La Chiesa per la scuola nella comunità delle aree interne



La Chiesa per la scuola nella comunità delle aree interne

Il documento che segue è il testo della relazione tenuta al Convegno di sabato 5 aprile 2014 organizzato dalla Diocesi di Trivento, coordinato da don Antonio Gugliemi, presieduto da S.E. Mons. Domenico Angelo Scotti e tenuto nell’auditorium di Colle San Giovanni a Trivento (Campobasso).
Il dibattito ha visto i contributi di riflessione sul tema di don Orlando Di Tella, Michele Iocca, Linetta Mazzilli Colavita, Maria Teresa Prioletto, Marco Fusco, Vincenzo Scarano, don Francesco Martino e Gaspare Di Lisa
Carissimi amici,
buon pomeriggio a tutti e benvenuti.
Siamo stati chiamati a questo incontro dal nostro amatissimo vescovo, Mons. Domenico Angelo Scotti, con l’intento di riflettere riguardo ad un’iniziativa della Chiesa Italiana sull’educazione e la scuola.
Il 3 e 4 maggio 2013 a Roma si è tenuto un laboratorio nazionale che ha testimoniato un interesse forte della CEI per la scuola italiana.
Gli atti di tale incontro sono stati poi pubblicati nel volume “La Chiesa per la scuola” per le Edizioni Dehoniane di Bologna.
Di tale volume parleremo fra un po’ non prima tuttavia di aver ricordato che la Diocesi di Trivento si è già occupata con la Scuola di Formazione all’impegno sociale e politico “P. Borsellino” del rapporto tra scuola, società e territorio in ben tre convegni tenuti rispettivamente a Trivento il 23 marzo 2001 ed il 17 aprile 2009 sui temi “La riforma dei cicli scolastici” e ” Quale futuro per il sistema scolastico nelle aree interne? ” ed a Campobasso il 9 dicembre 2010 su “Diritto allo studio e rete scolastica nel Molise”.
Si è trattato di tre momenti di riflessione e soprattutto di proposte operative che sono disponibili in documenti elaborati a livello di gruppo e pubblicati nei Quaderni della Solidarietà della Caritas.
Oggi, convocati dal vescovo come studenti, dirigenti scolastici, docenti, personale Ata, genitori e più in generale da cittadini, ci ritroviamo nuovamente a parlare di educazione e del suo ruolo per la società stimolati appunto da tre volumi che la Conferenza Episcopale Italiana ha messo a nostra disposizione e che sono “Educare alla vita buona del Vangelo”, “La sfida educativa” e “La Chiesa per la scuola”.
In particolare il volume “La Chiesa per la scuola” delinea a nostro avviso riflessioni importanti per l’organizzazione del sistema scolastico in Italia che in questa relazione cercheremo di illustrare sia pure schematicamente.
La pubblicazione della CEI è centrata su sette linee tematiche: educazione, insegnanti, generazioni e futuro, umanesimo, autonomia e sussidiarietà, comunità educante, alleanza educativa tra scuola e famiglia.
In un contesto culturale segnato spesso da scetticismo, individualismo, relativismo ed assenza di riferimenti valoriali, la Chiesa Italiana intende con tali iniziative riportare la società a concepirsi come una comunità educante, capace di trasmettere il patrimonio culturale e valoriale della migliore tradizione democratica e di costruire nuova cultura attraverso un’attività di ricerca libera e pluralistica in grado di formare nelle persone spirito critico e di accompagnarle nel processo esistenziale.
La scuola italiana ha in generale mantenuto un livello di istruzione e di formazione umana finora accettabile; tuttavia vive una situazione di marginalità nell’agenda politica, un insufficiente sostegno economico delle istituzioni, una faticosa comunicazione tra docenti ed allievi ed un rapporto difficoltoso e frammentario con le famiglie, un ridimensionamento del ruolo primario come agenzia educativa e numerose carenze di ordine strutturale, contenutistico, metodologico e funzionale.
