Vantaggi, privilegi ed inequità



Vantaggi, privilegi ed inequità

In tutte le aule di giustizia campeggia, come sapete, la scritta “La legge è uguale per tutti”.
È davvero così?
Senza andare lontano nel tempo, proviamo a riflettere su taluni procedimenti che hanno interessato episodi di una certa gravità.
Muore Stefano Cucchi, un ragazzo in carcere per uso di droga, il cui corpo appare in foto raccapriccianti, sottoposto a percosse che ne determinano presumibilmente la morte, e tutti gli indagati sono assolti in appello per mancanza di prove.
La Cassazione annulla la condanna a diciotto anni di reclusione per il magnate svizzero Stephan
Schmidheiny dichiarando prescritto il reato di disastro ambientale doloso per le vittime dell’amianto causate dalla Eternit.
In carcere ci sono soggetti per reati di una gravità che non è assimilabile a quella di coloro che truffano lo Stato per peculato, corruzione o evasione, ma questi ultimi se la cavano con gli arresti domiciliari o con l’affidamento ai servizi sociali.
Chi riesce a pagare un buon avvocato ha sicuramente maggiori possibilità di raggiungere l’impunità attraverso allungamenti del procedimento in grado di portare alla prescrizione del reato.
Rendere la legge uguale per tutti significa allora eliminare tutti gli stratagemmi che il potere legislativo ha nel tempo portato nell’amministrazione della giustizia per garantire i forti ed i potenti e penalizzare i deboli.
Tra questi espedienti c’è sicuramente la prescrizione che non va regolamentata, come sostiene già qualcuno, ma dev’essere eliminata subito, perché davvero grida vendetta al concetto di equità.
Un ragazzo a Campobasso viene arrestato per un furto di duecentonovanta euro e la stampa lo sbatte in cronaca con nome e cognome.
Ci sono richieste di rinvio a giudizio di consiglieri regionali del Molise per la legislatura dal 2006 al 2011 per peculato ed appropriazione indebita, ma, a parte la notizia generica, qui nessun nome e cognome sulle pagine dei giornali.
La stampa deve imparare ad avere lo stesso rispetto delle persone, chiunque esse siano.
Anche l’applicazione della legge purtroppo non è uguale per tutti i cittadini.
Al riguardo proviamo a riflettere sul tema del fisco.
È giusto e perfettamente condivisibile sentir dire in continuazione da chi ci governa che occorre combattere l’evasione e l’elusione fiscale, ma, a prescindere dall’omissione operativa dei governi in tale direzione, ci sono purtroppo politiche fiscali differenziali di livello nazionale, europeo e mondiale fondate su leggi che fondano discriminazioni profonde per talune categorie di cittadini e di imprese.
La questione, proposta di recente dai mass media a proposito delle agevolazioni fiscali in Lussemburgo dall’allora primo ministro Juncker, oggi presidente della Commissione dell’Unione Europea, merita davvero qualche riflessione.
Da anni, ripetiamo, tutti sostengono giustamente che l’evasione è un reato grave ai danni dello Stato, perché impedisce entrate adeguate all’organizzazione dei servizi pubblici e penalizza pesantemente chi paga correttamente le imposte, in quanto lo costringe a corrispondere somme superiori a quelle che dovrebbe se tutti si comportassero con onestà.
Come può, tuttavia, essere credibile una classe politica che ancora oggi sostiene di non riuscire a recuperare più di sette miliardi dei cinquecentotrenta non pagati e di voler eliminare la sanzione penale per il reato di evasione fino a duecentomila euro, limitando la pena ad una di carattere puramente amministrativo?
Che coerenza etica possono avere poi i Paesi dell’Unione Europea quando chiedono ai cittadini ed alle società di pagare per intero le tasse dovute, ma, al di fuori dell’IVA, non hanno fin qui legislazioni fiscali omogenee ed un piano d’azione comune contro l’elusione e l’evasione?
Se alcuni Paesi, come l’Irlanda, possono ancora praticare una tassazione conveniente degli utili, quella che più comunemente si chiama “fiscalità di favore”, è chiaro che assistiamo a tantissime società che scelgono di mantenere i costi di produzione nello Stato ad alta tassazione dove producono reddito e fissare la sede della società venditrice dove gli utili hanno una tassazione bassa.
Gli escamotage per tali operazioni, sui quali non scenderemo nelle analisi, sono tanti e davvero testimoniano gli scandali che le società mettono in piedi con il consenso delle legislazioni esistenti negli Stati ad economia capitalistica.
Per dare un’idea elementare, pensate che la corporate tax, cioè la tassa sulle imprese, in Europa va dal 31,4% dell’Italia fino al 12,5% dell’Irlanda ed al 10% di Cipro.
Fuori dall’Europa esistono addirittura i cosiddetti “paradisi fiscali” dove colossi economici riescono ad avere aliquote di imposte che non superano il 2%.
Cosa raccontiamo in merito a chi, fuori dai trucchi messi in atto dalla concorrenza, paga per intero le tasse nel Paese dove produce e dove conserva la sede della società venditrice?
Che spiegazioni è possibile dare ancora ai cittadini in merito alle forti differenziazioni di tutela tra i diversi tipi di lavoratori ed in modo particolare tra quelli dipendenti ed autonomi?
C’è ancora una risposta che siamo in grado di dare rispetto alla enorme differenziazione di retribuzione tra le diverse categorie lavorative sia nel settore pubblico che in quello privato?
Capite che in questa giungla di vantaggi scandalosi non è pensabile mantenere legislazioni che sicuramente non danno alcuna garanzia di equità e di rispetto della dignità di ogni persona.

(Umberto Berardo – 22 novembre 2014)

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