L’educazione come valore umanizzante



È difficile dire verso quali obiettivi e finalità sia indirizzata oggi l’educazione in Italia.
Appare evidente come essa viva una condizione problematica dovuta ad una serie di fattori che vanno dal piano legislativo a quelli pedagogici, psicologici, culturali e soprattutto strutturali.
Le agenzie educative si sono moltiplicate soprattutto con l’avvento della civiltà dell’immagine e della rivoluzione digitale ed hanno finito per prevalere spesso su quelle tradizionali che facevano capo alla famiglia ed alla scuola.
Oggi la televisione, internet ed altre forme di trasmissione del sapere come i mass-media, le chiese, l’associazionismo e le organizzazioni del tempo libero hanno assunto un ruolo dominante sostituendosi spesso alle strutture tradizionali.
La famiglia, che pure gode ancora molta fiducia come punto di riferimento, sembra in difficoltà nel qualificare i rapporti interpersonali con le nuove generazioni e nel concorrere alla definizione di visioni meno discordanti sull’esistenza; spesso pare quasi arrendersi ad una cultura liquida, per dirla con Zygmunt Bauman, frammentata e soprattutto priva di fondamenti tematici ed etici, ma anche di spirito critico.
Anche la scuola, alle prese con tentativi di cambiamento che pretendono d’indirizzarla verso una forma di aziendalizzazione utile unicamente ad un efficientismo tecnico, non riesce a far fronte alla deriva del funzionalismo pratico e del relativismo culturale.
È preoccupante soprattutto l’attacco alla libertà d’insegnamento ed alla gestione partecipata degli istituti che si era fatta strada con la nascita degli organi collegiali.
La verticalizzazione del potere sulla figura del dirigente scolastico e la concezione sempre più neutra, tecnica ed asettica, piuttosto che libera e critica, della cultura e della formazione prefigurano scenari davvero inaccettabili.
L’innesto di un maggior numero d’insegnanti di sostegno e potenziamento, i moduli di alternanza scuola-lavoro e l’incremento delle ore d’insegnamento delle lingue straniere non hanno sortito effetti positivi a causa dell’assoluta improvvisazione con cui tali progetti didattici sono stati messi in atto.
Nella scuola purtroppo continua a prevalere l’aspetto legato ad un’istruzione che è ancora incentrata spesso solo su elementi tematici e talora nozionistici piuttosto che su attività di ricerca critica miranti a far emergere negli allievi un sapere capace di guidare alla comprensione della realtà, alla sua gestione razionale con la soluzione dei problemi e ad allargare l’orizzonte verso la costruzione di un futuro sempre più a misura del bene degli esseri umani.
I giovani sono una generazione interessata, attenta, sensibile, ma manifestano forme esistenziali legate a modelli d’inautenticità che certo sono il frutto di quella civiltà dell’immagine che propone principi, valori ed obiettivi sicuramente lontani da una vita che possa avere un senso legato a progetti di valorizzazione di quanto di più umano sia in uno studente che si affaccia alle relazioni con gli altri.
Se il consumismo verso il superfluo e la ricerca del denaro sono diventati l’obiettivo della vita, forse il mondo degli adulti deve porsi qualche problema legato al rapporto di comunicazione con il mondo giovanile, chiedendosi anzitutto se non c’è stata un’assenza nella testimonianza di principi e valori legati ad un piano di autenticità nello stile di vita da ricercare per il bene comune.
Don Lorenzo Milani scriveva a tale proposito in “Esperienze Pastorali” che ci si deve chiedere non cosa si deve fare, ma come si dev’essere per fare scuola.
La stessa concezione era nell’esperienza di un altro grande maestro del pensiero pedagogico e didattico come Paulo Freire.
Soprattutto a livello adolescenziale è importante orientare i ragazzi verso l’acquisizione di una propria identità con un modo libero e personale di leggere il reale e d’immaginare il senso dell’esistenza.
In questa direzione occorre ribadire che il processo formativo non comprende solo l’istruzione, ma soprattutto la proposta educativa indirizzata ad aiutare ogni soggetto nella piena libertà ad individuare le proprie potenzialità ed attitudini per poter esprimere al meglio la propria personalità.
L’educazione tuttavia dev’essere rivolta a tutti gli aspetti di cui si compone l’allievo e cioè il corpo, l’intelligenza, l’affettività e la volontà.
L’errore di quasi tutte le agenzie educative è stato quello di curare i primi due trascurando quasi del tutto gli altri, lasciando fuori dal processo di formazione umana emozioni, umori, sentimenti e capacità decisionali.
D’altronde non era possibile attendersi altro da un corpo docente che, a parte la preparazione specifica disciplinare, presenta competenze frammentarie sul piano pedagogico e psicologico.
Chissà quando si deciderà finalmente di aggiornare la preparazione docente con anni sabbatici e conseguenti corsi di livello universitario!
La famiglia, ma soprattutto la scuola non sono riuscite davvero finora a mettere in relazione sul piano educativo gli aspetti fisici, cognitivi, epistemici, culturali, emotivi e caratteriali capaci di far nascere comportamenti liberi e responsabili.
Ci sono aspetti della personalità dei giovani che tuttora, come aveva già sottolineato Francesco de Bartolomeis in “La ricerca come antipedagogia”, sono fuori dal processo educativo e che rischiano di portare le nuove generazioni verso una cultura di un relativismo permissivo che si impone proprio in assenza del potenziamento dello spirito critico e di una libera volontà personale.
È un rischio sottolineato già da un intellettuale come Umberto Galimberti e più recentemente dal sociologo Franco Garelli nel saggio “Educazione” edito da Il Mulino.
Una cultura plurale e campi d’intervento articolati su tutti gli aspetti della personalità sono gli elementi di un processo educativo in grado di uscire da stereotipi e di porsi come processo capace di guidare i giovani a dotarsi di competenze e di valori condivisi democraticamente per affrontare in libertà e serenità il percorso esistenziale.

(Umberto Berardo – 19 giugno 2017)

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