Difficilmente la scuola riesce a fare sintesi delle nozioni che trasmette; finisce spesso per separare le dimensioni costitutive della persona, in modo particolare la razionalità e l’affettività, la corporeità e la spiritualità; fa ancora fatica ad organizzare l’insegnamento a livello di ricerca; è incapace di indicare fini ai contenuti, ai mezzi ed alle tecniche proposti.
È chiaro che uno scenario così frammentato va superato da un sistema educativo capace di valorizzare tutte le dimensioni della persona, di offrire visioni positive e condivise della vita e lavorare per costruire in ogni individuo una coscienza critica ed una presenza responsabile all’interno della società.
Il diritto alla libertà educativa, al pluralismo dei modelli formativi, all’autonomia dei percorsi, pur rispettando standard comuni, non può esimerci dalla rivendicazione di livelli qualitativi alti nella formazione che richiedono forme adeguate di selezione ed una continua riqualificazione del personale, purtroppo oggi limitata all’autodidattismo, nonché un controllo delle attività didattiche per verificarne sistematicamente l’efficienza sul piano dei risultati e la validità a livello metodologico.
Le forme di verifica dell’attività didattica devono avere carattere non autoritario ed essere affidate a commissioni paritetiche elette dal personale scolastico e dai rappresentanti dei genitori.
Prendersi cura della scuola, secondo la Chiesa Italiana, è un compito urgente ed irrinunciabile perché il futuro dell’umanità è strettamente legato allo sviluppo della conoscenza ed al processo di formazione ed educazione delle nuove generazioni che oggi rischiano di essere alla mercé di agenzie educative e della comunicazione poco affidabili e talora pericolose per mancanza di metodi scientifici, di contenuti solidi ed utili e di confronto razionale.
Se volete un esempio di tali rischi, provate a seguire la vicenda del progetto “Educare alla diversità a scuola”: tre volumetti prodotti dal Dipartimento per le Pari opportunità, dall’Unar e dall’Istituto Beck che dovrebbero essere sussidi per le scuole tesi a superare gli “stereotipi di genere” tra gli studenti.
Abbiamo esaminato tali opuscoli.
Le nostre perplessità scientifiche su tali strumenti sono assai elevate, perché francamente sono proposte didattiche che lasciano confusi e disorientati.
Sembra ancora una volta il trionfo degli ideologismi.
In proposito occorre confrontarsi e non calare verticisticamente dall’alto le iniziative, lasciando ovviamente piena libertà di decisione agli organi collegiali d’istituto sulla introduzione di tali pubblicazioni nelle scuole.
Sul piano economico l’Europa ci ricorda con il Trattato di Lisbona che una società priva di investimenti effettivi in tema di istruzione, formazione, apprendimento permanente in tutto il corso della vita e riqualificazione professionale non potrà avere una scuola operante attraverso sistemi di apprendimento strutturati e continui, ma vedrà la scuola stessa soggetta a forme di ossequio a mode passeggere senza un rapporto utile tra innovazione e saperi adeguati alla complessità del mondo contemporaneo.
Per aiutare l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e nella società civile pertanto occorre dare rilievo al rapporto tra formazione e lavoro cercando sia di evitare il rischio dell’irrilevanza che quello della riduzione funzionalistica degli spazi formativi alle esigenze della produzione; per tale ragione la formazione professionale va adeguatamente riconosciuta e potenziata all’interno del sistema scolastico nazionale con veri e propri stage e tirocini aziendali più che attraverso corsi commissionati ad associazioni poco affidabili e talora costruite per foraggiare il voto di scambio.
In tale contesto l’orientamento non può limitarsi ad indicare le opportunità offerte dal sistema scolastico e formativo o dal mercato del lavoro, ma dev’essere accompagnamento continuo dei giovani alla formazione di competenze ed alla scoperta delle proprie potenzialità e dei personali interessi.
