Mercati d’Oriente



Tranquillizzare l’imprenditoria italiana sulle performance provenienti dai giganti asiatici è diventato da anni il diktat dei politici nostrani. Dalla parte del Sol Levante è un pullulare di viaggi esplorativi. Protagoniste le prestigiose comitive istituzionali che partono dal Vecchio Continente. Non è ben chiaro che ci vadano a fare i rappresentanti di una giunta irpina o i ricercatori dell’ateneo calabrese. Ma fa lo stesso.
Ormai gli Emirati Arabi servono a capire il mondo e nel Qatar sono riposti sogni da Milano 2.
La litania che accompagna i rientri è martellante: l’Oriente andrebbe vissuto più come opportunità di produzione e di mercato che non come concorrente. Garantiscono le nostre folte delegazioni presenti nel territorio asiatico. Ma le aziende lo sanno prima di loro, realizzando da anni i propri prodotti da quelle parti: dove altro li trovi i bassi costi della manodopera orientale, numeri a poche cifre che permettono di rimanere sui mercati nazionali e internazionali, salvaguardando – si fa per dire – anche gli antichi distretti artigiano-industriali?
Al diavolo se poi del prodotto artigianale rimane solo il nome e non certo materiale e cura: non s’è parlato forse di opportunità?
Presidiare i territori asiatici, favorire interscambi e non dimenticare che tra Cina e India si sta aprendo un mercato di due miliardi e 300 milioni persone sono i punti fermi per l’Italia più trendy. Se l’India, ad esempio, è uno dei primi Paesi al mondo nella produzione di software, la presenza di call center e di back office è un fenomeno gestito dalle società occidentali. Analoghe partnership si registrano nell’industria siderurgica, tessile, automobilistica, farmaceutica.
Segnali significativi provengono anche da uno dei nostri comparti d’eccellenza: l’enogastronomia. In Giappone, ad esempio, il giovane Kotomi Kaneko, dopo regolare stage in Italia, ha avviato un’azienda di pasta fatta a mano. Un trionfo: vendita via internet (kotokotopasta.com) e attivazione di una scuola di successo. Esempio di osmosi vincente, si sottolinea con toni trionfalistici: la pasta è realizzata con prodotti esclusivamente italiani (farina, Grana padano, vino, olio, pomodori campani), nella scuola s’utilizza solo il “made in Italy” (come un prosecco di una nota marca veneta, che in Giappone vende oltre 100mila bottiglie l’anno) o il ricettario sulle paste del Belpaese, edito in giapponese dalla stessa scuola. L’importante è che non comincino a coltivare olio e pomodori anche lì.

(Giampiero Castellotti)

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