Covid, si segue il “modello svedese”?

La domanda ricorrente è: perché non s’è fatto nulla? In sostanza perché, a livello istituzionale, sono stati fatti passare i mesi estivi senza prepararsi opportunamente ad affrontare la seconda ondata di Covid? Ciò vale soprattutto per l’Italia, ma in fondo anche per altre nazioni europee.

Oggi sentiamo ripetere che la pandemia è fuori controllo. Purtroppo è vero. Non basta da solo il fatto che i tamponi effettuati siano molti di più per giustificare una diffusione che ormai investe come uno tsunami tutte le regioni italiane. Nonché gli Stati esteri.

Allora, in molti, sorge spontanea un’ipotesi: c’è forse la volontà di adottare il “modello svedese”, cioè lasciare che l’incendio si propaghi, al limite circoscrivendolo un po’, affinché poi perda vigore naturalmente?

Tale strategia, adottata in particolare dalla Svezia, che però ha pagato un alto prezzo in vite umane, le ha permesso finora di avere una seconda ondata non particolarmente virulenta. Lo stesso si può dire per quelle province lombarde (in particolare Bergamo e Brescia) fortemente colpite in primavera e oggi meno tartassate dal virus. Rinunciare al lockdown, come stanno facendo tutti (ad esclusione di Israele) permette di non toccare sensibilmente il tessuto produttivo e di mantenere attiva la vita sociale.

Emblematico il caso delle scuole. Benché studi internazionali dimostrino come l’apporto di questo settore alla diffusione del virus sia rilevante, nella maggior parte dei Paesi europei si resiste alla didattica a distanza.

Certo, la soluzione “immunità di gregge” proposta da diversi scienziati già all’inizio della pandemia è lontana nei numeri. Servirebbe almeno un 60-70 per cento di contagiati per rallentare sensibilmente la pandemia, mentre, secondo stime attendibili, in Italia saremo ancora sotto al 10 per cento (comprendendo i tantissimi asintomatici), salvo alcune zone delle Lombardia dove si sarebbe arrivati al 40 per cento. Più vicini sarebbero proprio in Spagna, Francia, Belgio e Regno Unito, seppur ancora lontani da quelle percentuali. Ma se la Francia continuasse con quei numeri – tra l’altro con meno decessi di noi – nel giro di un paio di mesi potrebbe vedere affievolirsi l’incendio e aver immunizzato buona parte della popolazione. Però, a che prezzo di vite?

(Antonella Cifelli)

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