Nel volume della CEI di cui ci stiamo occupando si mette in evidenza come la figura dell’insegnante presenti oggi purtroppo notevoli elementi di criticità dovuti ad una situazione economica davvero infelice, a criteri di carriera fermi ancora all’anzianità di servizio, ad una crescente demotivazione rispetto alla scarsa incidenza dell’azione didattica posta in atto, alla limitata presenza maschile in molti ordini di scuola ed al tema delle difficoltà nella comunicazione intergenerazionale dovute soprattutto ad un diverso approccio alla conoscenza ed ai problemi creati dalle tecnologie digitali riferiti ai diversi codici comunicativi ed al divario nella capacità di gestione degli strumenti.
Ai docenti allora si richiede un elevato profilo professionale, maturità umana, chiara consapevolezza della propria vocazione, competenza disciplinare e didattica, capacità di gestione delle dinamiche di classe, attenzione alla complessità della persona ed ai processi in atto nella società e nel mondo giovanile.
Tutto questo deve in ogni caso finalmente essere legato ad un nuovo statuto della professionalità docente che veda il riconoscimento di specializzazioni e competenze ai fini di nuovi percorsi di carriera.
Tra i giovani i segnali di disagio sono molti: abbandono e dispersione scolastica, bullismo, violenza, varie forme di dipendenza, soprattutto da alcol e da droghe. Pur avendo un tasso di scolarizzazione più elevato dei loro padri ed ancora una certa fiducia nella scuola, si sentono minoranza rispetto agli adulti che sembrano dare loro sempre meno spazio nella società.
La famiglia è spesso assente ed incapace di assumersi responsabilità educative.
Sull’orizzonte temporale la scuola è sempre in ritardo: lavora nel presente per preparare le nuove generazioni ad un futuro difficile da conoscere, servendosi di adulti che a loro volta si sono formati nel passato.
D’altronde la scuola ha purtroppo struttura, metodologie e contenuti ancora di stampo neoilluminista e stenta a curare negli alunni la formazione del pensiero divergente.
In tale contesto va recuperato il ruolo dei docenti che hanno ancora un rilievo fondamentale nella trasmissione del patrimonio culturale e nella guida dei ragazzi verso l’acquisizione di competenze irrinunciabili: pensiero critico ed autonomia di giudizio e di azione per gestire le varie situazioni della vita.
Nella complessità del mondo contemporaneo la scuola, insieme alla famiglia, deve secondo la Chiesa italiana riappropriarsi del ruolo di agenzia fondamentale dell’educazione e dell’istruzione garantendo a tutti strumenti operativi di base, contenuti della ricerca culturale, ma anche capacità di generare nuova cultura.
Tale obiettivo si potrà realizzare partendo da un’idea di umanesimo che rinvia ad un’educazione coinvolgente e completa, ma soprattutto rispettosa del valore unico di ogni persona che si realizza prioritariamente sul piano del bisogno, del desiderio, della lingua, della razionalità, della libertà, della tecnica.
L’umanesimo non può essere un modello, ma un’area di straordinaria esperienza che ci permette di acquisire principi e valori per comprendere e vivere pienamente il nostro tempo.
Pochi giorni fa al consiglio permanente della CEI il cardinale Angelo Bagnasco ha opportunamente sottolineato che se noi in occidente con l’individualismo corrompiamo l’umanesimo, sarà l’umanesimo che si allontanerà dall’occidente e troverà, come già succede, altri lidi meno ideologici e più sensati dove prima dell’ “io” viene posto il “noi”.
Un’educazione che si ispiri a tali valori, allora, non può ripetere modelli e trasmettere un sapere predefinito, ma deve percorrere vie che conducano ad incoraggiare la creatività, la capacità espressiva e relazionale e la consapevolezza critica su ciò che è stato fatto attraverso l’esperienza e su ciò che può essere fatto di nuovo con la ricerca.
In questa prospettiva sono da superare barriere epistemologiche, disciplinari ed ideologiche, così come vanno smitizzati i nuovi vitelli d’oro della iperspecializzazione, della settorialità e della finalizzazione economica della cultura, della scienza e della tecnologia.
Questo evidentemente comporta, soprattutto a livello di scuola secondaria, una riorganizzazione in curricola aperti di contenuti, saperi e competenze.
Al centro dell’azione educativa dev’esserci l’essere umano nella sua integrale unitarietà.
