Uno dei più famosi e citati aforismi di Marx, a commento del colpo di Stato del futuro Napoleone III, recita che la storia si ripete, la prima volta come tragedia la seconda come farsa. Per il Partito Democratico, dove pascolano tanti che in gioventu’ erano convinti marxisti-leninisti, accade l’inverso. La storia si ripete prima come farsa, e poi come tragedia.
Prendete le primarie. La prima volta sono state una farsa indegna, con un vincitore predestinato, come nei congressi del PCUS, svoltesi nel più sovrano disprezzo di regole e procedure, che pure il partito in nuce si era solennemente dato. La farsa ha prodotto un partito in mano a pochi potentati locali, con un centro senza idee, retto da un leader debole e malsopportato, incapace in campagna elettorale persino di nominare Berlusconi per non offendere non si sa bene chi (forse i tanti che nel PD sgomitavano per l’inciucio permanente sin dai tempi della Bicamerale). La farsa si è conclusa con una serie di sconfitte elettorali e la sostituzione del Segretario con il Vice SegreDario (o il Vice Disastro come lo definì il neo-sindaco di Firenze Renzi) di nuovo in spregio a qualsiasi regola statutaria e ad ogni buonsenso visto che Franceschini era responsabile in solido del disastro veltroniano.
La farsa del 2007 si ripete nel 2009 in forma di tragedia con un congresso in stile democristiano volgarmente spacciato per primarie, mentre saranno i signori delle tessere, primo fra tutti Bassolino, a decidere chi vince e quanto spesso costui dovrà pagare l’oncia di carne politica ai cacicchi. Carne che però sconfitta dopo sconfitta scarseggia o va a male. I due massimi contendenti sono figure senza appeal elettorale e senza programmi (a parte l’aria fritta espressa in codici cifrati comprensibili solo agli insiders): l’attuale Segretario (imposto, tanto per non smentire le credenziali democratiche del PD, con una procedura extra statutaria) e Bersani, che per due volte ha declinato di presentarsi, ma che questa volta, afferrato il coraggio a due mani, getta il guanto della sfida. Una sfida congressuale tra due politici di professione, che suscitano nell’elettorato solo il ricordo di sconfitte e di una stagione disastrosa come è stato il secondo governo Prodi, è appunto una tragedia per chi non vorrebbe in Italia senza casta. Non è rilevante che Bersani sia o meno il burattino di D’Alema (è una questione irrilevante per chi e’ al di fuori della casta). Fondamentale e’ che da Ministro Bersani si sia allegramente calato le braghe di fronte a ogni minuscola congrega di parassiti remotamente minacciata dalle sue blandissime liberalizzazioni.
Ci sarebbe da sperare che la candidatura dell’unica faccia nuova credibile, Ignazio Marino, possa prendere quota, ma il meccanismo congressuale vigente e’ un ostacolo difficilmente sormontabile da un outsider. La nomenklatura domina ogni minimo aspetto senza lasciare spiragli di rilievo. E’ un istinto di atavico si dirà. Infatti. Un po’ come quello delle falene che attratte dalla luce periscono bruciate.
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