Le banche da istituti di credito a istituti di arbitraggio a scrocco



Durante la campagna elettorale, dipanatasi tra promesse mirabolanti e interviste modello scendiletto, lo sconquasso del sistema bancario che aveva infiammato le prime pagine fin quando c’era da regolare i conti tra bande, è sparito dai radar. Le pietre da scagliare sono state debitamente riposte negli scantinati e Renzi era persino tornato a magnificare la solidità di MPS.
Adesso che il campanello della ricreazione è suonato chi si troverà a fare il capoclassesi dovrà rendere conto che ampi segmenti del settore bancario sono ancora agonizzanti, nonostante i soldi pubblici bruciati nel calderone per coprire le reponsabilità nel malaffare. E senza un sistema bancario ragionevolmente sano le imprese non investono, quindi non assumono e la ripresa arranca. Il minimo sindacale di attenzione mediatica si è concentrato sui crediti deteriorati o inesigibili, ma questo è solo un aspetto del verminaio. Le conseguenze devastanti sull’economia, ancora in stato comatoso, vengono inflitte dal modus operandi abituale degli istituti di credito che spesso andrebbero definiti più propriamente “istituti di arbitraggio a scrocco”.
Cosa succede di consueto nelle agenzie e filiali delle banche lontano dai riflettori, dalle inchieste, dai convegni, dai titoli dei giornali?
L’aneddotica non è esattamente edificante. Ad esempio nell’operosa Milano, che secondo la propaganda traina la ripresa, un’azienda senza debiti, con forte patrimonializzazione e con un solido portafoglio ordini richiede ad una delle banche francesi (boccheggianti all’epoca di Lehman Brothers, ma ovviamente salvate dai generosi prestiti del governo francese) una fideiussione per garantire l’affitto del capannone, come è pratica comune.
L’ammontare rispetto alla patrimonializzazione e al giro d’affari è minimo, ma il funzionario risponde che per una fideiussione di 55,000 euro la banca francese richiede a garanzia il deposito di titoli primari per un importo 55,000 euro. Inoltre la suddetta banca per l’anticipo di fatture richiede la fideiussione dei soci (dopo esame della denuncia dei redditi) e peraltro l’anticipo non può eccedere il 20% dell’80% (sic!) del valore della fattura. Che senso avrebbe depositare titoli primari in banca per ottenere una fideiussione su cui pagare interessi e commissioni? Tanto varrebbe vendere i titoli e pagare l’affitto anticipatamente. Ma questa logica elementare sembra sfuggire ai geniali banchieri francesi che però sono autorizzati a raccogliere risparmio nel Belpase, di fatto sottraendo risorse al sistema economico.
Altra banca altra storia. Qui c’è in ballo la legge Sabatini che concede benefici in conto interessi alle imprese per acquistare o acquisire in leasing macchinari, attrezzature, impianti, beni strumentali ad uso produttivo e hardware, nonché software e tecnologie digitali. Però si richiede che ci sia una garanzia fornita da un consorzio. Quindi il beneficio in conto interessi finisce in buona parte al consorzio di garanzia e non all’impresa. Ma non è finita. La banca pretende, manco a dirlo, anche le fideiussioni personali dei soci e degli amministratori. Se questa fosse pratica comune Marchionne dovrebbe garantire i debiti della FCA con i suoi bonus e le sue stock options e John Elkann dovrebbe ipotecare tutto il patrimonio di famiglia. 
E se la ricchezza personale dei soci eccede di gran lunga il valore del credito? Beh allora il corto circuito logico si intensifica. Il tasso di interesse applicato dagli istituti di scrocco viene determinato dal rischio di credito della società di capitale, cioè dalla consistenza patrimoniale netta dell’azienda. Ma se i soci chiamati a garantire hanno un patrimonio di gran lunga superiore al debito, il rischio di credito in realtà è quasi nullo. Ad esempio è di gran lunga inferiore al rischio sul debito pubblico italiano che ha un rating quasi da junk bond. Quindi un’azienda i cui soci e amministratori abbiano una solida posizione patrimoniale non dovrebbe pagare un interesse superiore a quello dei BTP. Al contrario il Tesoro beneficia di interessi negativi mentre chi produce viene taglieggiato. 
Questi sono solo esempi eclatanti del tipo di pratiche che ormai costituiscono il sistematico trattamento umiliante per le piccole imprese da parte di alcune banche (non tutte, ci tengo a precisarlo) che magari senza battere ciglio si accollano i miliardi debiti accumulati dalla dinasty De Benedetti. Sarebbe estreamamente utile che voi lettori ci inviaste esempi analoghi con cui corredare questo post in modo da squarciare la cortina di silenzio.
Forse si potrebbero individuare le banche che sistematicamente stendono tappeti d’oro ad imprese dalla dubbia solidità ma ben protette, mentre massacrano le piccole imprese sane, senza che la Banca d’Italia inarchi un sopracciglio. Mettendo insieme i casi individuali si potrebbe ricostruire questo meccanismo alterantivo di usura he distrugge la parte sana dell’economia per suddiare il marciume. 
E Dio ce ne scampi, non saremo noi a sospettare che a Palazzo Koch siano in estasi se banchieri incompetenti (protetti da una Maginot di menzogne) prendono a prestito i soldi a tasso negativo dalla BCE e infiocchettano i bilanci grazie all’arbitraggio sui titoli di stato o sui mutui a basso rischio. Non saremo noi a sospettare che il governo dal canto suo chiuda occhi, orecchie e orefizi assortiti perchè così rifila agevolmente alle banche una paccottaglia di titoli quasi spazzatura, proprio quando servono disperatamente fondi per comprare i voti dei dipendenti pubblici e pagare le fritture di pesce clientelari.
E non vorremmo neanche sospettare che non appena i tassi di interesse saliranno, il capitale delle banche subirà un altro tracollo. A quel punto basterà mandare un esposto alla Procura di Trani per denunciare un altro ignobile complotto di Deutsche Bank o delle agenzie di ratings, mentre i passeri che nidificano nel giardino di Palazzo Koch si chiederanno come mai improvvisamente dalle auguste stanze provengano tanti fischiettii di merli giulivi.

(Fabio Scacciavillani – 10 marzo 2018)

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