RAIMONDO D’INZEO



Nomi celebri

Abbiamo “ricostruito” le biografie di una cinquantina di persone, con origini molisane, che vantano un’ampia e riconosciuta notorietà.
Un elenco, per un territorio ancora sconosciuto qual è il Molise, che risulta importante per rispondere alla classica domanda: “Quali sono i molisani famosi?”.
Si tratta per lo più di personaggi che sono nati e si sono affermati professionalmente al di fuori della propria terra d’origine. Ma con il Molise, il più delle volte, mantengono un rapporto saldo, per quanto poco enfatizzato.


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Costantino, Piero e Raimondo D’Inzeo hanno legato il proprio nome alla storia dell’ippica.
Il capostipite Costantino, nato a Montecilfone (Campobasso) sul finire dell’ottocento, si arruola nell’esercito sabaudo, prende parte alla prima guerra mondiale in cavalleria. Quindi ottiene ottimi piazzamenti in importanti gare sportive, tanto da ricevere l’incarico di preparare logisticamente le manifestazioni equestri giovanili italiane. Muore tragicamente in un incidente sulla strada.
Il primogenito Piero, nato il 4 marzo 1923, a 19 anni si iscrive all’Accademia militare di Modena.
Prende parte a numerose Olimpiadi lungo trent’anni, fino all’ultima, in Canada, nel 1976.
Primeggia diverse volte nel Gran Premio di Roma.
Il secondo figlio, Raimondo, nato nel 1925, è un altro astro nel mondo equestre. Vince il campionato del mondo nel 1956 e nel 1960. Conquista la medaglia d’argento alle Olimpiadi di Melbourne, in Australia, nel 1956 e la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma del 1960, aggiudicandosi anche il primato mondiale in quanto a posizionamento tra i primi tre posti.
Riportiamo la cronaca del suo trionfo a Roma, raccontata da Bruno Roghi per il “Corriere dello Sport” di giovedì 8 settembre 1960: “Piazza di Siena è l’harem dell’ippica olimpica. Tra i cavalli iscritti al Gran Premio ad ostacoli, 22 sono le femmine, 102 i maschi. Ventidue odalische sono vigilate da centodue eunuchi: tutti i maschi, infatti, sono castroni. Se gode il possesso della sua virilità il cavallo è bisbetico, bizzarro, volubile davanti all’ostacolo. Bisogna castigarlo nelle sue prerogative somatiche per averlo, come si suol dire, alla mano, per educarlo al salto, per costringerlo alla disciplina del morso, della redina e dello scudiscio. Eunuchi, ma pomposi, il che non fa contraddizione. Dai cavalieri in sgargianti uniformi essi sono presentati in pista avvolti nei loro lustri e sfolgoranti mantelli bai, sauri, morelli, grigi.
Spicca per eccentricità di abito da sera il dodicenne Master William dello statunitense Wiley: la pelle di un tenero color rosa caramella, e strappa gridolini alle labbra laccate e alle gole viola della cafè society. Piazza di Siena è incantevole nella sua cornice di pini secolari e di cipressi svettanti. Il campo di gara è una tavolozza. Gli ostacoli (14, per 7 salti) sono fioriti e imbandierati. Sempre per i profani, elenco gli ostacoli del percorso: siepe con barriera, barriera su muro, muro, riviera (m. 5), cancello di villa, passaggio di sentiero, doppia gabbia (pericolo n. 1), passaggio di sentiero di betulle con fosso, oxer rustico su catasta, barriera bianca e nera, gabbia con passaggio di sentiero, cancello romano, muro di villa, passaggio di sentiero con barriera e arginello.
Pochi sono i cavalli che si orizzontano nel dedalo di un percorso che gli esperti qualificano tra i più difficili dei concorsi ippici di tutto il mondo. Le medaglie olimpiche li meritano e li valgono. Il cavallo d’ostacoli, oggetto di cure estremamente assidue e pazienti per salire alla cima della classe internazionale, è un cavallo letterato: deve saper leggere con gli occhi e scrivere con gli zoccoli.
Sono commoventi i destrieri che, nella volta arcuata del salto, s’accorgono di rischiare la tòpica e raccolgono al ventre lo zoccolo in procinto di salto come se fossero punti da uno spillone rovente. Ci sono cavalli impeccabili, seri, diligenti, balzani, neghittosi, disperati. Questi ultimi rovinano la mobilia del campo, piombando sull’ostacolo e facendone schizzare via pali e traverse, siepi e mattoni (finti) per un raggio di dieci metri. I soldati addetti al ripristino degli elementi della doppia gabbia, sventrata dagli strafalcioni dei cavalli somari, sono i veri stakanovisti del Gran Premio.
Sono sempre al lavoro perché la doppia gabbia è l’ostacolo nel quale va a ingabbiarsi la maggior parte dei concorrenti. Un cavallo amante della pulizia è Guanaco, dell’uruguaiano Colombino. Sorvola, con slancio e correttezza, tutti gli ostacoli, ma quando si imbatte nelle pozze d’acqua della riviera e del fosso ci casca dentro e si fa il suo bravo pediluvio.
