Covid, ma sui numeri c’è qualcosa che non va…

Con sempre maggiore frequenza si sentono, perlomeno negli ambienti “più evoluti”, critiche alla gestione dei dati sul Covid. In sostanza, provenendo da diverse fonti regionali e non essendoci una linea unica di criteri, spesso abbiamo dataset non del tutto comprendibili.

Un esempio è fornito dal numero dei tamponi. Ci sono regioni che inseriscono nel dato dei tamponi processati solo quelli di un certo tipo, altri allargano la gamma e quindi la quantità complessiva, inserendo quindi anche persone che hanno effettuato un primo tampone (ad esempio quello cosiddetto “rapido”) e poi un secondo, quello molecolare “tradizionale”. In questo modo avvengono disparità nel calcolo della percentuale tra tamponi effettuati e individui risultati positivi: la regione che calcola meno tamponi sarà penalizzata rispetto ad un’altra che divide il numero dei soggetti positivi per un numero più elevato – ma falsato – di tamponi.

In questi ultimi giorni c’è un’altra anomalia che non viene evidenziata con il clamore che meriterebbe: perché si fanno sempre meno tamponi, mentre il commissario Arcuri soltanto qualche settimana fa aveva assicurato una loro crescita fino alle 300mila unità? Se il 13 novembre sono stati fatti quasi 255mila tamponi, trovando quasi 41mila contagiati, da allora il loro numero è sceso in modo rilevante. E’ chiaro che facendo meno tamponi, si trovano meno contagiati. Se se ne facessero oggi 255mila, troveremmo probabilmente non meno di 25mila nuovi contagiati, numero che confermerebbe in modo più evidente che siamo ancora in piena emergenza.

Del resto i cali, seppur contenuti, dei pazienti in terapia intensiva e ricoverati in ospedale sono purtroppo dovuti, in massima parte, all’alto numero quotidiano dei decessi.

Appare, insomma, incomprensibile quest’onda di “normalizzazione” repentina: è davvero un dramma se per due giorni – il 25 e il 26 dicembre – non sarà possibile fuoriuscire dal proprio comune? E’ un sacrificio insostenibile? Perché, a fronte della ventilata prudenza da parte di alcuni esperti (o presunti tali), si continuano a “scolorire” regioni?

Per vedere qualche beneficio sociale ed economico con le vaccinazioni, occorrerà attendere ancora mesi, probabilmente non meno di cinque-sei mesi. Davvero vogliamo rendere questo periodo ancora più lacerante, con ospedali di nuovo in sofferenza e numero di decessi portato alle estreme conseguenze, semplicemente per rinunciare a qualche sacrificio, ben poca cosa rispetto a quelli patiti dalla generazione di chi ha vissuto il secondo conflitto mondiale?

(A.C.)

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