Disagi sociali, attenzione alle mafie

Il lockdown decretato a Napoli si è trasformato in una guerriglia urbana organizzata, con tanto di coinvolgimento della camorra che guidava i vari gruppi all’assalto delle forze dell’ordine che cercavano di difendere il perimetro del palazzo dove ha sede la regione Campania. Ciò che in tanti temevamo, è accaduto. Il disagio sociale si è dimostrato nei fatti terreno fertile per le mafie che mirano soprattutto al consenso collettivo organizzando anche forme di ribellione come quella di ieri a Napoli.

Dopo la protesta, la criminalità organizzata concederà servizi e assistenza, cioè quello di cui la parte più povera della società ha bisogno. Saranno concessi benefici facili che dovranno essere restituiti ad un prezzo altissimo e porteranno immancabilmente al soffocamento del soggetto richiedente. In momenti di emergenza come quello attuale e come quello che si sta prospettando nei prossimi mesi, il livello di attenzione, su queste forme di benefici apparenti, che le mafie tentano di offrire alle fasce più povere della società, deve essere altissimo.

Non dimentichiamoci la lezione del generale Dalla Chiesa il quale riteneva le protezioni mafiose fossero elementari diritti che spesso lo Stato non era in grado di assicurare. Basterebbe che le nostre istituzioni riuscissero a garantirli, senza se e senza ma, e le mafie sarebbero automaticamente private di questo enorme potere. Sui diritti negati le mafie agiscono e consolidano la propria forza.

I fatti incresciosi accaduti a Napoli mettono ancora una volta a nudo le criticità e le disuguaglianze esistenti nella nostra società durante la pandemia da coronavirus. In questi giorni, infatti, a soffrire di più sono le persone povere, i soggetti che hanno un reddito basso o che l’hanno perso dopo aver chiuso la propria attività, chi vive di lavori salutari o chi addirittura lavora “in nero”. Tutti soggetti uniti da una situazione di bisogno materiale che però, per la loro particolare condizione, non hanno accesso o non hanno gli strumenti per accedere alle forme di sostegno che lo Stato dovrebbe mettere a loro disposizione. Rispondere ai bisogni di un individuo o di una comunità, garantendo diritti uguali per tutti, è un dovere costituzionale della nostra Repubblica. Nello stesso tempo è anche una forma di prevenzione “ante delictum”, una difesa contro chi specula proprio sui bisogni delle persone, sfruttando le necessità dettate da questo particolare momento di crisi.

Oggi le istituzioni non riescono a dare risposte ai bisogni primari delle persone, di conseguenza, i clan le sostituiscono offrendo la loro “assistenza”. E’ un circuito chiuso nel quale si entra e non si esce più. Una morsa mortale che strangola lentamente i soggetti più svantaggiati. Prima si “regala” per ottenere consenso e poi si assoggetta e s’ingloba chiunque sia ricorso al loro aiuto. Questo meccanismo, nonostante sia palesemente perverso, rafforza notevolmente le mafie che così controllano i territori e le loro economie, rendendo i poveri sempre più poveri e per questo assoggettabili ai loro ricatti. In questi mesi, Cosa Nostra ha distribuito cibo agli abitanti del quartiere Zen di Palermo che non potevano permetterselo. La Camorra ha fatto lo stesso verso i più bisognosi a Napoli e provincia. La ‘ndrangheta, addirittura non ha neanche distribuito cibo ma denaro che ha consegnato direttamente alle famiglie come se fossero buoni spesa. E’ il nuovo “welfare mafioso” fatto a discapito di uno Stato purtroppo ancora statico di fronte ad una crisi epocale. Se sussisteranno ancora politiche pubbliche inadeguate, ritardi ingiustificati e palese superficialità con cui sono affrontati i problemi di questa crisi, le mafie ne trarranno immancabilmente beneficio. Politica e disagi sociali sono tra loro strettamente connessi. Personalmente ritengo siano proprio queste mancanze che determinano il disagio sociale mentre le mafie sono essenzialmente il risultato. Per cui se continuiamo a confondere le cause con gli effetti, le mafie possono stare tranquille e continuare ad operare indisturbate.

(Vincenzo Musacchio)

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