I martiri di Chernobyl



E’ stato uno dei pochi referendum in cui il verdetto degli elettori è stato rispettato. Forse perché non promosso – more solito – su sibilline formule politiche (affidate, comunemente, a quesiti incomprensibili), su astruse regole tecniche o su dogmatici temi etici, in genere tutta roba distante dalla quotidianità e dagli interessi delle famiglie. E quindi, ahimè, facilmente manipolabile. Bensì ci si è interrogati su una grande questione economica, però vissuta come un problema di salute pubblica: l’energia nucleare.
Era il novembre 1987 quando la maggioranza degli italiani depose nell’urna il proprio no al nucleare. Si votò sull’onda emozionale – e purtroppo sulle conseguenze “fisiche” – dell’immane tragedia la cui memoria viene riproposta in occasione degli anniversari: il disastro della centrale nucleare di Chernobyl, nell’Ucraina allora sovietica. Nella notte del 25 aprile 1986, in uno dei quattro reattori della centrale cessò il flusso dell’acqua che raffreddava il nocciolo del delicato strumento. Piero Angela, in una delle sue preziose trasmissioni, ha spiegato in modo molto chiaro le conseguenze del rialzo della temperatura del nocciolo, dell’incendio della massa di grafite e dell’esplosione che distrusse la struttura superiore del reattore, liberando fiamme e fumi radioattivi.
Per la serie che in Italia non ci facciamo mancare alcunché, i dibattiti sull’opportunità o meno di tornare al nucleare sono tornati d’attualità. I nostalgici di reattori e fissioni, a sostegno della causa, sbandierano l’odierno impiego di tecnologie più sicure. Ma di certo le vittime di Chernobyl, come ha scritto Grigori Medvedev nel bel libro “Dentro Cernobyl”, dovrebbero far comprendere l’impotenza dell’uomo di fronte a ciò che l’uomo stesso crea. L’Italia, ad esempio con il disastro della diga del Vajont, non è esente dall’aver vissuto sulla propria pelle la triste sentenza. Non è catastrofismo ma semplice realismo.
I martiri ucraini meriterebbero più di un ricordo riacceso dagli anniversari. Ogni città dovrebbe dedicare loro una strada o una piazza, come giustamente ha scritto Giorgio Nebbia. Per molti di questi eroi, ad esempio i pompieri o gli elicotteristi, s’è trattato di un vero e proprio sacrificio per limitare i danni anche nel nostro Paese. Sulla loro pelle hanno reso visibile al mondo intero la fallibilità umana, hanno gettato luce sui pericoli nascosti nelle centinaia di centrali nucleari, ci hanno aiutato a comprendere l’assurdità dell’uso militare dell’uranio impoverito. Tra problemi che, da allora, rimangono ancora attuali – dalla sistemazione definitiva del sito di Chernobyl alla sepoltura delle scorie, dall’impossibilità di quantizzare con precisione le conseguenze della tragedia, comprese quelle della radioattività sulla nostra salute, fino ai traffici internazionali di merci radioattive – meritano il giusto risalto i molti episodi di generosità animati dalla tragedia. Già subito dopo il disastro di Chernobyl, in tutto il mondo scattò la solidarietà verso la popolazione locale, vittima di patologie permanenti. Ancora oggi numerose famiglie ospitano i bambini ucraini, cercando di lenire quei segni della tragedia che accompagnano non solo la gracilità dei corpi ma soprattutto le scelte di un’intera esistenza. Oggi, che si torna a parlare di nucleare come panacea per tutti i mali, si pensi soprattutto a loro. Rallentare la crescita per crescere meglio.

(Giampiero Castellotti)

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