Nonostante qualche “mal di pancia”, soprattutto ideologico, per l’impatto visivo, in fondo anche contraddittorio per una scelta pienamente sostenibile, l’eolico continua a costituire un’opzione importante e strategica per la transizione energetica dai combustibili fossili alle energie rinnovabili di cui tanto si parla.
Secondo il recente rapporto “Getting fit for 55 and set for 2050” pubblicato da EtipWind (European Technology and Innovation Platform on Wind) e WindEurope, l’energia prodotta dal vento potrebbe generare il 50 per cento dell’energia elettrica totale in Europa nel 2050, garantendo un apporto basilare alla lotta contro l’inquinamento atmosferico con il raggiungimento dell’obiettivo comunitario di ridurre del 55 per cento le emissioni di CO2 nel 2030, rispetto ai livelli del 1990, nonché per conquistare la neutralità climatica entro metà secolo, come previsto dal Green Deal europeo, azzerando così le emissioni nette di anidride carbonica.
Per raggiungere tale ambizioso e benefico traguardo, secondo il rapporto di EtipWind, occorreranno circa 1.000 GW di impianti eolici a terra e 300 GW di parchi offshore nel 2050, contro, rispettivamente, gli odierni 165 e 15 GW.
Il documento, con estremo pragmatismo, indica anche le cinque proficue direzioni che stanno caratterizzando il mercato contemporaneo nel settore: si va dalla realizzazione di enormi parchi eolici offshore con turbine di potenza superiore a 15 MW, connessi alle reti elettriche nazionali di più Paesi, in modo da ottimizzare costi e connessioni all’industrializzazione dell’eolico su piattaforme galleggianti, per sfruttare i siti ventosi in acque profonde. Ed ancora: il potenziamento degli impianti a terra esistenti per produrre più energia a fronte di un minore consumo di suolo, grazie alla riduzione del numero di turbine con interventi di repowering; la riduzione degli impatti dell’eolico sulla natura e sul paesaggio, in particolare con la riduzione del rumore e delle possibili interferenze con il passaggio di uccelli, tema caro agli animalisti; l’inserimento dell’eolico in un sistema di economia circolare, realizzando le pale con nuovi materiali riciclati e riciclabili.
Il rapporto evidenzia anche il calo dei costi di produzione: con i parchi eolici a terra, scenderà in media a 33 euro per MWh nel 2030 per poi arrivare sui 25 €/MWh nel 2050, con riduzioni rispettivamente del 28 e del 45 per cento rispetto ad oggi. L’eolico offshore, da parte sua, scenderà a 48 €/MWh per le installazioni con fondamenta fisse e 64 €/MWh per le installazioni galleggianti, con diminuzioni del 44-65 per cento tra il 2020 e il 2030.
Tutto bene, quindi? Non proprio. Questi rosei quadri per il futuro debbono fare i conti, in alcuni Paesi come il nostro, soprattutto con la burocrazia. Il cammino verso la piena transizione energetica è lastricato di problemi conseguenti principalmente ai lunghi processi autorizzativi: se la normativa comunitaria prevede sei mesi di tempo per un’autorizzazione, la realtà – ben più amara – porta tale periodo a cinque anni e più. Emblematica l’inconsistenza e l’insufficienza di alcuni interventi normativi per il settore: il Decreto Semplificazioni, ad esempio, non riduce le procedure, ma taglia solo da 45 a 30 giorni i termini per un paio di pareri. Un risparmio di 30 giorni su di un processo autorizzativo pluriennale.
I nodi sono spesso generati dai contrasti tra i decisori, che producono giudizi discordanti tra loro. C’è in particolare il ruolo predominante del ministero dei Beni culturali, che sistematicamente, anche in aree in cui è assente il vincolo ambientale, sospende tutte le autorizzazioni in nome della tutela paesaggistica. Ma un conto è collocare pale eoliche a ridosso di un’area archeologica, un altro è farlo in aree isolate di montagna o in mezzo al mare. Occorre poi tener presente che il contrasto, soprattutto pregiudiziale, nei confronti delle installazioni eoliche equivale al contrasto della crescita economica, alla sottrazione di posti di lavoro e alla contrapposizione verso la sostenibilità assicurata da un ciclo energetico pulito.
