Referendum: le ragioni di una scelta



Diversi istituti demoscopici ci dicono con estrema chiarezza che tra i primi dieci problemi che gli italiani pongono in cima ai loro pensieri non c’è quello della riforma costituzionale, avvertita come una necessità da appena l’8% dei cittadini.
Qualunque persona di buon senso sa che le grandi questioni aperte per il futuro del nostro Paese sono altre.
Ormai dal 2008 le priorità risultano essere il superamento della crisi economica causata da un neoliberismo selvaggio e senza scrupoli, la diminuzione e possibilmente il superamento della disoccupazione, la redistribuzione equa e generalizzata del lavoro e della ricchezza secondo criteri di giustizia sociale, la qualità della vita in tutti i suoi aspetti, il superamento della corruzione, della malavita e della delinquenza su tutto il territorio nazionale, la garanzia di sistemi sanitari e scolastici pubblici, efficienti e ben strutturati.
Abbiamo quasi nove milioni di cittadini nella “povertà assoluta”, mentre la ricchezza si concentra in percentuali sempre più ridotte di popolazione.
La verità è che gli esclusi non hanno più rappresentanza neppure da forze politiche che un tempo ragionavano forse ipocritamente di giustizia sociale ed ora sono state risucchiate nella quasi totalità dal neoliberismo dilagante.
Un governo che si rispetti pone ascolto ai problemi ed alle richieste popolari ed opera in tale direzione.
Non è così per quello attuale che da mille e più giorni tiene l’Italia avviluppata intorno ad una crescita dell’economia che si muove di appena lo zero virgola qualche striminzito decimale, ha eliminato la sicurezza del rapporto lavorativo con il Job Act, ha modificato in forma aziendale ed involutiva il sistema educativo con la “Buona Scuola” che viene contestata nel Paese un giorno sì e l’altro pure, ha dato vita ad una legge oligarchica come l’Italicum, profonda degenerazione di un sistema democratico già molto discutibile, e sta provando a porre le basi per una privatizzazione del sistema sanitario con le cosiddette integrazioni pubblico-privato.
Ebbene, cari lettori, non sappiano Renzi donde lo desuma, ma continua ogni giorno a sostenere che la riforma costituzionale viene chiesta da un popolo che non solo non ha mai messo in piedi una proposta direttamente, ma neppure attraverso i suoi organi rappresentativi di base.
Non torneremo sulle motivazioni relative al nostro convinto “NO” a questo confuso e farraginoso tentativo di stravolgere in modo pericoloso per le istituzioni democratiche un impianto costituzionale che vede modificati ben quarantasette articoli.
Abbiamo scritto a sufficienza sulle ragioni del nostro modo di pensare al riguardo e pensiamo schematicamente che occorra:
Assumere coscienza e rendere partecipi tutti che le difficoltà di funzionamento delle istituzioni riguardano l’inefficienza delle classi dirigenti e non tanto le regole di base fissate nell’attuale Costituzione, mentre altri, più gravi ed urgenti, sono i problemi del Paese;
Opporsi ad una riforma confusa e pasticciata approvata da un Parlamento di nominati solo grazie al voto di fiducia;
Aprirsi ad un miglioramento reale nel funzionamento delle istituzioni, frutto però dell’elaborazione di idee da parte di un’Assemblea Costituente dove ci sia competenza giuridica e padronanza della lingua italiana;
Impedire che si cancellino, con il criterio della nomina e dell’elezione di secondo livello, i principi della sovranità popolare e del “suffragio universale e diretto” fissati con chiarezza per l’elezione dei parlamentari nell’attuale Costituzione agli articoli 1, 56 e 58;
Mantenere fermo il principio di democrazia rappresentativa e parlamentare con una chiara separazione e suddivisione dei poteri che non vanno spostati in modo oligarchico sui partiti e sull’esecutivo, per il quale tra l’altro il voto di fiducia sarebbe una pura formalità dopo un’elezione con premio di maggioranza previsto da una pessima legge come l’Italicum;
Opporsi ad un’assemblea di senatori non più eletta dal popolo e ridimensionata nelle competenze, che oltretutto non permette di superare il bicameralismo perfetto poiché comunque il Senato può presentare progetti di legge all’altro ramo del Parlamento, ma anche richiamare a sé una legge in discussione alla Camera per esaminarla e deliberare proposte di modifica;
Bloccare le contraddizioni e le confusioni degli iter legislativi previsti nell’art. 70 del nuovo testo costituzionale come pure nel primo comma dell’art. 117 che, legando la potestà legislativa della Stato e delle Regioni ai “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”, di fatto in tale formulazione potrebbe cancellare la sovranità legislativa delle istituzioni italiane;
Impedire l’aumento del numero delle firme richieste per il referendum abrogativo da 500.000 ad 800.000 e per le leggi di iniziativa popolare da 50.000 a 150.000;
Coscientizzare le forze politiche sulla necessità di attuare i principi della vigente Costituzione Italiana.
La nostra convinzione profonda è che l’idea di una riforma costituzionale, che ha attraversato diversi governi in Italia, sia propria di un potere finanziario ed imprenditoriale globalizzato che vede nella sovranità popolare e negli organi di rappresentanza un intralcio sempre più fastidioso per decisioni di natura economica e politica che si vogliono rendere sempre più verticistiche e veloci, ma anche al riparo dal confronto parlamentare e popolare.
Questo potere, per dirla con chiarezza, sta appaltando ai governi una trasformazione delle carte costituzionali antifasciste per renderle progressivamente adeguate alla trasformazione delle democrazie parlamentari in repubbliche presidenziali funzionali alle oligarchie di turno.
Purtroppo questi ultimi giorni di campagna referendaria si stanno giocando su promesse vaghe di modifica della legge elettorale, su mance propagandistiche annunciate a destra e manca, sulle paure psicologiche create ad arte dai fondi d’investimento e da organi d’informazione che evocano catastrofi in borsa, ma soprattutto sulla denigrazione delle posizioni altrui.
Certo sono sicuramente incomprensibili, indifendibili ed insostenibili le metodologie di raccolta ed espressione del voto suggerite da De Luca in Campania o le ragioni ipocrite avanzate di recente da Berlusconi per spiegare il voto della galassia Mediaset.
Sentir parlare in modo sempre più frequente del raggruppamento avverso al proprio come di “accozzaglia” o di “serial killer” è davvero pericoloso perché rischia di creare nel Paese contrapposizioni e steccati difficilmente sanabili in un momento in cui c’è invece sicuramente il bisogno di sostenere con forza le proprie tesi, possibilmente lontani da slogan di natura robotica, ma anche di tenere un comportamento civile, onesto e rispettoso sul piano linguistico, intellettuale e politico che difenda la libertà di voto per tutti.
Invece delle invettive, dei toni apocalittici o delle ridicole liste di personaggi schierati per l’una o l’altra posizione, che dovrebbero nelle intenzioni condizionare gl’indecisi, sarebbe onesto, razionale e lodevole se, come abbiamo suggerito sul web, si indirizzassero gli elettori verso una lettura comparata e critica relativa agli articoli del testo attuale della Costituzione Italiana e di quelli previsti nella riforma su cui si andrà al voto.
È l’unica cosa seria da fare, mettendo in moto capacità di analisi e spirito critico, ma ricordando pure che la riforma prevista va valutata non sui singoli aspetti, ma nella sua complessità e nella legittimità ed efficacia dei fondamenti essenziali che costituiscono le basi di una convivenza civile e democratica.

(Umberto Berardo – 25 novembre 2016)

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