Emergenza sclerosi



La questione Sclerosi Laterale Amiotrofica in Molise ha superato i confini dell’emergenza. Siamo tutti drammaticamente coinvolti nella tragedia della giovane Eluana Englaro. Ma il caso Englaro è solo uno dei due volti del dramma: le nostre coscienze sono chiamate a dare una risposta al forte appello della Chiesa che ci ricorda come la vita sia indisponibile e quindi nessuno, né il malato, né i familiari, né lo Stato hanno il diritto di modificare i tempi e le modalità del persorso finale. Il dilemma, quindi, è fra la disponibilità e l’indisponibilità della vita. Ma questo angoscioso interrogativo si pone solo nel caso in cui il malato o chi per esso, mette in discussione quel principio, il principio della indisponibilità. Ma che cosa succede quando il malato e i suoi familiari cristianamente accettano il principio della indisponibilità e decidono di affidare solo ed esclusivamente a Dio il giorno e l’ora del distacco? E’ giusto che questi sventurati nostri simili, “colpevoli” di aver accolto l’appello della Chiesa, siano abbandonati al loro destino? E’ giusto che nessuno si occupi di loro e si incarichi di lenire gli inenarrabili patimenti che il morbo arreca ai loro corpi? O non dobbiamo quanto meno adoperarci per alleviare lo strazio di quei corpi e di quelle anime? Possiamo abbandonare i loro congiunti al loro destino, senza un minimo di assistenza, di supporto, di solidarietà? Quei congiunti prima di diventare vittime dello stesso morbo che affligge i loro parenti malati, erano cittadini come noi: professionisti, operai, impiegati, commercianti, pensionati, casalinghi. Ora sono costretti a diventare infermieri, fisioterapeuti, psicoterapeuti, assistenti sociali, esperti di sofisticati macchinari che richiedono specifiche competenze ecc. In nome di quella indisponibilità la tecnologia ha costruito mostruosi, disumani, innaturali marchingegni che riducono il malato ad un informe ammasso di ossa, cartilagini, pelle avvizzita, ed occhi sbarrati dal terrore. Quando si tratta di applicare su quei corpi già martoriati questi veri e propri strumenti di tortura, la comunità tutta si attiva con sorprendente tempestività. Partono le autoambulanze, si allestiscono le sale operatorie. Sono tutti pronti. Primari, medici, infermieri, portantini, si affrettano ad infilare serpentine plastificate nel ventre del martire, per effettuare squarci, tagli, tracheotonie ed altre innaturali “terapie”. Un attino dopo intorno a quei reietti, si forma il vuoto, il deserto. Il silenzio trionfa. E’ un fuggi fuggi generale. Amici e parenti, istituzioni, Servizi Sanitari, fatto salvo qualche sparuto volontario, tutti scomparsi, dissolti. Quando si tratta di investire risorse per quegli strumenti di tortura, non ci sono problemi. Ma dopo? Dopo che noi, Sig. Presidente, noi cittadini, noi istituzioni, ci siamo assunti la responsabilità di imporre quelle orripilanti
apparecchiature su quei corpi straziati, non siamo più in grado di reperire le risorse per quei prodotti delle tecnologia, certamente più a misura d’uomo e assolutamente non invasivi, come i cosiddetti “emulatori…”, che sono in grado di restituire un minimo di umana sembianza ai malati, restituendogli la capacità di comunicare con l’esterno. E dunque, che cosa ne vogliamo fare di quei corpi che noi abbiamo martirizzato?
Vogliamo che la sevizie continuino? E i congiunti? Il malato può essere un padre, e che l’unica persona sopravvisutta allo tzunami del disinterese sia una figlia? Oppure la vittima può essere una madre o una sorella e unico sopravvissuto è un padre o un fratello? A loro e solo a loro, resta affidato il compito, per sei, sette o più volte al giorno di ripulire gli organi genitali del
malato/a, di ripulirlo/a dei suoi escrementi, dell’urina ecc. Io voglio sperare, lo spero con tutte le mie forze, che ci si attivi nel migliore e nel più tempestivo dei modi per sanare questa immeritata ferita inferta alle vittime e ai loro disperati congiunti.
(Antonio Grano)

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