Basilare, insomma, è la semplificazione delle procedure amministrative, annoso vulnus del nostro apparato pubblico appesantito dalla burocrazia: soltanto tagliando i rami secchi e imponendo regole chiare si potrà attuare senza intoppi quella transizione ecologica al centro dell’ambizioso Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) con il quale ci giochiamo gran parte del nostro futuro e soprattutto di quello delle prossime generazioni.
In questa direzione va anche il “Manifesto per lo sviluppo dell’eolico” creato dall’Anev, l’Associazione nazionale energia del vento. I punti salienti del documento, che include la semplificazione dell’iter autorizzativo, la revisione delle Linee guida nazionali per gli impianti eolici e l’istituzione di meccanismi di supporto e di sostegno al comparto, riguardano anche l’attivazione di una cabina di regia presso la presidenza del Consiglio, e l’avviamento di strumenti specifici per lo sviluppo del Power purchase agreement, cioè i contratti a lungo termine tra aziende e produttori di energia rinnovabile, con lo scopo di rendere il settore eolico una “potente risposta economica, industriale e culturale alla crisi pandemica e al necessario processo di decarbonizzazione dell’economia”.
Il Manifesto mira, in sostanza, ad identificare le priorità d’azione e mettere a sistema un modello di collaborazione tra l’associazione, le istituzioni e le aziende del settore per un corretto sviluppo dell’eolico in Italia, in linea sia con gli obiettivi del Piano nazionale integrato energia e clima sia con quanto previsto dall’Unione europea.
Dopo il boom avvenuto specialmente negli anni Novanta, non è vero che l’eolico viva una fase di stasi. Tutt’altro. Terna, uno dei maggiori operatori nazionali, attraverso il suo direttore Strategie di sviluppo rete e Dispacciamento di Terna, Francesco del Pizzo, fa sapere che c’è una forte volontà di investire in Italia, rivelando che attualmente le richieste di connessione in AT per impianti da rinnovabili presentate al Tso “superano i 125.000 MW”, al netto dell’eolico offshore, che sta crescendo in modo impressionante in termini di attenzione e volumi, per lo più in Sardegna, Sicilia e nella zona sud della Puglia. Insomma, la strada è in discesa per centrare il nuovo obiettivo di 70 GW eolici aggiuntivi al 2030 (contro i 39 GW del vecchio Pniec), ma, secondo del Pizzo, serve un “pacchetto di securizzazione finanziario” delle iniziative, che potrà essere il capacity market ma anche l’estensione del meccanismo delle aste Fer cui dovrebbero poter partecipare “anche impianti solari su terreni che non sono utilizzati ai fini agricoli o sono stati abbandonati”.
Terna intende lanciare una consultazione sulla revisione delle soluzioni di connessione, che saranno semplificate con la riduzione del numero delle stazioni in modo da “occupare meno territorio, avere iter autorizzativi più semplici e un’accoglienza territoriale diversa”.
“Se il governo riuscisse ad affrontare seriamente il tema del permitting, con un aggiornamento del Tica e un confronto intenso sugli sbilanciamenti e del dispacciamento credo che ci sarà un quadro molto più chiaro sulla programmazione degli investimenti – è il parere di Stefano Saglia, componente del collegio di Arera,
L’eolico, insomma, grazie anche alle innovazioni tecnologiche, costituisce uno strumento altamente competitivo in termini non solo di sostenibilità, ma anche di efficienza. Sarà ora importante il ruolo della politica, che dovrà farsi carico di provvedimenti realmente di supporto al settore, limitando quei contenzioni che servono soltanto alle parcelle degli avvocati e non certo alla qualità della vita dei cittadini.
(Maria Di Saverio)