Anche con Obama l’America fa l’America



Un concertone con il palco eretto nello stesso luogo dove Martin Luther King pronunciò lo storico discorso “I have a dream”. Roba da sballo per gli ormoni di Walter Veltroni. Da noi, al massimo, l’avrebbero potuto mettere a piazza Cavour, dove Gasparri arringa la folla. O al Campidoglio, dove gli slogan dei tassisti hanno salutato l’elezione di Alemanno. O al Circo Massimo, dove i tifosi della Roma hanno festeggiato uno storico scudetto.
Il loro è l’Inauguration Day. Noi abbiamo il Family Day a piazza San Giovanni.
E via, in America, con le note tirate di “The rising” di Bruce Springsteen. E poi Stevie Wonder, U2, Shakira. Da noi la politica si accontenta di Luca Barbarossa o di Alexia.
A sinistra sono riusciti a far uscire dai gangheri persino Franco Califano, utilizzando le sue canzoni “a sbafo” per un comizio.
E se gli States hanno Pete Seeger, camicia di flanella e cappellino di lana, quale padre del folk (che loro chiamano “country”, che fa più fico), noi possiamo scegliere tra i sempreverdi Gigione o Tony Santagata. Anche loro un repertorio di camicie di flanella. Ma cappelli rigorosamente all’Americano a Roma. O a Foggia, che fa più trendy.
A Washington, Jamie Foxx ha fatto un’imitazione memorabile del presidente eletto. Noi abbiamo Crozza, la Guzzanti e un esercito di imitatori di Cristiano Malgioglio. E giù risate.
Hbo ha comprato per 2,5 milioni di dollari i diritti per l’evento americano. Da noi si spendono analoghe cifre per Siena-Reggina o Chievo-Udinese.
Obama fa discorsi per esaltare la dignità del lavoro. Berlusconi per raccontare barzellette, Veltroni per attaccare Michele Santoro. E la Finocchiaro non abbiamo capito ancora per dire cosa. Il meglio l’ha sentenziato sulla riforma universitaria: “Un’occasione persa”. Ma per fare cosa? Sui sindacalisti meglio lasciar perdere.
Obama riceve standing ovation ammontendo che “tutte le sfide sono possibili in America”. Noi ci spelliamo le mani davanti ai comizi sul nodo Alfano. Della serie: tutte le leggi sono possibili in Italia. E la più roboante standing ovation la ricevono i novant’anni di Andreotti al Senato.
“Change” e “hope”, le parole più gettonate in salsa statunitense. Da noi è “crisi”. Ma per un po’ di speranza reggono sempre “Cuore” e “Amore”, come ai tempi di Nilla Pizzi (a proposito, quando senatrice a vita?). O, per fare più “mericano”, di Dean Martin. Remake vincente anche per l’italianissimo “Dio, Patria, famiglia”. Al Campidoglio è lo slogan di un nuovo gruppo consiliare. Con un ex dell’Italia dei valori che è passato a destra. O forse è rimasto a destra. Chissà.
Alla cerimonia americana invitato ospite l’equipaggio dello spettacolare ammaraggio nell’Hudson di pochi giorni fa. Il nostro ricordo va al maggiore Gianmarco Bellini e al capitano Maurizio Cocciolone. E al loro Tornado sui cieli dell’Iraq.
Il prossimo presidente italiano, che sicuramente già si sta godendo da anni la pensione, per il suo Inauguration day ha solo l’imbarazzo della scelta: Fabrizio Corona e Belem farebbero crescere i diritti televisivi. Con Nina Moric sarebbe apoteosi.
Al Lincoln Memorial hanno avuto il figlio di Martin Luther King. In Rai furoreggia il figlio dei Pooh, Francesco Facchinetti, alias dj Francesco. Ma anche la figlia di Cino Tortorella, il mago Zurlì. La quale, tra l’altro, non è nemmeno male.

(Pierino Vago)

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