Molti comuni molisani saranno chiamati il prossimo 11 giugno a rinnovare con le elezioni i propri amministratori.
Abbiamo letto notizie su esperienze interessanti di democrazia partecipata nella formazione delle liste che hanno consentito una larga presenza popolare nell’indicazione dei candidati attraverso consultazioni dirette in assemblee pubbliche o con suggerimenti via web.
Sappiamo anche che in altre realtà tutto è stato costruito in maniera verticistica senza alcun confronto con la cittadinanza.
L’augurio è che la campagna elettorale sia improntata ad un dibattito pacato con la popolazione per ascoltarne le esigenze ed i suggerimenti in ordine alla soluzione dei problemi più impellenti all’orizzonte.
Intanto dopo le pronunce della Cassazione in ordine alla diversificazione sui concetti di candidabilità ed eleggibilità e la nuova normativa a firma Del Rio si è cancellato di fatto l’articolo 51 del D. Lgs. 267/2000 che limitava a due il numero dei mandati consecutivi dei sindaci e dei presidenti di provincia, evitava che potesse esserci un legame troppo lungo e pericoloso di tali amministratori con il potere ed impediva che l’esercizio della politica diventasse un mestiere piuttosto che un servizio.
Ci chiediamo semplicemente se evitare il consolidarsi di una posizione statica al vertice del governo locale e creare possibilità di alternanza nella gestione dell’amministrazione pubblica non interessi più alcuna forza politica.
C’è pure un fenomeno sul quale occorre riflettere.
Ancora una volta nei nostri piccoli paesi proliferano liste di militari ed appartenenti alle forze dell’ordine che nel più dei casi nulla hanno a che fare con la realtà sociale locale ed inventano tale partecipazione alle elezioni al solo scopo di poter usufruire della licenza speciale prevista per l’intera durata della campagna elettorale dall’art. 6 comma tre della legge 382 del 1978 e dall’art. 81 comma due della legge 121 del 1981 recanti norme di principio sulla disciplina militare.
Può esserci il caso di un appartenente alla forze dell’ordine che si candidi in una lista del proprio comune o di quello in cui lavora con l’intenzione di mettersi al servizio della cittadinanza, ma ci pare ineccepibile, invece, come è stato fatto nei giorni scorsi, che sui social si condanni il malcostume di chi, attraverso una finzione ed usufruendo di tale normativa, cerchi unicamente vantaggi per la propria esistenza che appaiono eticamente deplorevoli.
Tutto questo in ogni caso non è sufficiente a risolvere il problema che in modo semplice si può superare eliminando per le campagne di propaganda il diritto alla licenza speciale per i militari ed al permesso elettorale per tutti i lavoratori dipendenti che oltretutto discriminano e penalizzano in modo inaccettabile i candidati che operano come lavoratori autonomi.
Il lavoro per la raccolta del consenso elettorale si può fare tranquillamente nelle ore non lavorative consentendo in tal modo allo Stato un notevole risparmio economico dovuto al mancato pagamento di personale sostitutivo.
Ci auguriamo che il prossimo 11 giugno i cittadini interessati al voto sappiano scegliere candidati onesti, preparati, disponibili ad amministrare disinteressatamente ed a confrontarsi umilmente con la popolazione.
Un voto di opinione lontano dai feudi elettorali sarà l’unico in grado di esprimere sindaci e consiglieri comunali capaci, liberi e democratici.
Qualche considerazione va fatta poi sulle elezioni regionali che si terranno nel febbraio 2018.
Mancano dei mesi, i problemi languono irrisolti o si affrontano secondo le logiche della plutocrazia neoliberista, ma da tempo è iniziato il movimento trasformistico di riposizionamenti e ricollocazioni in vista di candidature ottimali per la conquista dei seggi in Consiglio Regionale; ferve anche un certo confronto, anche se attualmente purtroppo è rinchiuso nei salotti angusti dei talk show che tra l’altro, come d’abitudine, sono molto limitati nell’apertura a forme di partecipazione della popolazione quasi mai presente in studio, nelle piazze o in collegamento telefonico o telematico.
Qualche sera fa abbiamo avuto modo di seguire su un’emittente televisiva i suggerimenti di esponenti del mondo politico regionale che hanno già ricoperto ruoli istituzionali, i quali sostenevano, criticando la gestione a loro dire fallimentare del governatore Frattura, la necessità di superare il trasformismo messo in atto nell’ultima tornata elettorale e di giungere alla definizione di un programma essenziale per la regione da definire e possibilmente realizzare attraverso una coalizione allargata nel campo delle migliori forze del centrodestra e del centrosinistra.
In proposito vorremmo sommessamente sottolineare come le responsabilità sull’attuale situazione in Molise vadano ricercate a nostro avviso nell’azione inefficiente di diverse giunte regionali che certo non hanno brillato nell’affrontare le problematiche che viviamo e di cui in più di un’occasione ci siamo occupati.
Vorremmo anche far rilevare che coalizioni cosiddette allargate rischiano di essere conflittuali o addirittura molto pericolose quando i soggetti o le forze politiche che le determinano o le compongono non hanno un minimo comune denominatore ovvero una visione quantomeno analoga dell’organizzazione sociale e dei diritti fondamentali dei cittadini.
Anche se provvisoria e comunque immaginata per una sola legislatura, una coalizione ibrida sarebbe a nostro avviso illogica, politicamente incomprensibile ed impossibilitata a predisporre un programma di governo condiviso della regione.
Su questioni di fondamentale importanza per la difesa di servizi fondamentali alla popolazione come quelli della sanità, del lavoro, della cultura, dell’acqua, delle comunicazioni sinceramente non abbiamo visto né in consiglio regionale e tantomeno sul territorio un grande impegno di contrasto alle decisioni dei governi regionali che si sono susseguiti da molti anni.
Di opposizione se n’è vista poco e spesso non è stata neppure cristallina.
Di positivo nelle rivendicazioni sociali e civili abbiamo costatato unicamente la presenza di associazioni, comitati di cittadini e qualche amministratore che hanno operato sul piano critico, nell’elaborazione di idee alternative e nell’azione di lotta per trovare le vie migliori alla soluzione dei problemi della regione.
Il trasformismo come sistema di collocazione e ricollocazione elettorale o come via al raggiungimento del potere va sicuramente combattuto ed isolato e chi vuole rinnovare la politica deve di certo superare divisioni talora incomprensibili e comunque perdenti.
Certo allora che si può e si deve pensare alla creazione di un cartello elettorale per le elezioni regionali, ma lo stesso deve nascere in modo nuovo dai movimenti di base e soprattutto deve avere una sua omogeneità ideale e pragmatica perché l’ideologia non è una parolaccia, ma un quadro di riferimenti culturali, etici e valoriali che indicano la barra dello stile di vita di ciascuno e l’orientamento dell’azione politica.
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