Sono ancora episodi marginali, non generalizzabili, ma neppure isolati e trascurabili.
La soluzione di qualunque conflitto non è affidata al confronto civile e rispettoso, ma unicamente alla violenza verbale o addirittura fisica.
Prepotenza ed aggressività sembrano ormai gli atteggiamenti più comuni nelle manifestazioni pubbliche, nei luoghi di vita relazionale, nella scuola e perfino nelle famiglie.
Si moltiplicano da un po’ i casi di maltrattamenti di bambini ed anziani, di uxoricidi e di omicidi legati ad una concezione perversa di tanti che arrivano a pensare di poter disporre senza condivisione alcuna della vita altrui.
Gli eventi gravissimi durante la campagna elettorale nelle strade di Torino, Piacenza, Macerata, solo per fare alcuni esempi, devono interrogarci profondamente.
Abbiamo anche la necessità di non girare lo sguardo rispetto ai tanti episodi di bullismo, di aggressioni, d’insulti e di violenze verso il personale docente non solo da parte degli studenti, ma ormai sempre più anche dai genitori.
La situazione è degenerata al punto che il personale scolastico sta perdendo quella tranquillità psico-fisica senza la quale è sempre più difficile lavorare con serenità.
Nei giorni scorsi i social network si sono riempiti d’improperi gratuiti al sindaco di Campobasso reo di aver riaperto le scuole della città in previsione di miglioramenti meteorologici dopo qualche giorno di nevicate.
Per fortuna c’è stato anche chi, a cominciare da Francesco, un giovanissimo studente di dieci anni, ha espresso al primo cittadino solidarietà e riconoscenza per il senso di responsabilità e di civiltà dimostrata nell’occasione.
L’uccisione barbara di Pamela a Macerata e quella altrettanto selvaggia di Idy Die, un commerciante senegalese a Firenze, sono lì a gridarci la disumanità che ha raggiunto la società.
Anche all’interno delle famiglie il dialogo intergenerazionale ed il confronto pacifico tra i coniugi fa fatica sempre più a farsi strada e cede il passo a comportamenti violenti, aggressivi e talora di una brutalità sconcertante.
Di fronte ad un quadro non certo rassicurante abbiamo il dovere civico di ricercarne le cause.
La famiglia sicuramente da tempo ha rinunciato in gran parte al ruolo educativo pensando di delegarlo ad altri.
Anche la scuola, sempre più degradata dalle ultime riforme del periodo berlusconiano e renziano, si sta trasformando in un’azienda allineata ai processi neoliberisti che sostanzialmente stanno ridimensionando la libertà d’insegnamento, abbassando il livello culturale, destrutturando le metodologie di ricerca critica nel processo di apprendimento ed indebolendo l’educazione alla cittadinanza.
Gli stessi luoghi di educazione religiosa forse hanno bisogno di rivedere la loro attività sul piano della comunicazione, del linguaggio, della metodologia e della formazione degli addetti.
Dobbiamo chiederci se il virus che sta infettando di violenza individui, famiglie e società non sia da ricercare in agenzie informative ed educative nelle quali prepotenza, sopruso ed aggressività vengono sparsi a piene mani nel lessico, nei codici espressivi e negli esempi comportamentali tutti ispirati alla volontà di prevalere e sopraffare.
Occorre a tale proposito riflettere con attenzione sulle regole da porre a fondamento delle emittenti televisive e del web come sulla deontologia professionale di chi vi opera.
A questo possiamo aggiungere le regole negative di comportamento che moltissimi giovani imparano nelle baby gang e nelle bande della delinquenza adulta.
Se, come sostiene la psicanalisi, sempre più individui attraversano stati di psicopatia che impesdiscono la distinzione tra il bene ed il male, è l’azione educativa che deve aiutare a superare tali modi di essere con un processo di chiarimento cognitivo capace di evitare il plagio ed il conformismo asettici ed acritici e che sappia maturare la consapevolezza sui criteri esistenziali da assumere per impedire che la tecnica imponga stili di vita discutibili o, peggio ancora, pericolosi determinando così la fine dell’umanesimo.
Anche per il lavoro educativo che abbiamo svolto nella vita e forse soprattutto grazie ad esso non siamo al riguardo né scettici, né rassegnati e tantomeno pessimisti.
Sappiamo bene che occorre trovare gli strumenti psicologici, pedagogici e didattici necessari a riportare la società verso i valori di una convivenza pacifica, rispettosa e capace di vedere l’altro nella sua dignità da stimare, promuovere ed amare.
Non è facile in un mondo che ci invita a prevalere sull’altro, ad usarlo, a sfruttarlo e ad umiliarlo.
C’è una logica che abbiamo imparato dalla fede cristiana nella quale ci riconosciamo e che abbiamo messo a fondamento della nostra vita: il rispetto dell’altro come nostro fratello.
È il principio che dovremmo proporre ai giovani nel processo formativo ed educativo e che dovrebbe guidarli non a competere, ma a convivere.
Noi tutti abbiamo il gravissimo difetto di mettere in evidenza esempi di vita egoistici, individualisti, conflittuali, violenti piuttosto che prospettare modelli di comportamento improntati non alla ricerca di obiettivi futili ed inconsistenti, ma orientati alla sobrietà, al controllo dell’istinto ed alla maturazione di sentimenti e di affettività indirizzati alla razionalità ed alla convivenza pacifica.
Sapete quando di qualcuno si dice “è una brava persona”?
Noi appunto nelle diverse agenzie educative dovremmo lavorare proprio per formare brave persone!
È quanto riusciremo a fare solo ridando un ruolo centrale in tal senso alla famiglia ed alla scuola, le cui funzioni dovranno essere sostenute da preparazioni formative di alto livello per i componenti e gli addetti, da sostegni psicologici, pedagogici e didattici continui, da una rete strutturale adeguata alle esigenze oltre a supporti economici da parte delle classi dirigenti fuori dagli attuali livelli che risultano davvero insufficienti.
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