Il pubblico di “Ballarò”



Il pubblico di “Ballarò”

Ritengo “Ballarò” uno dei programmi più noiosi della televisione italiana. Il che è tutto dire, considerata la qualità media delle trasmissioni della nostra tv di Stato.
A differenza di altre “tribune”, dove perlomeno il presentatore getta un po’ di pepe, l’agorà soporifera di Floris è in realtà una somma di monotoni pulpiti: ora viene concessa la parola per il predicozzo di Tizio, supportato dalla corte dei propri discepoli; poi è il turno per le esternazioni di Caio, con relativi supporters; quindi tocca a Sempronio sfruttare il palcoscenico per il solito show tra le mimiche facciali della prima fila. E via di questo passo. Con l’immancabile caos delle sovrapposizioni, dei siparietti, di qualche litigata, del rituale “non l’ho interrotto e lei non m’interrompa” fino al più imperativo “Mi fa parlare!”. Insomma, “affari pubblici” dei nostri tempi.
Non dimentichiamoci che qui, tra una battuta e l’altra, sono stati creati “personaggi” che oggi – dopo campagne elettorali che non hanno risparmiato le auliche gradinate degli stadi calcistici – fanno i governatori di regioni nevralgiche del nostro Paese.
Ma l’elemento che colpisce di più è lo stuolo dei valvassini che accompagna il capopopolo. Ragazzotti tirati fuori da un consiglio comunale o dal “parlamentino” di un municipio romano (o riesumati da qualche batosta elettorale), resi “presentabili” nei gessati freschi di lavanderia (con spilletta in area asola, tipo uomini-sandwich) e nelle loro cravattone da agente immobiliare in tinta con l’abbronzatura da settimana bianca o da negozio settoriale del Tuscolano. Pubblico, “benché non pagante”, pronto ad annuire come quei cagnolini che un tempo troneggiavano nelle Simca mille o nelle Nsu. Tifosi ruminanti di gomma americana, scaltri nel dribblare il capoccione collocato davanti a loro pur di conquistare un’inquadratura da prima serata, casomai dietro Tabacci o Franceschini, Lupi o Gasparri. Donne fresche di acconciatura e prodighe di assensi per la logorrea di Casini, la verbosità di Franceschini o la ridondanza radical-chic della Di Gregorio, che sfoggia l’ultima messa in piega del parrucchiere di piazza Tuscolo.
Floris, con il suo aplomb da primo della classe, è il perfetto direttore dello spettacolo.

(Pierino Vago)

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