Le primarie per la segreteria del Pd



Il dibattito sui social relativo alla partecipazione o meno alle primarie del Pd per l’elezione della segreteria nazionale e di quelle regionali ha appassionato quanti si sentono attenti alle vicende politiche del nostro Paese.
Taluni hanno considerato utile essere presenti a tale consultazione elettorale perché l’hanno vista ancora come uno strumento di democrazia diretta interno ad un partito politico; altri hanno ritenuto tale voto un segnale di contrasto alle politiche inaccettabili del governo giallo-verde; c’è stato pure chi, pur non riconoscendosi nel Pd, ha votato vedendo nella scelta un argine alla deriva sovranista, classista, xenofoba e separatista che sembra ormai fare breccia come un tarlo nella mente di molti italiani.
C’è al contrario chi non ha ritenuto opportuno partecipare alle primarie nel timore fondato di costruire un supporto e una patente di sinistra a una forza politica considerata invece borghese, neoliberista ed involutiva rispetto ai principi a fondamento dello statuto e in considerazione delle gravi deliberazioni attuate negli anni passati quali il Jobs Act, la privatizzazione della sanità, la “buona scuola”, il Fiscal Compact, lo scudo fiscale, la militarizzazione con gli F-35, il Bail-in bancario, l’introduzione dell’Imu e soprattutto il tentativo di stravolgere con il governo Renzi la Costituzione Italiana.
Nel rispetto delle posizioni di ognuno osserviamo che i dati dell’affluenza probabilmente fotografano entrambe le posizioni sopra descritte.
L’affluenza al voto sembra essere andata oltre ogni previsione con un milione ottocentomila votanti e l’affermazione di Zingaretti con il 70% dei consensi.
Il problema ora per il PD è quello di saper leggere e interpretare le istanze degli elettori cercando di coglierne i bisogni e di saperli rappresentare nelle istituzioni.
Il flusso di voti che nelle elezioni politiche ed amministrative si sposta tra le forze politiche in continuazione denota chiaramente che esistono blocchi sociali soprattutto a sinistra i quali non riescono da tempo più a trovare un partito o movimento in grado di rappresentare le necessità di chi vive soprattutto nella povertà, nella disoccupazione e nella precarietà.
Se il popolo della sinistra non sembra più riconoscersi tra gli attuali partiti e si rifugia nell’astensionismo, nel voto di protesta o nella ricerca illusoria di scialuppe di salvataggio, è necessario che il Pd, che raccoglie molti voti nell’area progressista, si interroghi sulle politiche fondamentalmente regressive tenute negli anni in cui ha cercato e avuto il potere senza tuttavia governare seguendo i valori dell’onestà, dell’uguaglianza, della libertà e della reale partecipazione democratica che sono stati in passato il faro sia della componente comunista che di quella cattolica che hanno dato vita a quelle vittorie elettorali.
Le sezioni del Pci e perfino quelle della Dc erano palestre di confronto politico e di gestazione di risoluzione ai problemi della società.
I circoli del Pd assomigliano ad uffici contattabili su prenotazione e sembrano davvero lontani da un contatto continuo con la base elettorale.
Lo dimostra perfino il modo in cui sono stati dislocati i seggi elettorali sul territorio e la stessa carenza del sito www.pdprimarie2019.it che è stato approntato per guidare i cittadini al voto.
C’è stato chi, servendosi di tale sito, ha cercato attraverso il link predisposto di trovare il seggio utile per votare relativo al proprio comune e non vi è riuscito per tutto il tempo in cui il sito stesso è rimasto funzionante; ha provato allora a risolvere il problema rivolgendosi telefonicamente alla sede regionale del partito dalla quale nessuno ha mai risposto.
Sono esempi che testimoniano la superficialità e la disorganizzazione che regna sovrana.
Non essendo abituati a giudizi superficiali e tranchant e osservando le difficoltà di confronto dentro il PD nel corso degli anni, siamo convinti che nello stesso militino tanti soggetti intellettualmente onesti e magari in buona fede che tuttavia non riescono a vedere lo zoccolo duro che si è impadronito del partito attraverso operazioni di natura verticistico-finanziaria e lo ha dirottato verso politiche fondamentalmente di destra che sono senza ombra di dubbio la negazione dei principi ispiratori dichiarati.
Sicuramente alcuni candidati alla segreteria nazionale e a quelle regionali possono considerarsi persone apprezzabili per stile di vita e per talune posizioni tenute nel partito in questi anni; sta di fatto che questi hanno poi nelle proprie liste soggetti appartenenti a quello zoccolo duro di cui stiamo parlando.
Si tratta di compromessi di potere che ancora non permettono né al PD né a questi candidati alle varie segreterie di esprimere in modo chiaro e in forma scritta le finalità politiche e gli obiettivi precisi che essi intendono raggiungere nei prossimi anni.
In tal modo si vive in un limbo inaccettabile che non permette chiarezza alcuna rispetto a un’inversione di tendenza sulla linea politica.
Se si mantiene in vita nelle candidature chi ha portato il partito a un vero disastro elettorale che ha visto i consensi passare dal 40% al 18% vuol dire che il desiderio di rinnovare le classi dirigenti non è all’ordine del giorno.
C’è poi lo zoccolo duro di cui parlavamo che a livello nazionale e locale conserva un potere decisionale difficilmente attaccabile e che non sarà disponibile ad aprire il partito verso le altre formazioni di sinistra e tantomeno rispetto a esponenti esterni che operano in maniera libera e autonoma nella società civile sul piano culturale, sociale e politico.
Sono questi a nostro avviso i nodi finora irrisolti che si pongono anche e nonostante la vittoria di Nicola Zingaretti alla segreteria nazionale.

(Umberto Berardo – 4 marzo 2019)

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