Poiché la scuola è un ambiente che concorre alla determinazione del bene comune, ha bisogno di taluni elementi fondamentali quali la libertà d’insegnamento, l’autonomia, investimenti cospicui nella ricerca, nelle strutture e negli strumenti, ma anche di aggiornamento continuo del personale e di controlli degli standard qualitativi sull’operatività.
La scuola da tempo ormai non ha la prerogativa esclusiva della trasmissione dei saperi e dell’educazione, giacché da anni diverse sono le agenzie deputate a tali compiti.
È chiaro pertanto che in tale direzione bisogna immaginare una collaborazione sistematica ed armoniosa tra soggetti diversi per ottenere risultati efficaci ed utili a formare personalità libere, democratiche, istruite e criticamente attrezzate.
Una tale alleanza educativa va immaginata anzitutto tra scuola e famiglia, ma anche tra insegnanti ed allievi per giungere alla costituzione di una vera comunità educante.
Nonostante i tanti problemi che abbiamo sottolineato, la scuola rimane comunque il luogo privilegiato ove una società ripensa se stessa, si rinnova ed acquisisce la capacità intellettuale e pratica per affrontare dignitosamente e criticamente tutte le situazioni e le sfide che i tempi pongono.
La decisione presa dalla Chiesa di interessarsi della scuola è quanto mai opportuna perché ogni volta che essa, nel corso dei secoli si è posta con consapevolezza e responsabilità dinanzi alla cultura ed all’istruzione, si sono prodotti eventi e risultati che hanno segnato positivamente e profondamente le vicende ed il cammino dell’umanità.
La pubblicazione “La Chiesa per la scuola” è sicuramente uno strumento utile per riflettere sul momento che vive oggi il mondo scolastico, ma anche per rinnovarlo alla luce delle nuove esigenze.
A Roma il 10 maggio sul tema della scuola e dell’educazione ci sarà l’incontro con papa Francesco.
Siamo sicuri che sarà un momento di forte arricchimento culturale e spirituale per quanti operano nel campo educativo.
Per ciò che riguarda poi la situazione particolare della rete educativa esistente sul territorio della nostra diocesi, abbiamo già indicato i documenti nei quali si delinea un percorso di razionalità organizzativa.
Vi rimandiamo ad essi per gli approfondimenti, ma, sia pure schematicamente, crediamo che vadano perseguiti taluni obiettivi che indichiamo di seguito.
Tutti si rendono conto, speriamo, che la chiusura di scuole in alcuni centri e la costituzione delle pluriclassi non solo a livello di scuola primaria, ma anche in quella secondaria di primo grado non fa altro che offrire ad alunni di certe realtà territoriali un sistema scolastico dequalificato sia sul piano del tempo scuola che su quello strutturale, metodologico e contenutistico.
Negare, da parte di chiunque, tale processo di scadimento dell’offerta educativa e didattica soprattutto nelle aree interne della nostra regione sarebbe da miopi ed irresponsabili.
Se questa lettura della realtà scolastica è veritiera, come noi pensiamo, ci sembra che la prima idea di fondo da far passare sia quella che l’educazione, l’istruzione e la ricerca sono beni troppo importanti per i cittadini; pertanto la spesa pubblica in tale direzione non va ridotta, ma rafforzata, soprattutto per mettere subito in sicurezza le sedi scolastiche.
Il secondo impegno è quello, nella scuola primaria, del ritorno all’insegnamento per moduli ed al tempo pieno.
Anche sulla base di quanto ci chiede l’Europa, pensiamo che il sistema scolastico, fondato su cinque giorni di tempo pieno ed una seria valorizzazione dei laboratori, debba riorganizzare adeguatamente i contenuti dei percorsi di studio ed orientare l’apprendimento, tramite la ricerca ed il fare, al conseguimento di competenze chiave per l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e nella società.
Sia nella scuola primaria che in quella secondaria condividiamo l’idea di tanti cittadini che rifiutano la pluriclasse, prevista anche per tre classi nella secondaria di primo grado, convinti che una tale struttura di raggruppamento degli alunni mortifica ed avvilisce la didattica, l’insegnamento e la ricerca, né consente un’adeguata socializzazione.
