Trump al potere, un antidoto chiamato realtà
Le menti credule prone a recepire minkio-verità assortite, tipo complotti del Bilderberg, chip sottopelle, scie chimiche o autismo da vaccino, si abbarbicano a strutture cognitive di straodinaria semplicità: esiste un ristretto gruppo di individui che (non si sa quando o in che modo) ha concentrato nelle proprie mani ricchezze straordinarie e poteri incontrollabili, per infliggere, sadicamente, terribili supplizi al genere umano. La povertà, la recessione, il governo (ovviamente non eletto), la disoccupazione (specie giovanile), i problemi con la moglie, i virus, la Costituzione inattuata, il traffico, l’Isis, il capufficio, l’immigrazione, l’esame che non si riesce a superare, sono diretta derivazione delle decisioni di questo potere pervasivo e occulto. Perché qualcuno voglia provocare una recessione, visto che per arricchirsi sarebbe imprescindibile una forte crescita economica, rimane un mistero della mente (dis)umana.
Possiamo consolarci notando che non si tratta di un fenomeno nato con il web: i comunisti negli anni ’50 e ‘60 esecravano il complesso militare-industriale, le Brigate Rosse lottavano contro lo Stato Imperialista delle Multinazionali (ma secondo la vulgata venivano esse stesse manovrate da un Grande Vecchio); tra la P2 e Gladio fu un tripudio di complotti intrecciati con Cia e Vaticano.
Per inoculare un antidoto ai deliri complottisti questo post illustra come funzionano nella realtà gli ingranaggi del potere prendendo spunto dall’insediamento dell’Uomo Più Potente del Mondo. Il giacimento di demenza da cui si alimenta la mente credula assicura che Trump, pronunciato il giuramento sulla Costituzione, avrà a sua completa disposizione i mille tentacoli della Superpotenza da sfruttare a propria goduria come la parodia di Hitler immortalata da Charlie Chaplin.
La realtà cozza contro questa visione puerile.
Innanzitutto molti dei tentacoli a oggi ancora esistono: le posizioni apicali (ministri, vertice delle agenzie federali e capi dell’apparato di sicurezza) devono passare il vaglio del Senato, cosa che richiede alcune settimane se tutto va bene. Su alcuni posizioni chiave, alla banca centrale (Federal Reserve), Corte Costituzionale, esercito, ecc. il Presidente non ha influenza finché non scade il mandato di quelli nominati dal predecessore.
Poi sarà la volta delle seconde (viceministri) e terze file che però sono indispensabili per smazzare il lavoro duro sui dossier. Se non esploderanno crisi, guerre, attentati e scandali (che assorbono 2/3 della tipica giornata presidenziale) le squadre non saranno completate prima dell’estate. Quando tutto sembrerà a posto, con meccanismi oliati a dovere e i compiti assegnati come al campeggio dei Lupetti, si potrà avviare la carovana.
Il presidente Usa alla Casa Bianca dispone di uno staff composto da circa mille persone (meno dei circa 1.500 al Quirinale). Ma la macchina amministrativa federale comprende svariati milioni di impiegati nei ministeri e nelle innumerevoli agenzie. Il governo americano non prevede un Consiglio dei Ministri dove si prendono decisioni collegiali. Ogni ministero in sostanza viaggia per conto suo. Il presidio dell’unità di intenti dovrebbe essere il Presidente, che però non ha il tempo materiale. Quali sono le conseguenze pratiche? Come nel sistema feudale, vassalli e valvassori, una volta nominati, col tempo assaggiano con sempre maggior gusto la loro fetta di potere, quindi tendono a smarcarsi dai desiderata del capo per perseguire le priorità che a loro e ai loro referenti stanno più a cuore.
Dalla Casa Bianca e dal Congresso arrivano leggi, decreti, ordini, istruzioni e quant’altro. Ma chi le implementa lungo tutta la catena di comando che va dallo Studio Ovale allo sportello dell’ufficio col pubblico? Impossibile stabilirlo. Possono essere ignorate del tutto, si può far finta di lavorarci alacremente (come nella marina borbonica), si possono accusare altri pezzi della burocrazia di scarsa cooperazione, si può affidare il dossier a un funzionario incapace o poco qualificato.
Insomma esiste tutta una serie di trucchi e tattiche ai vari livelli per dirottare, depotenziare o far deragliare l’implementazione. In ogni organizzazione all’organigramma ufficiale si contrappone una rete di fedeltà e camarille varie. Se remano contro per il Presidente è impossibile stabilire le responsabilità mentre sbatte contro il muro di gomma, affonda nelle sabbie mobili, si aggira nel labirinto costruito dal Leviatano. E’ già difficile per un Presidente con una solida esperienza maturata nei corridoi e i retrobottega di Washington. Per un corpo estraneo come Trump, che per di più si illude di avere sovrabbondanza di attributi, sarà una sfida persino trovare la toilette.
Poi c’è il Parlamento dove siedono le primedonne delle Commissioni, i ras dei sottocomitati, gli aspiranti rivali, gelosi delle loro prerogative acquisite in decenni di carriera politica e con la mente già ossessivamente rivolta alle prossime elezioni che si terranno fra meno di due anni. Costoro rispondono a loro volta a cordate locali nei loro collegi, a logiche di fazioni interne ai partiti, a lobbies che finanziano le campagne elettorali, senza contare odi, conti aperti e altre poco edificanti faccende di cui è lastricata la vita politica.
Alla fine il Presidente sceglie una manciata di obiettivi chiave a cui dedicare le poche energie sopravvissute all’ordinaria amministrazione, alle emergenze quotidiane ai negoziati con la Washington che conta, ai questuanti, alle visite di stato e dopo un paio di mesi si rassegna a delegare ad altri il resto della sua agenda sperando per il meglio.
In conclusione, vorrei rassicurare i Napalm51 atterriti dal Grande Golpe Globale: anche l’uomo in teoria più potente del mondo spinge pochi bottoni spesso alla cieca e non riesce ad articolare che pochi tentacoli, mentre sono infiniti i tenui o solidi legacci che lo avviluppano come Gulliver sulla spiaggia dei Lillipuziani.
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