I Re nudi



Nelle animate controversie “etiche”, oltre che giudiziarie, che investono e appassionano da settimane l’agone politico nostrano – determinando tra l’altro pericolosi stalli nella gestione della macchina-Italia, distogliendo le attenzioni su altre questioni planetarie (ambientali ed economiche in primis) e su ciò che di più “serio” sta accadendo nel Maghreb – c’è una piccola vicenda che getta luce sugli apparati scenici meglio dell’esame dei più fini notisti politici. Un fatto apparentemente banale, ma per noi, invece, decisamente significativo.
Si tratta dell’ormai nota pubblicazione, ad opera del quotidiano “Il Giornale” (chi altri?), addirittura in prima pagina, di una vecchia immagine del governatore della Puglia – con aspirazioni da leader nazionale – scattata in un raduno nudista gay del 1979 su una spiaggia calabrese.
La scelta di riesumare da internet una consunta immagine, effettuata in un preciso momento storico, merita un approfondimento. E “letture” su più livelli.
C’è ovviamente un piano politico non trascurabile: la demonizzazione di un avversario implicitamente visto dal centrodestra – dopo la parabola di un Fini “immobiliarista” (ma anche di una Marcegaglia o di una Boccassini) – come il più “pericoloso” animatore e polarizzatore di consensi nella fazione avversaria. E’ quindi, a ben vedere, una specie di sottile imprimatur gerarchico.
Ma forse l’elemento d’analisi più interessante è la spregiudicata operazione, compiuta trasversalmente dal quadro politico (seppur con comportamenti diametralmente opposti), di puntellare al centro del dibattito culturale e dell’attenzione mediatica una sorta di singolare “questione morale” da nuovo millennio.
Mentre la sinistra, con un innaturale scivolone moralista e conformista, si trova nella complicata posizione di dover disseppellire intransigenti valori di rettitudine nei costumi e di quei virtuosismi un tempo definiti “borghesi” (compresa l’accezione alla dignità giudicata su comportamenti sessuali, trascinando in secondo piano altri fattori quali la corruzione o i conflitti di interessi), un’inedita destra libertaria, spogliata dell’integralismo e del settarismo, è tutta impegnata ad affiancare al liberismo una sorta di moderno libertinaggio, pur ingessato nel recinto delle “tradizionali” relazioni uomo-donna. Quindi a standardizzare comportamenti estremi, a normalizzare la trivialità, a incarnare l’emancipazione del costume, persino con una diffusa tolleranza dell’ampia base cattolica.
L’azione della destra, supportata dal “materialismo” quasi monopolista della comunicazione sociale, adotta paradossalmente quelle strategie gramsciane (cui la sinistra ha da tempo rinunciato), capaci cioè di fissare nel “contagio emotivo” e nell’egemonia l’obiettivo della propria pratica politica.
In sostanza il berlusconismo, con indubbia abilità mediatica, riesce a gestire entrambe le facce della contrapposizione: affibbiare alla sinistra l’immagine del moralismo ipocrita e bacchettone, colpevole con antiquati codici etici di far gridare allo scandalo per il solo “piacere privato” di un attempato e ricco signore; nel contempo riservare a se stesso quel gusto per la libertà (con pochi doveri e molti diritti), estesa anche al costume e alla sfera del privato, che è un po’ nel dna degli italiani. Il tutto efficientemente spinto verso un’esasperata e paradossale antitesi, dove slogan, calembour e colpi bassi rappresentano gli strumenti più efficaci. La nudità di Vendola diventa così una sorta di viatico alle virtù libertarie dei bunga bunga, laddove persino la redenzione delle escort passa per la libera scelta di ciò che possono fare del proprio corpo, tra la “magnanimità” degli utilizzatori e le benedizioni entusiaste di mamme e babbi felici per l’investimento (economico).
La pubblicazione dell’immagine giovanile del governatore pugliese, implicitamente correlata a quella delle anatomie femminili di Arcore, ci spiega altro. Riaccende il dibattito sull’uso smodato e spesso dissacrante del corpo nella contemporaneità.