L’idea degli istituti comprensivi è sicuramente una necessità, purché le aggregazioni di scuole, in senso orizzontale e verticale, vengano fatte in funzione delle esigenze dei cittadini e cioè definite sul piano strutturale, funzionale, logistico, metodologico e didattico.
Sono le esigenze dei cittadini che devono prevalere, non quelle della politica.
Nel sistema dei servizi, poi, dobbiamo pensare a poli scolastici zonali di eccellenza in grado di garantire prestazioni adeguate, formazione culturale elevata ed un alto livello di socializzazione in classi con un numero di alunni tale da creare insegnamento individualizzato, lavoro di ricerca in gruppo, confronto critico ed un orizzonte molto ampio. Devono essere strutture capaci d’inserire l’alunno in una formazione globale, ma anche di garantire la ricerca sugli elementi del patrimonio locale, senza permettere che continui l’impoverimento delle popolazioni dei centri più piccoli affinché si possa prevenire anche la dispersione e gli abbandoni scolastici.
L’autonomia, poi, dev’essere strumento e condizione nuova negli istituti; se solo divenisse un fondamento reale della didattica e dell’azione politica condivisa e spesa nel rispetto dei ruoli, potrebbe essere una buona risposta.
Si potrebbero prevedere reti di servizi affidate a poli scolastici che, attraverso un’utile e puntuale progettualità, possano garantire a ciascuno alunno, senza mai rinunciare all’efficacia didattica e senza campanilismi di sorta, una funzionale presenza scolastica. In tal senso si dovrebbe per esempio creare una disarticolazione degli indirizzi di studio presenti sul territorio, l’attivazione di corsi di vario genere all’interno degli istituti superiori, una più puntuale utilizzazione della professionalità docente in vista di una migliore risposta alle esigenze educative degli studenti.
Un tale potenziamento articolato dell’offerta formativa non può tuttavia, come taluni sostengono, essere legato solamente all’identità territoriale ed alla programmazione del suo specifico sviluppo economico, ma va costruito anzitutto per educare cittadini capaci di inserirsi con spirito critico ed in modo attivo nelle trasformazioni continue e radicali del mondo contemporaneo e futuro.
Insieme, in un efficace lavoro di partenariato, è possibile dare nuovo colore al territorio delle aree interne e concepirlo non più in termini di semplice secondarietà rispetto ai centri più popolosi, almeno nel campo educativo e della ricerca culturale.
Tale linea non prevede necessariamente, come qualcuno pensa, l’accentramento delle scuole solo nei Comuni più grandi; la sfida è invece quella di pensare a servizi culturali equamente ridistribuiti come stanno già cercando di fare in maniera intelligente taluni sindaci.
È chiaro che l’interscambiabilità ed il collegamento tra sedi, materiali, sussidi e banche dati necessita di una seria riorganizzazione della rete stradale e dei trasporti, ma anche di vie telematiche più veloci rispetto a quelle esistenti che spesso sono ancora troppo lente, quando non sono ferme addirittura al sistema analogico.
I costi per la realizzazione di tali servizi devono giungere da finanziamenti regionali, ma anche dalle amministrazioni comunali che opportunamente devono consociarsi e dividere le spese relative.
Se smettiamo, poi, di pensare all’istruzione solo finalizzata all’età dell’obbligo scolastico e ce ne occupiamo finalmente come educazione permanente, è chiaro che dobbiamo rivederne le strutture sul territorio con presidi formativi ovunque non solo per ragazzi ed adolescenti, ma anche per gli adulti; allora è evidente che per un’organizzazione ottimale del servizio scolastico si deve pensare all’utilizzo efficace del personale per renderlo adeguato alle esigenze di tutta la popolazione di un Paese in linea anche con tali nuove finalità che l’istituzione scolastica dovrebbe avere.
