché ciascun individuo possa decidere il proprio destino. L’uguaglianza e la libertà delle persone sono indivisibili. Il Partito socialista difende il principio di laicità, che garantisce la convivenza tra culture e idee diverse; crede nella libertà di pensiero e nel valore della diversità delle opinioni e delle fedi. Contrasta ogni forma di fondamentalismo che vuole trasformare i propri precetti in leggi dello Stato”.
Per quanto riguarda il lavoro, il “Manifesto” del Psi ricorda che il socialismo considera il lavoro “l’espressione più alta della persona” e persegue politiche della piena occupazione, secondo principi di flessibilità e sicurezza, promuovendo l’istruzione e la formazione durante l’arco di tutta la vita. Il Partito socialista, quindi, “vuole che il lavoro sia adeguatamente retribuito e riconosciuto, e sostiene la necessità per tutti coloro che non siano in condizioni di lavorare di ricevere un reddito di base adeguato ai loro meriti e alla loro condizione”.
Ancora a sinistra, c’è Rivoluzione civile, guidata dall’ex magistrato Antonio Ingroia, che si presenta alle prossime elezioni politiche di febbraio con lo slogan “Io si sto” e un programma in dieci punti. Riformismo, legalità, lotta alla mafia, laicismo, scuola pubblica, riferimento imprescindibile alla Costituzione repubblicana sono le principali bandiere del movimento. Il quinto punto recita: “Vogliamo che lo sviluppo economico rispetti l’ambiente, la vita delle persone, i diritti dei lavoratori e la salute dei cittadini, e che la scelta della pace e del disarmo sia strumento politico dell’impegno dell’Italia nelle organizzazioni internazionali, per dare significato alla parola ‘futuro’. Vogliamo che la cultura sia il motore della rinascita del Paese”. Non c’è un riferimento all’agricoltura.
Il programma del Movimento 5 stelle è suddiviso in: “Stato e cittadini”, “Energia”, “Informazione”, “Economia”, “Trasporti”, “Salute”, “Istruzione”. Il blog di Grillo specifica che è stato “sviluppato da esperti” e implementato grazie a decine di migliaia di contributi. Per quanto riguarda l’economia, propone l’abolizione delle scatole cinesi in Borsa, delle stock option, delle cariche multiple da parte di consiglieri di amministrazione nei consigli di società quotate, dei monopoli di fatto (in particolare Telecom Italia, Autostrade, Eni, Enel, Mediaset, Ferrovie dello Stato) e della legge Biagi. Vieta la nomina di persone condannate in via definitiva (esempio Scaroni all’Eni) come amministratori in aziende aventi come azionista lo Stato o quotate in Borsa. Propone l’introduzione della class action, di strutture di reale rappresentanza dei piccoli azionisti nelle società quotate, la responsabilità degli istituti finanziari sui prodotti proposti con una compartecipazione alle eventuali perdite, di un tetto per gli stipendi del management delle aziende quotate in Borsa e delle aziende con partecipazione rilevante o maggioritaria dello Stato, l’allineamento delle tariffe di energia, connettività, telefonia, elettricità, trasporti agli altri Paesi europei. Sul fronte agricolo mira a favorire le produzioni locali.
Particolarmente sintetico il sito internet di Scelta civica, la formazione dell’attuale premier Mario Monti. C’è un breve testo sull’agenda Monti e l’elenco dei candidati alla Camera e al Senato. Per avere un’idea del programma occorre soffermarsi sul testo d’apertura che recita: “Per la prima volta, dopo vent’anni di populismo, i cittadini che si riconoscono in un pensiero riformista, democratico e popolare sanno di avere una casa solida. Gli steccati ideologici che hanno ingabbiato il Paese sono caduti: il confronto non è più tra destra e sinistra, ma tra conservazione e modernità. Scelta Civica è nata per dare una prospettiva ai milioni di italiani che vogliono cambiare il Paese, consapevoli dell’impossibilità di rilasciare altre deleghe in bianco alla politica. Ma che anzi chiedono un suo radicale cambiamento nei comportamenti, nella competenza, nel senso di responsabilità e nell’onestà”. Più avanti i riferimenti al programma: “Scelta Civica è la casa di chi crede che lo Stato italiano abbia bisogno di una riforma profonda e coraggiosa, che restringa il perimetro del suo intervento, rafforzandone la credibilità e l’autorevolezza nei suo compiti più importanti. La casa di chi vuole fermare la folle corsa della spesa pubblica e destinare le risorse recuperate alla riduzione del carico fiscale, oggi insostenibile per i cittadini e per le imprese. La casa di chi vuole rimettere in moto l’ascensore sociale, soprattutto per giovani e donne troppo spesso condannati, insieme alle loro famiglie, a restare inchiodati alle loro situazione sociali ed economiche di partenza, senza possibilità di miglioramento”. Assente la parola “agricoltura”.

(Giampiero Castellotti – 30 gennaio 2013 – Uci)

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