Rievoca, ad esempio, quella “biopolitica”, cavallo di battaglia del filosofo Michel Foucault negli anni settanta, che denuncia la gestione del corpo umano da parte del potere, pratica che diventa controllo e regolazione totale delle condizioni della vita umana, della società alienata degli uomini.
Richiama anche il sessismo, l’inclinazione a discriminare in base a stereotipi di genere, a giudicare “socialmente rilevante” una donna bella (solo per questo meritevole di investiture pubbliche) rispetto a donne non avvenenti (ad esempio, Rosy Bindi degna di barzellette) o su uomini con gusti omosessuali. Annegare il senso morale equivale a banalizzare il male e la sua rappresentazione quotidiana, compreso un uso spregiudicato e distorto della comunicazione.
Tali pratiche accendono interrogativi, inoltre, sulla storica congiunzione tra concetto di “bello” e il suo intrinseco carattere morale e sociale. Correlazione che, nell’epoca dello stravolgimento di significati e degli stimoli consumistici, vive oggi una corrosione senza precedenti.
Pasolini aveva profeticamente individuato nella distruzione della cultura popolare e contadina la dissoluzione del “senso del sacro”, inteso soprattutto in senso letterario e artistico, in quanto il potere riesce a convertire ogni istanza di contestazione in prodotti di consumo e di spettacolo. Quindi in momenti del proprio consolidamento.
E’ pertanto l’omologazione, anche estetica, ad annullare ogni democratico confronto. La nudità non ha più senso né artistico né spirituale. I corpi e l’idea stessa di bellezza finiscono standardizzati. Si tratta di un vero e proprio genocidio culturale. L’impegnativa allusione, carica di idee, di immaginazione, di suggestioni e di messaggi, cede il posto all’esibizione immediata, banale scorciatoia per emozioni brutali e tangibili. Crolla il livello estetico. Ha credibilità solo ciò che si vede. L’idea stessa viene declassata rispetto alla sua rappresentazione. Un iperrealismo che allontana dal trascendentale, dall’ascetismo, dalla spiritualità. L’attenzione al corpo vizia il funzionamento dello spirito, citando il Platone del “Fedone”. E l’ossessione del fisico finisce per colmare i vuoti lasciati dall’assenza del culto dell’anima.
Non a caso in un profetico libro del 2000 (“Sul corpo”), il cardinale Carlo Maria Martini invitava a recuperare il valore sacro della fisicità, mettendo in guardia dagli idoli del sesso. “Il cristianesimo è tutto fondato sul corpo che Cristo ha assunto: è la religione del Logos incarnato, della Parola che si fa uomo. Dunque il cristianesimo ha al centro un corpo che nasce, cresce, comunica, si riproduce, si dilata, soffre, si ammala, guarisce, muore. Perché è nel farsi del corpo che vive la Parola – scriveva Martini. E ancora: “Il corpo dell’uomo e della donna è connessione tra necessità e libertà. Non è quindi la libertà del libertino schiavo di ogni impulso. Non è la libertà dello stoico che nega ogni impulso. E’ libertà di amare e dominare il proprio corpo. Nell’ottica del cristiano, la bellezza e l’armonia della sessualità è un’arte da apprendere, come la poesia, la pittura, la musica”.
C’è un recente sondaggio condotto non da Piepoli, ma dall’organizzazione internazionale “Save the children” che la dice lunga su questo virus dell’estetizzazione amorale. I ragazzi italiani tra i 12 e i 19 anni (il significativo campione ne comprende 453) avrebbe comportamenti a rischio dovuti a pratiche virtuali incentrate proprio sull’esibizione del corpo. Ben il 14% si metterebbe in posa per scatti sensuali da inviare in cambio soprattutto di ricariche telefoniche. La concezione mercificata del corpo, espropriato dalla propria identità, è ormai un modello acerbo. Non è lontana quell’offerta “al drago per rincorrere successo, notorietà e crescita economica”, richiamata da Veronica Lario nella sua celebre lettera.
“Una stampa mercenaria, prima o poi creerà un pubblico ignobile”. L’ha scritto Joseph Pulitzer, punto di riferimento del giornalismo mondiale. Come dargli torto?

(Giampiero Castellotti – 10 febbraio 2011)

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