La dodicesima vittoria azzurra è arrivata a cavallo. L’ha slanciata sul traguardo della medaglia d’oro Raimondo D’Inzeo, il più giovane dei due Dioscuri dell’equestrica italiana. Il suo palafreno era Posillipo, un sauro di dieci anni, e perciò uno dei saltatori meno logorati del campo internazionale. Raimondo ha avuto una gara difficile piena di trabocchetti. Per quanto, infatti, egli avesse aperto la lizza al quarto turno di percorso stampando sull’erba del prato uno zero tondo come l’o di Giotto (e cioè sorvolando i quattordici ostacoli senza nessuna penalità) la galoppata meno felice della seconda serie gli aveva gettato un cappio al collo. Era salito a dodici penalità, mentre l’argentino Dasso e il francese Fresson, fermi rispettivamente a penalità 4 e 8 della prima manche erano in grado di fare meglio di lui nel conto totale. A sua volta il fratello Piero, penalizzato di 8 punti nel primo giro di giostra, continuava ad essere in corsa sia verso Raimondo, sia verso i suoi avversari diretti. Il lento rosario sgranato dai concorrenti chiamati volta a volta ad affrontare il percorso era motivo d’ansia per i nostri cavalieri e spina d’apprensione per la folla che gremiva (abbastanza) il campo. Ed ecco l’argentino in pista. Il suo Final, un grigio di coreografica prestanza, era forse pentito di averla menata buona, nel primo tempo, a un cavaliere quale il Dasso scombinato in sella come un buttero che monta a pelo. Sfondato un ostacolo dopo l’altro, scompariva dal tabellone dei possibili emuli di Raimondo.
Toccava poi al francese. La sua Grand Valeur, una femmina baia piena di brio e di capricci prendeva la mano e il tempo al suo cavaliere e inzeppava di errori la pagina del suo esperimento in classe. Dal crollo degli avversari più temibili, forse rotti dall’emozione, la figura di Raimondo emergeva, balzava in scultorea evidenza. La vittoria era sua con uno scarto rilevante di punti. Inoltre le prove disastrate degli ultimi aspiranti alla medaglia d’argento spingevano Piero sulla cresta dell’onda. I due fratelli potevano stringersi la mano. Avevano fatto un bel lavoro. Primo e secondo.
La classifica precisa dell’Olimpiade di salto corrispondeva a una classifica esatta di valori internazionali. Primo Raimondo e secondo Piero. I due tedeschi, che in partenza di concorso si annunciavano come gli antagonisti d’obbligo dei due italiani, dovevano accontentarsi di piazzamenti secondari: la quindicenne Halla di Winckler aveva dato segni evidenti di stanchezza, il diciassettenne Metheor di Thiedemann si era dimostrato un cavallo ormai logoro e disgustato. Poiché si parla di cavalli, prima di tornare agli uomini, siano decretati a Posillipo di Raimondo e a The Rock di Piero gli onori che gli antichi tributavano ai destrieri che vincevano la gara dei corsieri e delle quadriglie sulle pulverulente piste di Olimpia. Tra tutti i cavalli in corsa il capolavoro equino è stato recato da Posillipo, unico percorso netto della giornata. Raimondo l’ha sorretto con la sua inimitabile destrezza, dosandone l’andatura e di quando in quando accarezzandogli la criniera, ma il cavallo ha risposto con un’obbedienza ai comandi che era qualcosa di più di una meccanica partecipazione al lavoro dell’uomo.
Posillipo “sapeva” di portare in sella il campione della medaglia d’oro. Viene fatto di pensare ai cavalli di Achille che, secondo la leggenda omerica, capivano la parola del padrone e gli dicevano che nessuno al pari di lui era degno della vittoria.
Non riesco a dissociare le figure dei due fratelli. La regola dell’Olimpiade vuole un primo e un secondo, una medaglia d’oro e una medaglia d’argento, ma nel caso dei D’Inzeo la distinzione è artificiosa, anche se strettamente protocollare. Raimondo e Piero hanno tenuto a Piazza di Siena una lezione accademica d’equitazione moderna. I due fratelli si sono divisi i temi e i compiti di questo insegnamento. Raimondo col suo slancio agonistico che risolve in concitazione di gara tutti i problemi tecnici inerenti all’arte della sella; Piero con la sua meditata e raffinata cultura stilistica che ne fa l’epigono del grande Caprilli, hanno in un certo senso mutuato le loro doti e le loro inclinazioni per sintetizzarle in due premi di eccellenza destinati a convergere nella realtà sportiva di un unico premio.
C’è stato un momento in cui la solidarietà ideale tra i due fratelli, l’uno volante al soccorso dell’altro, ha avuto l’accento lirico di una voce del sangue che chiama. È stato quando Piero, avendo visto che Raimondo aveva chiuso la seconda manche con 12 penalità, ha tenuto il suo secondo percorso nel limite delle otto penalità, stringendo sotto al fratello, quasi a scudo di difesa.
Finito il doppio turno di gara, Raimondo e Piero si sono seduti l’uno accanto all’altro su una panchetta, senza parlarsi, intenti allo svolgimento delle prove altrui, che avrebbero potuto trasformare in chimera la loro speranza di vittoria. Non si guardavano neppure per il timore di comunicarsi la reciproca angoscia, ma si volevano straordinariamente bene. Soffrivano le pene dell’inferno di chi, avendo compiuto la sua impresa, è in balia delle imprese altrui, e nulla può fare per deviarne il corso e stornare la minaccia, ma da bravi ufficiali non muovevano un muscolo della faccia, stavano silenziosi e impassibili al loro posto, due soldati al servizio della bandiera dell’Olimpiade».
Un recente sondaggio tra i giornalisti del settore equestre di tutto il mondo ha eletto Raimondo D’Inzeo miglior cavaliere della storia. Oggi è colonnello nell’Arma dei carabinieri, icona degli sport equestri.

(Giampiero Castellotti)

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