Si fa un gran parlare di rilancio per il nostro Paese, corroborato dall’agognata pioggia di soldi (a prestito) da parte di Mamma Europa. Ma ancora non sono chiare né la visione, e di conseguenza né la strategia, per il futuro del nostro malridotto Belpaese.
Emblematici, in tal senso, sono i risultati dell’ultima edizione del Digital economy and society index (Desi), l’indice con cui l’Unione europea dal 2014 misura la competitività digitale dei singoli Stati. Presentato nei giorni scorsi, conferma gli scenari poco confortanti sulle prospettive di trasformazione digitale per l’Italia. Ciò avrebbe dovuto accendere qualche riflessione sia in ambito governativo sia tra le forze di opposizione. Invece di fronte alla conferma di un “medioevo digitale” per il nostro Paese, non abbiamo rilevato concrete e forti prese di posizione per invertire una tendenza che ci condanna al disastro anche in questo campo.
Infatti, dopo il leggero scatto dello scorso anno, l’Italia torna addirittura in terzultima posizione in ambito comunitario, dimostrando come sia necessaria un’effettiva svolta digitale per ripartire. Del resto il periodo di quarantena ha dimostrato, principalmente in ambito scolastico, tutti i limiti sia individuali sia collettivi sul fronte della dotazione e delle competenze digitali.
Nel dettaglio, secondo il Desi 2020, il nostro Paese occupa il terzultimo posto tra i 28 Stati dell’Unione europea, con un punteggio pari a 43,6 (rispetto alla media Ue del 52,6). Lo scorso anno eravamo al 23º posto con punteggio di 41,6 a fronte del dato Ue del 49,4.
Nonostante da anni i governi manifestano l’impegno per digitalizzare soprattutto la pubblica amministrazione e l’economia in genere (si pensi all’agenda enunciata nella Strategia “Italia 2025” a cura del ministero per l’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione), restano problemi enormi non solo nella connettività (su questo parametro l’Italia è a metà classifica in Europa), ma soprattutto nei livelli delle competenze digitali di base e avanzate del “capitale umano” (ultimo posto nella classifica europea). Situazione aggravata da un numero modesto di specialisti e laureati nel settore ICT, molto al di sotto della media europea, come rileva la stessa indagine. Secondo il Desi, soltanto il 42 per cento delle persone di età tra i 16 e i 74 anni ha almeno competenze digitali di base (rispetto al 58 per cento dell’Unione europea) e solo il 22 per cento dispone di competenze digitali superiori a quelle di base (a fronte del 33 per cento nell’Unione europea).
La diffusione della banda larga fissa ad almeno 100 Mbps passa dal 9 al 13 per cento tra 2018 e 2019, con performance molto distanti dalla media comunitaria. Per quanto riguarda la banda ultra-larga VHCN, l’Italia ha soltanto il 30 per cento del territorio coperto rispetto alla media europea del 44.
Secondo un’indagine Assintel, l’associazione delle imprese Ict, emerge che il 30 per cento delle aziende ha un fatturato stabile o in crescita nel primo semestre, spinto dall’accelerata al digitale imposta dal lockdown, mentre il 47,7 per cento subisce ripercussioni negative ben oltre il 10 per cento. Il 66,7 per cento dei rispondenti reputa le misure di sostegno del governo come marginali o inutili per la propria azienda, mentre il 26 per cento non è nemmeno riuscito ad accedervi. Come spesso è accaduto nella storia di questo settore, l’Ict si è in sostanza rimboccato le maniche e ha fatto da sé, ricorrendo in primis a smart working, business development e efficientamento dei processi, con un’attenzione particolare rivolta alla ricerca di nuovi clienti e a nuovi approcci di marketing.
Sul fronte delle competenze digitali scontiamo, in particolare, un mix di pregiudizi culturali e ritardi, in particolare nell’adeguare i programmi scolastici e universitari alle esigenze Ict delle aziende.
Oltre ai ritardi nella pubblica amministrazione, emblematica la figuraccia rimediata dall’Inps nella gestione dei fondi di sostegno nel periodo Covid, non va dimenticato il grande tema delle microimprese che si interseca con la poca copertura della fibra nelle tante zone più rurali e isolate del territorio, tra cui il Molise: lavorare on-line per loro diventa una corsa ad ostacoli.
Ecco cosa ha detto Paola Generali, presidente Assintel: “Da un lato l’esecutivo deve accelerare le infrastrutture che abilitano il digitale, ma il focus point deve essere quello di disegnare provvedimenti che incentivino il digitale facendo in modo che le tecnologie più innovative siano alla portata anche soprattutto delle micro e piccole imprese. Questo può essere fatto grazie all’economia di scala che queste creano, rappresentando il 98 per cento del tessuto imprenditoriale italiano. Il Desi, infatti, ci sottolinea che il Piano nazionale Impresa 4.0 ha funzionato soprattutto nelle medie e grandi imprese per l’acquisto di hardware, e questo dato denota che l’Italia è fuori dai binari della digitalizzazione: ad oggi non è stato sostenuto il vero humus imprenditoriale che fa da tessuto connettivo e culturale del nostro Paese: vale a dire le piccole e medie imprese. E l’Italia per questo ne sta pagando le conseguenze deragliando digitalmente”.