Teheran o Varsavia?



Ogni volta che si vedono turbe di facinorosi e sanculotti nelle strade di un paese islamico, in Occidente scatta il riflesso condizionato indotto dai giorni di quel febbraio 1979 quando gli ayatollah presero il potere a Teheran e nacque l’Islam antagonista dell’Occidente. Questo riflesso condizionato ha plasmato le reazioni consce e gli atteggiamenti inconsci delle opinioni pubbliche, ma oggi che siamo di fronte ad una Primavera Araba in cui si gioca una partita molto delicata per l’Occidente e l’Europa in particolare, secondo me bisogna scrollarsi di dosso le paure e assumere un atteggiamento pragmatico.
Sostanzialmente l’islam politico ha molti punti di contatto con partiti “democristiani” che operano in alcuni paesi europei, un argomento peraltro non particolarmente originale, ma che stenta a fugare i timori. Eppure, nel mondo islamico a noi prossimo, c’è l’esempio della Turchia, dove è al potere da diversi anni un partito di inequivocabile ispirazione islamica. Tra l’altro gli islamici ad Ankara mi sembra abbiano governato meglio dei vecchi partiti secolari, espressione di un accordo tra borghesia parassitaria e mezze tacche corrotte, sotto la tutela di un esercito esasperatamente nazionalista, ossessionato dalla repressione del dissenso in qualsiasi forma esso si manifestasse. Gli scettici replicano che la Turchia non fa testo perché non è un paese arabo, è vicino all’Europa, ha una tradizione democratica, l’esercito garantisce la laicità ecc…
L’opinione pubblica occidentale si preoccupa perché l’opposizione, spesso violenta, ai despoti e ai cleptocrati mediorientali, ha connotati troppo marcatamente religiosi, il che dopo l’11 settembre e l’isteria sugli scontri di civiltà, giustifica qualche brivido lungo la schiena.
In Algeria, in Palestina, in Egitto, in Siria, in Giordania, nel Bahrain ecc. , sono proprio partiti religiosi (spesso clandestini e costantemente perseguitati) ad opporsi allo status quo e in qualche caso a vincere le elezioni.
Questo fenomeno però ha una spiegazione meno sinistra e più logica di quanto si immagini. L’analogia non è con l’Iran, bensì con la Polonia di Solidarnosc.
In Polonia l’opposizione al regime comunista era ispirata, rappresentata e organizzata dalla Chiesa, perché il regime comunista, che non si era fatto scrupolo di eliminare migliaia di oppositori politici pro-occidente, era riluttante a perseguitare preti e parrocchie che mantenevano da secoli una presa sulle coscienze. Le sagrestie divennero il refugium (non necessariamente peccatorum) sia dei credenti che delle pecorelle smarrite, inclusi gli anticomunisti senza particolare afflato religioso.
Nel mondo arabo, come nella Polonia comunista, le uniche forme di associazione e di riunioni pubbliche tollerate sono legate alle attività religiose, e quindi si fa di necessità virtù. Non è un caso che a Gerusalemme i disordini dell’Intifada scoppiavano spesso dopo la preghiera del venerdì. Tra l’altro nel Medio Oriente molti governanti e sovrani si dichiarano devoti (a differenza dei comunisti polacchi) quindi sono riluttanti a oltrepassare certi limiti nella repressione dei capi religiosi. A dire il vero Mubarak non si è fatto soverchi problemi in materia, e Saddam Hussein oppure gli Assad (padre e figlio) ancora meno, quando periodicamente soffocavano brutalmente nel sangue rivolte organizzate da religiosi. Ma negli ultimi due casi si trattava di sette opposte a quelle cui loro e i loro sostenitori appartenevano.
In buona approssimazione gli Iman sono gli unici personaggi pubblici relativamente liberi di parlare e di scagliare critiche nemmeno troppo velate ai responsabili delle miserie quotidiane. Aiutati in questo ruolo dalla repressione sistematica di tutte le forze politiche liberali filo-occidentali che ha eliminato potenziali concorrenti.
Non a caso i Fratelli Musulmani in Egitto non hanno mai protestato per gli arresti dei leader di opposizione non religiosa. E Mubarak ha sempre lasciato un po’ la briglia sciolta ai mullah proprio per esacerbare la paura degli occidentali, ma ha sempre duramente represso i liberali laici al minimo accenno che guadagnassero consenso.
Per tornare ai giorni nostri, secondo me il rischio principale è rappresentato dalla polarizzazione dello scontro che potrebbe rinforzare gli estremisti (al momento in numero esiguo) e spingere anche chi ne farebbe volentieri a meno a schierarsi con i fanatici conferendo loro la massa critica. Un assaggio di questo fenomeno, anche se in un altro contesto, fu possibile coglierlo in Libano quando nell’estate del 2006 gli Israeliani attaccarono gli Hezbollah distruggendo però indiscriminatamente edifici ed infrastrutture in tutto il paese. Anche i Libanesi moderati (sunniti e cristiani per di più) sostennero le milizie sciite viste come l’unico baluardo all’invasione e all’arroganza straniera.
