Lontani dall’orrore, qualunque ne sia la motivazione



Tante sono state le vittime degli attentati terroristici a Parigi, mentre i filmati hanno dimostrato chiaramente la carenza di intelligence.
Per qualche giorno la capitale francese è stata al centro dell’attenzione pressoché esclusiva dei mass-media, mentre gli integralisti islamici di Boko Haram lanciavano un violento attacco alla città di Baga ed ai villaggi circostanti nel nord-est della Nigeria con l’intento dichiarato di costruire un califfato. Lì ci sono state oltre duemila vittime tra la popolazione civile in fuga: un massacro!
Ancorché rappresentata da un ONU nato e costruito senza veri criteri di democrazia, esiste ancora una comunità internazionale che abbia le strategie e la capacità di far rispettare diritti internazionali condivisi?
Quanto è avvenuto a Parigi deve coinvolgerci nella pietà per le vittime e nella condanna del terrore senza distrarci dalla violenza contestuale esistente con diverse responsabilità in Ucraina, Palestina, Siria, Iraq, Afganistan, Pakistan, Libia, Somalia, Mali, Ciad, Nigeria ed in tante altre parti del mondo in cui per motivi legati a false ed egoistiche ragioni di natura economica, politica, ideologica e perfino religiosa si disegnano scenari di brutalità capaci di umiliare la dignità della persona umana e di colpirne anche la sacralità della vita.
Se la follia di esaltati, privi ormai di ogni barlume di ragione e di umanità, li spinge in Nigeria ad utilizzare come kamikaze ignare bambine o a far uccidere un prigioniero da un ragazzo di appena dieci anni, evidentemente siamo davanti a soggetti allo stesso tempo fascisti, brutali e disumani.
Non ci intimorisce, ma ci preoccupa ed indigna il fanatismo e la sua ricerca di potere dittatoriale, come pure la rinascente voglia di neocolonialismo culturale ed economico presente in diversi Stati e gruppi culturali e religiosi.
Esprimiamo la nostra deplorazione per il terrorismo e le dittature sanguinarie in tutto il mondo, ma dichiariamo anche responsabili di tali fenomeni tutti quei Paesi o quelle lobbies economiche e politiche che li hanno sostenuti quando permettevano loro di fare affari, hanno tollerato perfino che nascessero mostri tra gli esseri umani e poi ne hanno preso le distanze e li hanno isolati solo quando non erano più funzionali ai loro interessi.
Abbiamo chiara memoria storica di sistemi economici assurdi ed immorali i quali hanno creato rancori e odi; sappiamo pure che la malvagità dell’oppressione, del colonialismo, del traffico di armi e della soggezione si è perpetrata nei secoli in tante aree geografiche ad opera del potere e di diversi gruppi deviati dal percorso della costruzione di una civiltà sempre più avanzata che ha provato ad immaginare società legate ad un diritto internazionale condiviso e ad una convivenza fondata sui valori della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità affermati già in epoca illuministica e mai veramente realizzati.
Se oggi accadono episodi di tale violenza per attentare alla vita di altre persone, qualunque sia il motivo di chi organizza tali stragi, è evidente a tutti che viviamo un’epoca in cui il rispetto della vita umana e della sua inviolabilità è venuto meno soprattutto a causa di soggetti la cui personalità evidentemente non è fondata sui principi della libertà, della responsabilità, dell’attenzione per l’altro e della garanzia dei diritti fondamentali per tutti.
Non c’è ombra di dubbio che chi semina morte non è stato educato alla libertà di pensiero, ma imbottito ideologicamente ed orientato acriticamente al fanatismo, al razzismo ed alla discriminazione.
Molte sono le scintille che provocano gli incendi della violenza e tra esse occorre menzionare anzitutto l’inequità delle relazioni economico-sociali a livello interpersonale ed internazionale, come anche la faziosità ed il settarismo di chi è incapace di rispetto del pensiero altrui e di confronto multiculturale; in ogni caso l’intolleranza che genera morte, in maniera da lasciar pensare che questo debba essere l’unico sistema per risolvere i conflitti, è francamente inaccettabile in una comunità che voglia definirsi civile.
C’è un orrore diffuso per cui possiamo avere opinioni diverse in ordine alle cause, ma sul quale non possiamo dividerci relativamente alla malvagità della sua essenza.
Lo scenario intorno a noi ha una complessità tale che la sua gestione non è per niente facile.
Tutti, allora, abbiamo la responsabilità di leggere con attenzione quanto avviene senza avventurarci, come fanno taluni, in dietrologie come quelle dei complotti che al momento sono frutto di illazioni senza riscontri oggettivi; occorre, invece, indagare con serenità e spirito critico le molteplici ragioni degli eventi che giudichiamo negativi e cercarne le soluzioni per impedire la violenza ed orientare i popoli verso la pacifica convivenza.
Di fronte agli scenari geopolitici di estrema brutalità che attraversano tanti territori è necessario chiedere alla politica di uscire dalle contraddizioni e dai giochi sporchi di potere che generano ricchezza intollerabile per taluni e miseria schiacciante per altri o dai teatrini posti in atto per distrarre e confondere l’opinione pubblica, impegnandosi con urgenza per pacificare le aree di conflitto e costruire organismi internazionali finalmente fondati su reali principi democratici.
Nell’immediato, intanto, bisogna creare intorno a noi coscienza dei pericoli e comunicazione allargata delle ipotesi di strategie politiche di intervento tempestivo sinergico nelle aree e tra i gruppi all’interno dei quali si generano le cause dei conflitti e delle loro mancate soluzioni.
Una cosa al riguardo crediamo debba essere chiara a tutti
Le persone di cui non condividiamo le idee si possono criticare, giudicare, disapprovare, ma mai uccidere, perché l’omicidio dev’essere sempre fuori da ogni rapporto di convivenza umana.
Se non fissiamo un tale principio di vita, come abbiamo scritto di recente, sarà difficile, anzi impossibile costruire la multiculturalità o meglio ancora l’interculturalità.
Possiamo condannare la violenza quanto vogliamo, ma per eliminarla occorre capirne le ragioni, educando poi ogni essere umano al valore della fraternità.
Per questo è necessario abbattere culturalmente la dittatura del pensiero unico con l’aiuto di tutte le agenzie di istruzione e formazione.
I governanti che hanno sfilato a Parigi nella manifestazione di domenica 11 gennaio hanno una credibilità di fronte alla marea umana che marciava per chiedere strategie per la fine dell’orrore o, come scrive Moisés Naim nel suo ultimo saggio “La fine del potere”, rappresentano solo la decadenza e l’incapacità della politica nella gestione delle questioni aperte nella nostra società?
È l’interrogativo da affidare alla moltitudine di un’umanità che deve farsi carico del difficile momento che viviamo.
Nei giorni scorsi abbiamo lanciato un’iniziativa allargata di riflessione, comprensione ed informazione in merito.
Speriamo che si muova qualcosa con il coinvolgimento più ampio possibile, soprattutto tra i giovani.

(Umberto Berardo – 14 gennaio 2015)

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