Morale, individuo e società
La morale è l’insieme dei presupposti e dei principi psicologici e spirituali che indirizzano le azioni umane qualificandole buone o cattive sulla base di valori di riferimento; la moralità, invece, è l’accettabilità di un fatto in relazione ad un insieme di valori; in ogni caso per capire l’origine di entrambe sul piano naturale e storico occorre sicuramente fare riferimento sul piano scientifico alla filosofia, all’etologia, alla psicologia, alla psicanalisi, ma soprattutto all’etica, come indagine sul comportamento umano di fronte ai concetti di bene e di male.
Se la morale sia propria solo degli esseri umani o anche di altri viventi, se essa sia un elemento naturale o piuttosto storico, culturale e sociale è una questione dibattuta da grandi studiosi come Immanuel Kant, Thomas Henry Huxley o Charles Darwin, solo per fare qualche esempio.
Sicuramente ci sono animali che hanno il senso del bene e del male pur non riuscendo a definirne i termini sul piano del diritto come fanno le persone.
È altresì indubbio come la capacità morale di distinguere il bene dal male sembra appartenere in modo biologico ad ogni uomo o donna sin da piccoli, come dimostra la psicologia infantile, mentre è altrettanto chiaro che la presenza di un sistema morale come capacità di costruzione di un impianto normativo e di elaborazione di un insieme di valori condivisi appartiene sicuramente a processi di tipo storico e culturale posti in essere in secoli di civiltà nel corso dei quali sono variati i punti di riferimento delle azioni, i fini delle stesse e il medesimo giudizio sul comportamento individuale e collettivo.
Non è facile rispondere in maniera univoca sull’origine delle qualità morali della persona visto che alcuni le considerano innate, taluni le vedono come il frutto di un processo di adattamento alla realtà e altri le ritengono un dono di natura trascendente.
Una cosa è certa: l’essere umano può commettere il male quando si lascia andare all’istinto o segue principi tendenzialmente perversi, ma è capace di realizzare il bene se a guidarne le azioni sono la razionalità di pensieri e valori improntati ad una convivenza nella società capace del rispetto dell’altro.
La ricerca sulla nozione di bene ha avuto diversi suggerimenti di senso esistenziale nel corso dei secoli.
Con Omero si sono affermati il coraggio e la pietà, con Esiodo l’operosità e la frugalità, la perfezione assoluta in Aristotele, la ricerca della felicità nell’edonismo epicureo, l’amore incondizionato per gli altri nel Cristianesimo, la realizzazione delle virtù umane e civili con l’Umanesimo, la ricerca del piacere e dell’inserimento libero ed attivo nella società con l’Illuminismo, fino all’adeguamento all’imperativo categorico di Kant o allo sviluppo pieno del concetto di libertà personale con l’Idealismo o al principio anglosassone di un utilitarismo finalizzato alla realizzazione della maggiore felicità possibile fino alla scelta di un concreto impegno sociale e politico per il miglioramento della qualità della vita proposta dall’Esistenzialismo e dal Pragmatismo americano o una forma di neocontrattualismo normativo per realizzare la giustizia proposto da J. Rawls.
Nonostante tali numerosi tentativi di porre a fondamento della collettività principi e comportamenti finalizzati al bene comune, la storia è piena di eventi legati a fini egoistici di affermazione del proprio tornaconto con la negazione del bene dell’altro e di quello comune.
Di fronte alle tante atrocità commesse da singoli individui o da sistemi politici nel passato e nel presente le analisi sul rapporto tra morale, individui e società diventa comunque necessaria, ma tanto più urgente in una società complessa come la nostra in cui i giudizi formulati dai diversi gruppi sociali sembrano talora antinomici e contraddittori.
Le idee di dittatura, di colonialismo, di soggezione e di sfruttamento dell’altro, di guerra e di occupazione territoriale e di terrorismo che hanno creato miseria ed insanguinato il nostro pianeta sono la dimostrazione che la morale non sempre è di casa intorno a noi.
Nella società il potere persuasivo è sempre esistito per il bene come per il male.
È chiaro a tutti che per garantire la convivenza a livello locale e globale non possiamo permetterci di cadere nel relativismo o nel nichilismo, perché la collettività rischia di rimanere senza fondamenti etici.
Nonostante i differenti orientamenti di pensiero e di vita, gli uomini sono stati capaci talora di cercare e trovare spesso sintesi accettabili nell’elaborazione di regole per la civile convivenza.
Questo è quello di cui abbiamo bisogno soprattutto in quest’epoca così contrastata e spesso buia.
Se la morale non è né solo naturale e tantomeno assoluta, come taluni vorrebbero, ma, in una visione dinamica, frutto di un rapporto dialettico con la natura del pensiero filosofico e teologico come dell’evoluzione culturale e scientifica, è certo comunque che abbiamo la necessità di darci griglie valoriali e normative capaci di dare un fondamento al nostro vivere.
Tale riflessione ha bisogno di suggerimenti utili in ordine alla costruzione di principi di etica applicata e di determinare organismi e modalità di elaborazione di regole condivise.
Noi crediamo che il fondamento di una moralità partecipata debba essere ricercato nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, che le norme vadano definite in organismi internazionali a base democratica reale e che esse siano improntate alla garanzia del bene individuale, sociale e dell’intera biosfera, eliminando intorno a noi ogni azione di violenza capace di ledere il rispetto per l’altro.
La storia crediamo ci abbia insegnato a sufficienza che la creazione di tali presupposti preveda un lavoro certosino fondato soprattutto su procedimenti politici ed educativi, perché la bontà ed il bene come la formazione di coscienze libere e responsabili si costruiscono sistematicamente.
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