Il silenzio è una parola con diverse accezioni, tanti valori e conseguentemente con svariate sfumature linguistiche.
Sommesso, imposto, voluto, commemorativo, pauroso, abissale, misterioso, perfino l’ossimoro assordante sono tra le tante aggettivazioni di questo sostantivo.
Il termine, dal latino “silere” ovvero “tacere, non far rumore”, non è solo la condizione che si verifica in un ambiente con l’assenza di frastuoni, voci, suoni, ma, in senso figurato, la pratica psicologica di ridurre l’attività convulsa della mente per uscire da una vita frenetica, conformistica e anonima rientrando nella propria interiorità per riappropriarsi del fondamento della vita e della realtà in un orizzonte di senso capace di andare oltre la banalità dell’apparenza di una società tutta imperniata su una logica mercantilistica che riesce a togliere perfino il senso autentico a parole inflazionate, a gesti consuetudinari, a sentimenti ipocriti e ad affetti apparenti se non addirittura finti.
Le grandi religioni e in particolare quelle orientali vanno oltre e considerano la pratica del silenzio come una disciplina spirituale in grado di introdurci nel migliore dei modi alla ricerca del vero e del bene.
Già i grandi retori latini sostenevano che un oratore deve avere la capacità di saper parlare, ma anche opportunamente di tacere, perché anche il silenzio può esprimere sentimenti, riflessioni e messaggi, mentre Sant’Agostino suggeriva di riservare spazio alla meditazione e al silenzio per cogliere e intendere la verità; Edmund Husserl e Martin Heidegger poi hanno messo in guardia dal pericolo del conformismo e riflettuto sulle modalità di un progetto di vita autentica e personale.
Il sociologo Franco Ferrarotti è addirittura convinto che stiamo correndo il rischio di perdere la libertà di pensiero e di scelta rispetto a una società nella quale i mass-media “in – formano” nel senso che non trasmettono informazione aperta e plurale, ma danno forma in maniera subdola alla nostra coscienza facendoci diventare schiavi del sistema.
Il silenzio non è ancora solo capacità di introspezione, ma lo strumento che l’essere umano ha di uscire dalla banalità e dall’egocentrismo per disporsi all’ascolto, alla comprensione e all’accoglienza dell’altro oltre che a saper cogliere il fondamento dell’esistenza e della realtà.
È probabilmente questo che aveva intuito Giacomo Leopardi nel canto “L’Infinito” quando scriveva, sottolineando con la maiuscola alcuni termini profondamente allegorici, ” Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi e profondissima quiete io nel pensier mi fingo”.
Può esistere indubbiamente anche un silenzio di chiusura alla realtà e alla relazione, come un altro che a tanti fa paura perché associato inconsciamente all’idea della morte, ma una serenità autentica nella persona è sicuramente premessa di riflessione, di capacità razionale, di ascolto paritario e non subalterno, ma soprattutto di reciprocità costruttiva.
In un mondo in cui molti cercano il piacere nell’apparenza, nella provvisorietà, nella banalità, nel rumore e negli idoli, il silenzio può avere una forza kenotica adeguata a spogliare ciascuno dalle troppe sicurezze, una capacità ontologica in grado di portare ai fondamenti dell’esistenza e dell’essere, un vigore mistico utile per aprire al mistero e all’esperienza del divino soprattutto nella preghiera come dialogo raccolto, ma aperto con Dio.
È per questo che David Le Breton, sociologo e antropologo francese, nel suo recente saggio “Sul silenzio”, rispetto a un’epoca inquinata da troppo rumore e da un eloquio sempre più triviale e sguaiato, invita a riconquistare la quiete come forma di resistenza al frastuono da cui bisogna disconnettersi per sentire il valore profondo di ciò che può dare senso e significato alla nostra esistenza.
Al di là del senso, del valore o della funzione che ognuno di noi può dargli, è indubbio che il silenzio matura l’attitudine alla riflessione, la sensibilità, il rispetto, la sapienza, la libertà di pensiero, la capacità di comunicazione fondata sull’ascolto oltre che sulla parola e sui segni, la forza di osservazione della realtà e dell’universo, come l’energia per coglierne il mistero e la bellezza.
È così importante che lo abbiamo previsto nella comunicazione scritta con i segni d’interpunzione, nella musica con le pause o nell’arte con la contemplazione.
