SILVIA BARALDINI



Nomi celebri

Abbiamo “ricostruito” le biografie di una cinquantina di persone, con origini molisane, che vantano un’ampia e riconosciuta notorietà.
Un elenco, per un territorio ancora sconosciuto qual è il Molise, che risulta importante per rispondere alla classica domanda: “Quali sono i molisani famosi?”.
Si tratta per lo più di personaggi che sono nati e si sono affermati professionalmente al di fuori della propria terra d’origine. Ma con il Molise, il più delle volte, mantengono un rapporto saldo, per quanto poco enfatizzato.


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Silvia Baraldini nasce a Roma il 12 dicembre 1947. La mamma è molisana di Monteroduni (Isernia).
Nel 1961, all’età di quattordici anni, si trasferisce negli Stati Uniti per seguire il padre, inizialmente dipendente della Olivetti a New York e successivamente funzionario della ambasciata italiana a Washington. Qui Silvia consegue la laurea presso l’università statale del Wisconsin, una delle più impegnate degli Stati Uniti dal punto di vista sociale. La sua attività politica ha inizio nel periodo scolastico, specie contro la guerra del Vietnam. Prosegue quindi sull’onda del movimento sessantottino, con la protesta in difesa dei diritti civili dei neri e di quelli delle donne, abbracciando presto l’attività dei movimenti politici radicali statunitensi. E’ componente del partito rivoluzionario Black Panther Party.
Dal 1975 appartiene all’organizzazione comunista “19 maggio”, movimento legalmente riconosciuto dal governo statunitense, che fiancheggia appunto il movimento BLA. Si mette in luce rivelando il programma illegale “Cointelpro” dell’Fbi, che spia gli oppositori politici interni, nonché nel sostenere le ragioni di Mumia Abu-Jamal, giornalista afroamericano condannato a morte in Pennsylvania.
Il 2 novembre 1979 fa parte di un commando che realizza l’evasione dal carcere di Assata Shakur, “anima” del Black Liberation Army (BLA), che sconta una condanna all’ergastolo per l’omicidio di un agente di polizia stradale. Viene quindi arrestata una prima volta il 9 novembre 1982 per associazione sovversiva, legata al suo attivismo politico comunista e di appoggio ai movimenti afro-americani di liberazione. Scarcerata sotto cauzione, viene arrestata nuovamente cinque mesi dopo, il 25 maggio 1983 a causa di una rapina messa a segno il 20 ottobre 1981 dalla formazione comunista di cui fa parte e che provoca l’uccisione di una guardia giurata e di due poliziotti di Nyack, l’ufficiale Waverly Brown e il sergente Edward O’Grady. Nel processo, di fatto, viene accusata di essere un’ideologa del movimento “19 maggio” e di altri movimenti afro-americani di liberazione nonché di aver preso parte ai preparativi di rapine, mai portate a termine, di un furgone blindato a Danbury, nel Connecticut, e di un furgone blindato alla Chemical Bank di Nanuet, a New York. Inoltre è accusata di “ingiuria al tribunale” (“contempt of court”), per aver rifiutato di fornire testimonianza sui nomi di altri militanti del movimento “19 maggio”.
La sentenza del luglio 1983 è durissima: 20 anni per concorso in evasione, appunto di Assata Shakur; 20 anni per associazione sovversiva e per i due preparativi di rapina; 3 anni per “ingiuria al tribunale” per aver rifiutato di fornire testimonianza sui nomi di altri militanti del movimento “19 maggio”. Viene pertanto rinchiusa nel carcere di New York, poi in quello di Pleasanton, in California, quindi a Lexington, per scontare una pena decisamente eccessiva rispetto ai capi d’accusa. Viene sottoposta al carcere duro: isolamento, censure nella posta, limitazioni nelle visite, sorveglianza continua.
Nel 1988 le viene diagnosticato un tumore all’addome. E’ operata più volte. In Italia cresce un movimento di sostegno che richiede l’applicazione della convenzione di Strasburgo per il trasferimento dei condannati. Nasce il “Coordinamento nazionale Silvia Baraldini” e vi aderiscono, tra gli altri, Umberto Eco, Dario Fo, Franca Rame e Antonio Tabucchi. Nel 1992 l’accordo e l’estradizione sembrano vicini, ma la Baraldini riceve dalla magistratura americana lo status di pericolosità altissima. Nel 1993 il cantautore Francesco Guccini le dedica “Canzone per Silvia” nell’album “Parnassius Guccinii”. Il 24 agosto 1999 Silvia Baraldini è rimpatriata per scontare in Italia il resto della sua pena anche a seguito della forte mobilitazione dell’opinione pubblica italiana e per alcune iniziative parlamentari. Decisivo l’impegno dell’allora ministro della giustizia Oliviero Diliberto, il quale va ad accoglierla all’aeroporto. Nell’aprile 2001 le vengono concessi i domiciliari.
Nel 2003, non senza polemiche, ottiene una collaborazione con il Comune di Roma per occuparsi di un progetto di ricerca sull’occupazione femminile.
Il 26 settembre 2006, per effetto dell’indulto, Silvia Baraldini viene scarcerata.
Ottiene la cittadinanza onoraria dai Comuni di Cazzago San Martino, Mola di Bari, Castagneto Carducci e Venaria Reale, quest’ultima l’8 maggio 2007.
Attualmente vive a Roma.
La sua storia è raccontata nel documentario “Ore d’aria: la storia di Silvia Baraldini” a cura di Antonio Bellia”.
                                                                                                                                   
(Giampiero Castellotti)

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