Per le diplomazie occidentali è meglio spingere per una transizione rapida in Nord Africa e mettere le basi per un sistema più aperto, cercando di fornire assistenza tecnica per le leggi sui partiti politici e il sistema elettorale nonche’ per riscrivere le Costituzioni e formare i giudici, piuttosto che fossilizzarsi in difesa di uno status quo decrepito.
Per fortuna in Egitto è emerso (non proprio per un caso fortuito, ma questo è un altro discorso) un leader abbastanza popolare come Al Baradei e quindi c’è da sperare che le pulsioni fondamentaliste non prevalgano. Qualcuno obietta che Al Baradei non è un capo carismatico e ci sono altri che godono di maggiore considerazione. Un nome spesso citato è Amr Moussa, segretario della Lega Araba, ma la Lega Araba ha una reputazione talmente pessima (totalmente meritata) di pomposa incapacità e assoluta irrilevanza per cui dubito che una figura associata ad essa possa ispirare grandi entusiasmi.
Ci sono diversi giudici, ad esempio Yahya al-Jamal con ottime credenziali che potrebbero risultare decisive in un periodo in cui bisognerà riscrivere la Costituzione e le leggi più importanti per i diritti civili e politici. E poi non bisogna dimenticare l’outsider Wael Ghonim, il manager di Google (con base a Dubai) che ha organizzato il gruppo di Facebook da cui è partita la manifestazione del 25 gennaio e grazie all’arresto subito che ne fa un martire ha acquisito un cospicuo capitale politico.
Al Baradei, che al momento fa il vezzoso e nega ambizioni presidenziali (ma se proprio me lo dovessero chiedere …) ha iniziato coraggiosamente a dare calci negli stinchi a Mubarak da un anno ed è lui che ha realizzato la saldatura tra i “bloggers” e i vari gruppi di opposizione politica non islamica.
Il New York Times ha pubblicato un affascinate reportage sulla storia di questo movimento, le tecniche di resistenza passiva (a quanto pare di derivazione serba, ma non ditelo a Marchionne) e il proselitismo via internet. Alcuni lo additano come lacché degli Usa, ma in realtà fu lui ad opporsi con vigore all’invasione dell’Iraq e a insistere che in Iraq non c’erano armi di distruzioni di massa.
I Fratelli Musulmani e i partiti religiosi sono stati colti alla sprovvista e non hanno nemmeno partecipato né alla fase organizzativa, né alle prime proteste di piazza, guidate da professionisti spesso con esperienze di vita e lavoro all’estero (quanto di più lontano si possa immaginare dalle barbe e dai turbanti). Questo è forse uno degli elementi più importanti che differenzia l’Egitto del 2011 dall’Iran del 1979. In Iran furono le popolazioni rurali e gli emarginati urbani a tirare la volata a Khomeini e poi a sostenere la soppressione di tutte le forme di dissenso interno. Inoltre oggi nel mondo arabo c’é Al Jazeera che ha rotto gli argini dell’ informazione paludata (Fede e Minzolini on steroids) e ha indotto una mutazione inimmaginabile nelle coscienze dei telespettatori al di là delle aspettative più rosee.
Ma anche se i partiti islamici guadagneranno influenza, va ricordato che al loro interno convivono posizioni variegate che vanno dai tradizionalisti ai modernizzatori. Del resto anche in Italia esiste un selezione di politici con un background religioso variegato. Vendola è cattolico e gay, Buttiglione è cattolico omofobico, Marino è cattolico, ma laico e non omofobico, Formigoni è cattolico di destra e ha fatto voto di castità, eccetera.
Rimane una considerazione finale: le Rivoluzioni trionfano in un tripudio di folla solo nei sogni dei romantici e degli illusi. L’Egitto non è un’eccezione e Piazza Tahrir costituisce un inizio. Basta andare con la memoria alll’Ucraina e alle convulsioni seguite alla Rivoluzione arancione per cinque anni. Il punto di biforcazione rappresentato dalla cacciata di Mubarak non elimina il potere della cerchia che lo sosteneva, vale a dire i militari. Dal colpo di Stato di Nasser nel 1956 tutti i Presidenti hanno vestito le stellette costruendo e perpetuando uno stato nello Stato, con ramificazioni in ogni settore economico, un po’ come i partiti comunisti nell’Europa del Patto di Varsavia. Sbarazzarsi di Mubarak equivale a sbarazzarsi di Jaruzelski (un altro generale) lasciando intatta l’organizzazione ed i mezzi del partito comunista polacco.La prossima fase della Primavera Araba, che ne segnerà il destino, sarà caratterizzata dalle contromosse dei militari egiziani, che abbandonando Mubarak hanno orchestrato una ritirata strategica, ma che hanno tutta l’intenzione di raggrupparsi per la controffensiva, una volta che la gente, finita la festa a Piazza Tahrir, tenderà ad abbassare la guardia. La dissoluzione del Parlamento (un simulacro di Parlamento) e la presa di potere da parte della giunta militare è una mossa molto simile all’arrocco in questa partita a scacchi multidimensionale.

(Fabio Scacciavillani – 19 febbraio 2011 – Forche Caudine e Noisefromamerika)

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