“Manifestazioni” d’intenti



Il rapporto, sempre più complicato, tra diritti e doveri. Tra la possibilità di scendere in piazza con quel cartello “Vergogna!” che, come sottolineava Enzo Biagi, va bene per tutte le cause e la necessità di limitare le parolacce che volano da automobili intrappolate e da autobus prigionieri del traffico (ma carnefici per passeggeri privati di alternative). Classica contrapposizione di voltairiana memoria: la libertà finisce dove inizia quella dell’altro. Campanacci e fischietti contro clacson e colpi di scappamento. Saga del bon ton.
Al centro del contendere le nuove norme regolatrici delle manifestazioni. Da una parte accolte con soddisfazione e pragmatismo ultraliberisti. Dall’altra accusate di “blindare” le città e di limitare quel diritto di manifestare che, per quanto molto ideologico e un po’ retrò, resta aggregante più di cento televisioni e di mille amici su Facebook. Cosa più interessante sarebbe una “blindatura” di certi iperdiritti delle rappresentanze sindacali. Ma è un’altra storia.
Di fatto, tra forzature positiviste e sforzi idealisti, entrambi gli schieramenti ostentano verità non proprio assolute.
C’è chi la butta sul realismo delle ore perse, sbandierando anche cifre emblematiche: a Roma, la città interessata dal provvedimento, ci sarebbe una media di 3,5 cortei al giorno (nel 2008 sarebbero stati 2.145). Con un costo annuo per la collettività romana di circa due milioni di euro, soprattutto per deviazioni al traffico e straordinari dei vigili urbani. Dati che sembrano più di sostegno al provvedimento che non frutto di vere emergenze. Allora non dovremmo regolare anche le manifestazioni sportive, vedi quello che succede la domenica nei quartieri attigui all’Olimpico? O quelle religiose, vedi San Pietro? O i concerti, vedi la bolgia del primo maggio a San Giovanni o i decibel che mai rispettano i limiti?
La conseguenza, animata di buone intenzioni miste ad una paventata sicurezza, è il molto mediatico “giro di vite”, attività così di moda di questi tempi. Ma, forse, più a parole che nella sostanza.
Ad esempio, hanno molto di “consueto” i sei percorsi “obbligati”, adottati e già operativi. Percorsi che ricalcano quelli da sempre utilizzati nella maggior parte delle manifestazioni in centro. Cioè da piazza della Repubblica o da piazzale dei Partigiani a porta San Giovanni; da piazza Bocca della Verità a piazza Navona o a via di San Gregorio; da piazzale dei Partigiani a via di San Gregorio; da piazza della Repubblica a Piazza del Popolo.
Sorge spontanea una domanda: ma non s’era detto di liberare il centro storico, vero motore della città, tra l’altro vetrina sociale, oltre che monumentale, per i turisti? Anche perché, specie per le iniziative più importanti, i manifestanti giungono nelle stazioni ferroviarie e per raggiungere i luoghi dell’assembramento finiscono per mandare in tilt i trasporti di mezza Roma. Se davvero c’è un problema di mobilità, forse si dovrebbe intervenire proprio su questo. La compatibilità di manifestare e vivere la città non dovrebbe tener conto anche del decentramento, tanto “inseguito” nelle politiche urbanistiche?
Le sei piazze scelte per i sit-in rafforzano il ragionamento: Bocca della Verità, San Marco, Farnese, Circo Massimo, Barberini e Santi Apostoli. Della serie, più centro non si può.
Al di là della bontà o meno delle nuove norme, ci sembra che l’annunciata “svolta” (come la definisce Alemanno) o addirittura “la soluzione di quest’annoso problema” (dichiarazione testuale di Cesare Pambianchi, presidente di Confcommercio) vadano un attimino ridimensionate. E che, provvedimenti o meno, i nodi sostanzialmente rimangano tutti. Specie in una città come Roma, che avrebbe bisogno di interventi struttturali più sul traffico che non sulle tre manifestazioni quotidiane.
Altra domandina semplice semplice: se con la macchina ci trovassimo a piazzale Appio, con l’ennesima manifestazione a porta San Giovanni e le costanti medie da inquinamento ambientale e acustico oltre i limiti, ci sarebbero davvero garantite le tanto citate libertà costituzionali? Aiuterebbe davvero i nostri nervi, i nostri sensi e i nostri polmoni il protocollo regolatore dei cortei (sperimentale per sei mesi) firmato dal prefetto, dal sindaco, dal questore, dai sindacati e dai partiti politici? 

(Giampiero Castellotti – 11 marzo 2009)

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