Il Medioevo non è solo il periodo che va dal V al XV secolo, un’età intermedia tra l’antica e la moderna che avrebbe rappresentato un oblio delle conquiste della cultura classica, del diritto romano e del predominio della ragione per condurre ad una sempre maggiore vessazione del popolo da parte del potere assoluto, alla corruzione della religione e della Chiesa, all’imbarbarimento dei costumi ed al trionfo dell’ignoranza e della superstizione.
Il termine ha finito col tempo per diventare sinonimo di oscurantismo, di ignoranza e di superstizione.
Ci sono state ovviamente anche analisi storiografiche meno legate ad aspetti valutativi di tale epoca storica, soprattutto in considerazione del fatto che gli aspetti di una società sono sempre molto complessi e difficilmente riducibili ad una visione univoca.
Sicuramente in tale lasso di tempo la società europea ha vissuto ingiustizie sociali, difficoltà nei rapporti sociali, arretramento della partecipazione nelle decisioni relative ai problemi collettivi.
In molti il riferimento al termine Medioevo è sempre più legato all’idea che si stia per vivere una nuova epoca di arretratezza che farebbe seguito, in una visione ciclica, al crollo delle regole e dell’ordine della società industriale e capitalistica.
Non ci appassiona un tale modo di leggere i fatti storici, convinti come siamo che nell’essere umano e più in generale nella società si possano trovare comunque e sempre aspetti negativi, ma anche elementi positivi legati alla costruzione della civiltà.
La collettività odierna presenta eventi, realtà ed immagini che per il loro squallore non solo producono il rifiuto della mente, ma toccano talora addirittura lo stomaco fino a generare conati di vomito.
Cos’altro, se non repulsione, si può provare di fronte alle organizzazioni criminali che, pur di fare profitti, sono disposte all’omicidio e perfino alla distruzione sistematica del territorio con l’interramento di rifiuti tossici?
Come riusciamo a tollerare la corruzione che dilaga in ogni settore della vita pubblica e che impedisce per ciò stesso lo sviluppo economico del nostro Paese, essendo una delle cause più gravi della crisi nella quale viviamo?
C’è una sola possibilità di giustificare la forma economica di un capitalismo, allo stesso tempo selvaggio e straccione, che in Italia ha contribuito a creare cinque milioni di poveri, in Europa venticinque milioni di indigenti ed è incapace di governare un fenomeno sempre esistito come quello dei movimenti migratori al punto da trasformare il Mediterraneo in un mare dove non si contano più i morti per naufragio?
Siamo capaci ancora di accettare che cattivi maestri in televisione, sul web o sui giornali banalizzino il sesso, staccandolo dai sentimenti e dagli affetti e legandolo unicamente al soddisfacimento di pulsioni erotiche?
Come possiamo non sentirci responsabili della mercificazione del corpo che conduce tanta gente alla prostituzione perfino minorile e che sta facendo strada in qualche Stato europeo alla legittimazione della pedofilia?
Non è tutto questo frutto di un pensiero debole che ha perso il valore dell’etica e, come dice papa Francesco, non è più in grado di sedersi alla scuola delle Beatitudini proclamate da Cristo nel Discorso della Montagna?
Stiamo allora vivendo un’epoca oscurantista, un nuovo Medioevo?
Diciamo semplicemente sta prevalendo l’egoismo sul bene comune e l’irrazionalità sul buon senso, anche se il nostro tempo non manca di operatori di pace e di altruismo, come di pensatori che organizzano la ricerca e la riflessione per rendere la vita dell’uomo degna di essere vissuta.
L’arcivescovo di Tegucigalpa (Honduras), cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, nel volume “Senza etica niente sviluppo”, in uscita per Emi ed ampiamente anticipato dal quotidiano Avvenire, ci dà in merito alcune indicazioni a nostro avviso illuminanti.
Egli scrive che “le grandi crisi economiche e sociali sono determinate dal venir meno delle certezze che cementano i valori e dall’incapacità di distinguere le priorità ed il senso profondo delle cose”, ma sostiene soprattutto opportunamente che il progresso non è identificabile con l’aumento del benessere economico, bensì con il raggiungimento di un’esistenza dignitosa, cioè dotata dei mezzi per vivere, della stima degli altri e della libertà.
È chiaro che per indirizzare la società in tale direzione abbiamo la necessità di operare sistematicamente sul piano politico a livello critico e propositivo, risolvendo il problema della rappresentanza nelle istituzioni; i partiti, infatti, si sono sempre più trasformati in cartelli elettorali e molti dei cosiddetti movimenti presentano, come i primi, strutture molto lontane dalla forma democratica.
Chi, allora, interpreterà le esigenze di eticità nei comportamenti e la necessità della giustizia sociale?
Bella domanda, soprattutto in un Paese come l’Italia in cui la politica e la governabilità sembrano bloccate da anni!
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