S’intitola “La terra della nostalgia” l’articolo che Sergio Castellitto dedica al Molise, terra di nascita del padre. Il pezzo è pubblicato sulla rivista “Vanity Fair”, numero 25 in edicola fino al 30 giugno
“Poteva nascere in America, come molti figli del boom economico. Invece il padre lasciò il Molise ed emigrò a Roma. Il legame per quei luoghi abbandonati è però forte” si legge nell’introduzione all’articolo.
“Arturo, mio padre, nato a Campobasso, alla fine della guerra emigrò semplicemente a Roma con i suoi quattro figli e la moglie – è scritto nel pezzo. “Per un puro caso, o per paura dell’oceano, non se ne andò in America come molti molisani in quegli anni. Io, figlio del miracolo economico, sono nato diversi anni dopo, ma da sempre ricordo i racconti di Arturo e dei miei fratelli sugli anni trascorsi in Molise. Erano racconti teneri, divertenti, grotteschi ma legati insieme da una umanissima e quasi violenta nostalgia. Perché il Molise è terra di nostalgia, come del resto tutta quell’Italia per decenni abbandonata. È una terra di bellezze sorprendenti, dalle spiagge di Campomarino alle montagne del Matese. Quel mare, quelle montagne hanno forgiato il carattere di questa straordinaria gente. E forse, ancora oggi, il loro ruvido inconscio vive di rendita nel ricordo di quando i loro antenati Sanniti costrinsero i Romani a piegarsi sotto il giogo delle forche caudine. È un orgoglio che solo i poveri possono permettersi”.
Castellitto racconta anche il suo rientro in Molise molti anni dopo, quando “decisi di ambientare e girare lì le scene finali di Non ti muovere. Il viaggio di Timoteo e Italia verso le origini di lei. Fu un atto di amore nei confronti della mia famiglia. Del mio stesso sangue”.
L’attore racconta anche di un amico molisano, Agostino. “Lo raccolsi appena nato e piuttosto debilitato sotto un albero nelle campagne intorno a Bojano. Durante una delle ultime scene del film girate in quel magnifico sito archeologico che è Sepino, l’antica città romana, Agostino sparì. Il circo del cinema stava già smontando le sue tende per ripartire e io ero già rassegnato a non ritrovarlo mai più. Solo all’ultimo momento, l’attrezzista (e io gli sarò sempre grato) lo ritrovò rattrappito dal freddo nel tepore del vano motore del suo pick-up. Agostino è un gatto, oggi ha diciassette anni, le orecchie maciullate dagli scontri di quartiere, il miagolio rauco di un fumatore incallito e ogni sera al tramonto lo trovo sul cornicione del terrazzo…”.