Un ulteriore elemento di riorganizzazione del sistema scolastico dev’essere quello della garanzia per gl’istituti comprensivi di un organico da utilizzare in piena autodeterminazione non solo per l’istruzione di fasce di popolazione che vanno dall’infanzia all’adolescenza, ma anche per quella legata agli adulti; tutto il personale della scuola va cioè utilizzato per quella che abitualmente chiamiamo educazione permanente, la quale non può essere pensata solo in termini di qualche corso di aggiornamento o di tamponamento all’analfabetizzazione di ritorno, ma va organizzata in termini di continuità ed affidata alle istituzioni scolastiche.
In tale direzione anche i più piccoli Comuni, che hanno perso o perderanno le scuole dell’obbligo, dovranno vedersi garantito un presidio culturale composto da insegnanti che l’istituto di cui fanno parte mette a disposizione delle comunità locali per attività anche pomeridiane o serali di sostegno e recupero di alunni delle scuole primarie e secondarie, ma in grado di provvedere all’istruzione degli adulti ed a ricerche sulle lingue, gli usi, i costumi, la storia e le tradizioni locali.
È chiaro che tali presidi dovranno avere in ogni Comune una propria sede sicura sul piano strutturale ed adeguatamente attrezzata per tutte le necessità didattiche e culturali.
Utile sarebbe costituire a livello regionale, su iniziativa dell’UNIMOL, un’università popolare itinerante cui affidare il coordinamento dell’educazione permanente per gli adulti.
È del tutto evidente che un progetto come quello che stiamo delineando scommette su una volontà politica di quella che molti filosofi e sociologi chiamano ormai la moltitudine per giungere ad un sistema scolastico in grado di assicurare a tutti un’istruzione capace di rendere ogni persona un cittadino attivo, criticamente attrezzato e responsabile nelle scelte.
Solo tale decisa convinzione può spingere le classi dirigenti, invertendo la rotta e prevedendo adeguati investimenti, a nuova occupazione intellettuale su basi di merito e di professionalità costantemente verificata.
I sistemi di collegamento a distanza in videoconferenza possono al riguardo dare in merito un utile contributo a condizione che il territorio della regione sia coperto integralmente con reti telematiche veloci.
Un tale sistema scolastico sul territorio non può essere costruito solo con il lavoro di programmazione dell’assessorato alla cultura delle regioni, ma richiede un lavoro sinergico di tutte le istituzioni amministrative, scolastiche ed economiche, ma anche delle associazioni di docenti, genitori e studenti.
Questa iniziativa della Diocesi di Trivento in preparazione dell’incontro sulla scuola con papa Francesco da tenere a maggio vuole essere il tentativo di suscitare un confronto critico con l’avanzamento di ipotesi per la riorganizzazione del sistema scolastico nella regione Molise con particolare attenzione alle aree interne.
Sapete tutti che nella regione Molise, unica in Italia, il dimensionamento scolastico non riesce a decollare soprattutto per la miopia politica di quanti sono ancora legati a logiche di difesa dell’esistente, di natura campanilistica o magari a visioni errate dell’organizzazione della rete scolastica.
A chi cerca di lavorare per un ridimensionamento dei servizi educativi finalizzato ad un risparmio di spesa le congetture esposte possono apparire utopistiche e provocatorie, soprattutto in un momento di grave crisi economica; noi siamo convinti, invece, che il progetto sopra delineato appartenga al futuro e sia in grado di dare speranza di qualità di vita per chi vive soprattutto in territori in cui ogni cosa sembra orientare al pessimismo; infatti un Paese ed ovviamente anche una regione che vogliano perseguire un’idea di sviluppo non possono assolutamente prescindere da un sistema d’istruzione forte e da una ricerca scientifica e culturale capaci di alimentare il progresso economico ed il benessere per tutti.
Se sapremo investire nella conoscenza, miglioreremo la nostra qualità della vita; diversamente faremo fatica a sopravvivere in un mondo dagli orizzonti sempre più vasti.
Ci fermiamo qui, amici carissimi.
Speriamo di aver offerto utili input per la riflessione in questa sede e più in generale tra tutti i cittadini del territorio in cui viviamo.

(Umberto Berardo – 6 aprile 2014)

<div class="

Articoli correlati