Idee confuse e prospettive sulla questione libica



Certo che noi italiani siamo davvero un popolo difficile da capire!
Rispetto ai conflitti che si sono aperti nel mondo ed ai problemi conseguenti non abbiamo mai cercato di fare mente locale, di affidare subito ad esperti lo studio delle questioni e di aprire il confronto tra la popolazione, ma abbiamo lasciato che dichiarazioni istintive ed incomprensibili percorressero la bocca di ministri che hanno blaterato di tutto e di più, tranne poi smentire o ridimensionare quanto affermato.
In moltissimi casi siamo andati tranquillamente a rimorchio di decisioni altrui, anche quando queste erano palesemente contro articoli della nostra Costituzione e perfino nel caso in cui si ritorcevano pesantemente contro l’interesse nazionale.
Abbiamo così accettato, solo per fare qualche esempio, la Guerra del Golfo del 1990-91 o quella contro la Libia del 2011.
Noi siamo inseriti in organizzazioni internazionali rispetto alle quali, tuttavia, spesso manifestiamo incapacità di autonomia e di giudizio critico.
In questi giorni siamo di fronte a posizioni del governo italiano rispetto alle minacce dei militanti dell’ISIS dalla Libia che hanno davvero dell’incredibile.
Il centro del potere del cosiddetto Stato Islamico o Califfato che dir si voglia è in Iraq e Siria e da lì ha cominciato a diffondere azioni di violenza, di brutalità e di orrore in diverse aree geografiche.
La comunità internazionale al riguardo si è limitata finora ai bombardamenti con i droni o a sostenere malamente la lotta di Curdi, un tempo perseguitati, o più tardi della Giordania, pensando ancora una volta che la soluzione unica e definitiva sia quella delle armi e della violenza.
Ora l’Italia ed altre nazioni europee, dopo aver fatto crescere il potere anche militare dell’ISIS, si muovono spinte dal pericolo che si avvicina alle porte di casa, ma ancora una volta sembrano voler ripercorrere gli errori di sempre.
Nei giorni scorsi si è parlato di un intervento militare in Libia dimenticando che lì di caos noi europei insieme agli Stati Uniti ne abbiamo già creato troppo.
Qualche giorno fa abbiamo sollecitato l’indizione di una conferenza internazionale sul problema ISIS capace di studiare un itinerario diplomatico in grado di portare all’assunzione di responsabilità non solo i Paesi occidentali, ma evidentemente anche quelli islamici.
Se l’Occidente capisce che deve finire qualsiasi logica di tipo neocoloniale ed i Paesi arabi che occorre isolare il terrorismo sul piano economico, politico, culturale, religioso e mediatico forse si comincia a delineare la strada che può portare ad una convivenza pacifica su questa Terra.
Oggi abbiamo popoli presso i quali la civiltà ha portato alla dichiarazione di tanti diritti della persona, ma essi sono limitati solo a certe aree geografiche come a percentuali ridottissime della popolazione e non sono coniugati ancora a livello mondiale.
Il mondo occidentale ad esempio non sa o non vuole condividere con il resto dell’umanità la tutela della salute ed il benessere; anzi gli altri sono solo visti in funzione del proprio arricchimento.
Ci sono popoli poi che devono uscire da radicalismi religiosi o ideologici che vorrebbero negare uguali diritti per tutti ed appaiono incapaci di dialogo interculturale.
Paesi che si arricchiscono con il commercio delle armi devono capire che il terrorismo si combatte certo all’interno delle aree geografiche in cui si sviluppa con la crescita della ricerca culturale e con l’incontro diplomatico tra tutti gli attori in campo, ma anche con un cammino che necessariamente deve portare l’umanità verso il disarmo.
L’Italia in merito non può dare lezioni a nessuno perché le armi le produce, le vende e le compera come sta facendo ora con gli F-35.
Intanto il terrorismo va isolato sul piano dei finanziamenti economici e nella fornitura delle armi.
Ci sono nazioni al riguardo che bleffano perché, pur dichiarandosi ieri contro Al Qaeda ed oggi contro lo Stato Islamico, in realtà continuano tranquillamente a finanziare simili movimenti del terrore.
Sono queste a nostro avviso le linee di azione verso le quali occorre che si muova la governance mondiale, le cui organizzazioni, spesso inefficienti ed incapaci, vanno al più presto riformate, rese sempre più democratiche e dotate di mezzi e strutture politiche utili per l’operatività intorno ai conflitti che insorgono nella convivenza tra i popoli.
Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, riunito il 18 febbraio ha escluso al momento qualsiasi intervento militare in Libia, proposto ad esempio dall’Egitto, optando per una soluzione diplomatica che dovrebbe prevedere un cessate il fuoco ed un tentativo di accordo tra i gruppi che occupano le diverse città del Paese con la possibilità di giungere ad un governo di unità nazionale.
Non sarà facile mettere d’accordo Fair Libya, milizie islamiche vicine ai Fratelli Mussulmani che occupano Tripoli, Misurata e Sirte, Ansar Al Sharia, Jihadisti partigiani della legge islamica presenti a Bengasi ed il Governo riconosciuto di Abdullah Al Thani a Tobruk.
Realizzato tale progetto di stabilità della Libia, che proprio noi occidentali abbiamo destrutturato come tante altre aree geografiche, c’è da risolvere contestualmente l’isolamento di Abu Bakhr Al Baghdadi, che con suoi seguaci è riuscito ad arrivare nella zona di Derna.
Quest’ultimo obiettivo è ottenibile solo con l’emarginazione totale sul piano economico, militare e politico del terrorismo da parte di tutti i Paesi che detestano la barbarie ed hanno a cuore la pace.
L’operazione avanzata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che ovviamente ci auguriamo non sia indirizzata verso un prendere tempo, appare difficile; perciò va condotta in tempi brevi ed affidata a diplomatici in grado di tessere le fila della composizione dei conflitti presenti attualmente in Libia che, come sappiamo, riveste un ruolo importantissimo nel Mediterraneo.

(Umberto Berardo – 19 febbraio 2015)

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