Dunque di fronte ad un sistema esistenziale votato alla ricerca stressante del rumore e perfino del bombardamento confuso e caotico di un’informazione nella quale diventa sempre più difficile difendersi dalla banalità e dalle fake news, è quanto mai opportuno, mentre viene sempre più minacciato, coltivare il silenzio e abitarlo soprattutto nei momenti di più intensa vitalità esistenziale come possono essere la lettura, il godimento della bellezza nell’arte, la ricerca dell’allargamento creativo del pensiero, il confronto tra le idee, l’espressione della libertà nello spirito critico o il dialogo con Dio per chi è credente.
Il filosofo e teologo Vito Mancuso in un saggio dello scorso anno “Il bisogno di Pensare”, edito da Garzanti, sostiene giustamente che il silenzio non guida ad “avere pensieri”, ma ad “essere pensanti” e noi aggiungiamo che sicuramente ci aiuta a comprendere e amare piuttosto che a prendere e possedere i beni e perfino l’altro.
A pagina 157 dello stesso volume Mancuso individua forse il fine più grande del silenzio quando scrive: ” Che cosa si ottiene quindi facendo silenzio? La mia risposta è che si ottengono soprattutto due cose:una purificazione della mente e una purificazione del pensiero che ne procede per una più matura visione di noi stessi e del mondo”.
Come ha scritto Charlie Chaplin, “Il silenzio è un dono universale che pochi sanno apprezzare: forse perché non può essere comprato. I ricchi comprano rumore. L’animo umano si diletta nel silenzio della natura, che si rivela solo a chi lo cerca”.
Noi crediamo fondamentalmente che il silenzio, inteso nel senso che abbiamo cercato di illustrare, può avere la grande funzione di farci uscire dalla presunzione dell’ego per aprirci alla comprensione e alla relazione con il noi.
Nella Bibbia in Proverbi 17,27 troviamo scritto “Chi è parco di parole possiede la scienza e chi è di spirito calmo è un uomo prudente”.
È profondamente vero se pensiamo che le grandi verità scientifiche ma anche le creazioni poetiche, artistiche e musicali sono tutte figlie del silenzio.
Sommesso, imposto, voluto, commemorativo, pauroso, abissale, misterioso, perfino l’ossimoro assordante sono tra le tante aggettivazioni di questo sostantivo.
Il termine, dal latino “silere” ovvero “tacere, non far rumore”, non è solo la condizione che si verifica in un ambiente con l’assenza di frastuoni, voci, suoni, ma, in senso figurato, la pratica psicologica di ridurre l’attività convulsa della mente per uscire da una vita frenetica, conformistica e anonima rientrando nella propria interiorità per riappropriarsi del fondamento della vita e della realtà in un orizzonte di senso capace di andare oltre la banalità dell’apparenza di una società tutta imperniata su una logica mercantilistica che riesce a togliere perfino il senso autentico a parole inflazionate, a gesti consuetudinari, a sentimenti ipocriti e ad affetti apparenti se non addirittura finti.
Le grandi religioni e in particolare quelle orientali vanno oltre e considerano la pratica del silenzio come una disciplina spirituale in grado di introdurci nel migliore dei modi alla ricerca del vero e del bene.
Già i grandi retori latini sostenevano che un oratore deve avere la capacità di saper parlare, ma anche opportunamente di tacere, perché anche il silenzio può esprimere sentimenti, riflessioni e messaggi, mentre Sant’Agostino suggeriva di riservare spazio alla meditazione e al silenzio per cogliere e intendere la verità; Edmund Husserl e Martin Heidegger poi hanno messo in guardia dal pericolo del conformismo e riflettuto sulle modalità di un progetto di vita autentica e personale.
Il sociologo Franco Ferrarotti è addirittura convinto che stiamo correndo il rischio di perdere la libertà di pensiero e di scelta rispetto a una società nella quale i mass-media “in – formano” nel senso che non trasmettono informazione aperta e plurale, ma danno forma in maniera subdola alla nostra coscienza facendoci diventare schiavi del sistema.
Il silenzio non è ancora solo capacità di introspezione, ma lo strumento che l’essere umano ha di uscire dalla banalità e dall’egocentrismo per disporsi all’ascolto, alla comprensione e all’accoglienza dell’altro oltre che a saper cogliere il fondamento dell’esistenza e della realtà.
