Un segno nel buio (Il rapimento Onofri)



Un segno nel buio (Il rapimento Onofri)

Della delinquenza organizzata di una volta si dice che avesse un proprio “codice d’onore”. Una sorta di “idioma di stratificazione sociale”, come l’etichettano gli antropologi. Nelle norme “non scritte” delle carceri vige tuttora la condanna a chi s’è reso autore di violenze su donne e ragazzini. Persino la mafia tradizionale, maschilista e intrisa dei valori del populismo rurale e spirituale, almeno formalmente, rispettava la vita di tutto ciò che era estraneo all’universo maschile, ad iniziare dalle donne e dai bambini (finanche dai magistrati e dagli uomini delle forze dell’ordine, proprio perché giudicati “lontani” dalla società siciliana). Buscetta, nelle sue esternazioni da pentito, s’è soffermato diffusamente sulle differenze tra “vecchia” e “nuova” mafia.
Del resto i piccoli – in alcuni casi già adolescenti – uccisi in mezzo secolo di attività mafiose non superano le dieci unità: Giuseppe Letizia, annientato nel 1948 con un’iniezione dal medico-capomafia Michele Navarra perché aveva visto Luciano Liggio e altri uccidere il sindacalista Placido Rizzotto; la tredicenne Giuseppina Savoca, uccisa nel 1959 in uno scontro tra mafiosi; il tredicenne Paolino Riccobono, eliminato nel 1963 perché rampollo di una famiglia mafiosa; Giuseppe e Salvatore Asta, gemelli di Trapani uccisi nel 1985 nell’attentato al giudice Palermo; Claudio Domino nel 1986. Sacrifici “strettamente necessari” per logica mafiosa, a volte persino casuali, causa i regolamenti di conti.
Viceversa, le cronache più efferate di questi ultimi anni vedono sempre più spesso per protagonisti i bambini. Vittime non solo della follia domestica, spesso conseguenza dello sfaldamento della famiglia tradizionale. Ma anche “oggetti” del ricatto o della vendetta, spogliati delle loro peculiarità, della loro imprevedibilità, della straordinaria “carica umana” e relegati a tessere del mosaico di un pianeta sempre più adultizzato.
Ogni anno, in Italia, le forze dell’ordine avviano circa tremila ricerche di minori scomparsi. I più sono sottratti da un genitore separato o in via di separazione conflittuale. Con l’aumento delle separazioni, il fenomeno è in crescita. Ci sono poi le fughe volontarie, in genere temporanee.
Ma di tanti bambini scomparsi, purtroppo, non si sa più nulla. Un elenco che cresce a dismisura, parallelamente agli appelli e agli anniversari delle sparizioni delle varie Angela Celentano o Denise Pipitone.
Se nel 2000 sono scomparsi definitivamente 133 minori italiani, nel 2005 tale cifra è triplicata toccando quota 347. In crescita anche il dato della polizia di Stato riferito agli stranieri: dai 790 del 2000 ai 1.178 del 2005. I numeri che crescono testimoniano l’allargarsi di piaghe quali l’abuso e lo sfruttamento sessuale, la pedofilia ma anche l’accattonaggio. Fenomeni socialmente sempre più rilevanti.
Crediamo ci sia un confine etico da recuperare, da riconquistare, da ridisegnare. Quando apprendemmo che un giornale “profanò” il cimitero di San Giuliano di Puglia per ottenere le immagini dei bimbi vittime del terremoto (e, forse, delle colpe dei più grandi), parallelamente al disgusto (reso incancellabile dal ricordo), avemmo la sensazione di un confine oltrepassato. E la consapevolezza, come adulti, di aver dissacrato l’età dell’infanzia. Rendendola sempre più simile alla drogata giostra dei consumi.

(Giampiero Castellotti)

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