Europa ed euro: l’Italia al bivio



La provinciale ossessione per la legge elettorale, a cui schiere di vecchi falliti e novelli demagoghi affidano l’ambizione di partecipare all’orgia del potere, ha oscurato il vento nuovo che soffia in Europa. Un vento che per questa Italia governata alla stregua di una satrapia centroasiatica addensa nubi di tempesta.
L’elezione di Macron ha brutalmente decapitato tutte le velleità eurofobiche emerse in questi anni. Persino la Le Pen ha mestamente calato il capo ammettendo che le smargiassate anti-euro erano state esiziali per le sue sorti politiche. Dopo le batoste elettorali in Francia, Spagna, Austria e Olanda ormai solo in Italia resisitono le sacche di vetero-demenza politica incarnate dai cosiddetti sovranisti che vorrebbero il ritorno alla lira e magari alla ciofeca autarchica.
Nel resto dell’Unione il mandato politico per un’Unione Europea federale acquisirà un peso ancora maggiore specie dopo le elezioni legislative Francia nelle prossime due domeniche e quelle tedesche in settembre dove sia la Merkel che il modesto rivale socialdemocratico Martin Schultz si presentano con un programma marcatamente europeista, e gli estremisti di Alternative für Deutschland si avviano verso l’irrelevanza.
Paradossalmente il presunto successo sovranista, incarnato dalla Brexit, nella realtà dei fatti si è trasformato in un propellente per l’Europa unita. I britannici per anni hanno inteso l’Unione europea solo come un’area di libero scambio gestita da istituzioni deboli e marginali. L’idea di unione federale a Londra era considerata anatema. Pertanto, avviluppati nella gretta insularità hanno di fatto per quaranta anni opposto e spesso sabotato ogni tentativo di costruire un’unione federale e delle istituzioni comuni a cui delegare i poteri in modo che l’Europa non rimanesse un nano politico. L’ingloriosa parabola politica di una donna mediocre, infida e priva di idee come Theresa May e dei suoi accoliti capitanati da Boris Johnson è una nemesi crudele al punto giusto.
Con il Regno Unito in stato confusionale, tra Francia e Germania si è stabilita un’intesa piena come non accadeva da decenni. Il motore franco-tedesco che ha sempre spinto l’integrazione si è riacceso: pertanto chi non terrà il passo resterà indietro. Pertanto l’Europa viaggerà a due (o più) velocità grazie alle cooperazioni rafforzate, previste dal Trattato di Lisbona tra paesi che vogliano gettare il cuore oltre l’ostacolo e mettere in comune i loro destini.
L’agenda politica, che verrà lanciata dopo le elezioni francesi, è stata indicata dal Ministro tedesco delle Finanze Schauble che prevede in primo luogo il trasferimento dei poteri fiscali ad un Ministro del Tesoro europeo. In una prima fase, pragmaticamente, senza cioè dover imbastire un lungo e tortuoso processo di revisione dei Trattati si dovrebbe trasformare l’ESM in un Fondo Monetario Europeo con poteri pervasivi di sorveglianza e possibilmente di intervento sulle leggi di spesa. I paesi che rifiutassero di adottare la disciplina fiscale verrebbero esclusi dall’uso dei fondi e subirebbero la punizione dei risparmiatori. In secondo luogo per impedire che una crisi fiscale si trasmetta al sistema bancario, Schauble da tempo invoca che i titoli pubblici detenuti dalle banche non possano essere considerati come privi di rischio (perché induce ad una malagestio del risparmio e degli attivi patrimoniali). Anzi a nessuna banca dovrebbe essere permesso di detenere titoli pubblici del proprio paese, che per l’Italia significherebbe un colpo brutale alla capacità di piazzare le emissioni del Tesoro. Schauble chiede questa misura come precondizione per istituire una vera unione bancaria continentale, che altrimenti si trasformerebbe nel cavallo di Troia dello statalismo clientelare e irresponsabile. E in aggiunta Schauble invoca che ogni emissione di titoli pubblici contenga un’esplicita clausola che indichi le procedure da seguire in caso di default dello stato emittente.
L’euro è stato un’àncora di stabilità per l’Europa e la barriera che ha protetto il continente dalle conseguenze devastanti della Grande Recessione. Senza l’euro Spagna, Italia, Portogallo e tante altre piccole economie avrebbero imboccato una spirale inflazione, svalutazione, depressione simile all’esperienza latinoamericana degli anni ‘70 e ‘80. E infine le derive di stampo peronista nei paesi governati da incompetenti e irresponsabili, avrebbero distrutto il residuo benessere.
Invece oggi l’area euro, come ha annunciato Draghi, è uscita dalla crisi sia pur con grandi sforzi e la BCE è stata in prima linea, nonostante gli ignobili attacchi subìti da politicanti corrotti e vigliacchi. Con le previsioni che puntano al sereno in Europa si profila un enorme cambiamento per l’Italia. Finora il Quantitative Easing, vale a dire l’acquisto di titoli di stato da parte della BCE ha permesso ad un paese fortemente indebitato come l’Italia di pagare interessi ridicoli. I titoli a breve del debito pubblico italiano hanno addirittura un tasso negativo, mentre sulle scadenze più lunghe il Tesorto italiano paga meno del Tesoro americano, grazie, appunto, alla determinazione di Draghi nel combattere la deflazione e tenere in piedi l’unione monetaria.
Ma le circostanze eccezionali stanno terminando e la manna da Francoforte non durerà in eterno. Quando la monetizzazione del debito pubblico operata dalla BCE finirà e i titoli accumulati verranno riversati sul mercato, la sostenibilità del debito pubblico italiano sarà messa a durissima prova. La fine del QE sarà il bacio della morte per un’economia allo sbando, se al governo non ci saranno persone in grado di stendere una rete di protezione e di far agganciare al Paese la ripresa globale.

(Fabio Scacciavillani – giugno 2017)

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