È probabilmente questo che aveva intuito Giacomo Leopardi nel canto “L’Infinito” quando scriveva, sottolineando con la maiuscola alcuni termini profondamente allegorici, ” Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi e profondissima quiete io nel pensier mi fingo”.
Può esistere indubbiamente anche un silenzio di chiusura alla realtà e alla relazione, come un altro che a tanti fa paura perché associato inconsciamente all’idea della morte, ma una serenità autentica nella persona è sicuramente premessa di riflessione, di capacità razionale, di ascolto paritario e non subalterno, ma soprattutto di reciprocità costruttiva.
In un mondo in cui molti cercano il piacere nell’apparenza, nella provvisorietà, nella banalità, nel rumore e negli idoli, il silenzio può avere una forza kenotica adeguata a spogliare ciascuno dalle troppe sicurezze, una capacità ontologica in grado di portare ai fondamenti dell’esistenza e dell’essere, un vigore mistico utile per aprire al mistero e all’esperienza del divino soprattutto nella preghiera come dialogo raccolto, ma aperto con Dio.
È per questo che David Le Breton, sociologo e antropologo francese, nel suo recente saggio “Sul silenzio”, rispetto a un’epoca inquinata da troppo rumore e da un eloquio sempre più triviale e sguaiato, invita a riconquistare la quiete come forma di resistenza al frastuono da cui bisogna disconnettersi per sentire il valore profondo di ciò che può dare senso e significato alla nostra esistenza.
Al di là del senso, del valore o della funzione che ognuno di noi può dargli, è indubbio che il silenzio matura l’attitudine alla riflessione, la sensibilità, il rispetto, la sapienza, la libertà di pensiero, la capacità di comunicazione fondata sull’ascolto oltre che sulla parola e sui segni, la forza di osservazione della realtà e dell’universo, come l’energia per coglierne il mistero e la bellezza.
È così importante che lo abbiamo previsto nella comunicazione scritta con i segni d’interpunzione, nella musica con le pause o nell’arte con la contemplazione.
Dunque di fronte ad un sistema esistenziale votato alla ricerca stressante del rumore e perfino del bombardamento confuso e caotico di un’informazione nella quale diventa sempre più difficile difendersi dalla banalità e dalle fake news, è quanto mai opportuno, mentre viene sempre più minacciato, coltivare il silenzio e abitarlo soprattutto nei momenti di più intensa vitalità esistenziale come possono essere la lettura, il godimento della bellezza nell’arte, la ricerca dell’allargamento creativo del pensiero, il confronto tra le idee, l’espressione della libertà nello spirito critico o il dialogo con Dio per chi è credente.
Il filosofo e teologo Vito Mancuso in un saggio dello scorso anno “Il bisogno di Pensare”, edito da Garzanti, sostiene giustamente che il silenzio non guida ad “avere pensieri”, ma ad “essere pensanti” e noi aggiungiamo che sicuramente ci aiuta a comprendere e amare piuttosto che a prendere e possedere i beni e perfino l’altro.
A pagina 157 dello stesso volume Mancuso individua forse il fine più grande del silenzio quando scrive: ” Che cosa si ottiene quindi facendo silenzio? La mia risposta è che si ottengono soprattutto due cose:una purificazione della mente e una purificazione del pensiero che ne procede per una più matura visione di noi stessi e del mondo”.
Come ha scritto Charlie Chaplin, “Il silenzio è un dono universale che pochi sanno apprezzare: forse perché non può essere comprato. I ricchi comprano rumore. L’animo umano si diletta nel silenzio della natura, che si rivela solo a chi lo cerca”.
Noi crediamo fondamentalmente che il silenzio, inteso nel senso che abbiamo cercato di illustrare, può avere la grande funzione di farci uscire dalla presunzione dell’ego per aprirci alla comprensione e alla relazione con il noi.
Nella Bibbia in Proverbi 17,27 troviamo scritto “Chi è parco di parole possiede la scienza e chi è di spirito calmo è un uomo prudente”.
È profondamente vero se pensiamo che le grandi verità scientifiche ma anche le creazioni poetiche, artistiche e musicali sono tutte figlie del silenzio.
(Umberto Berardo – 27 marzo 2019)
<div class="