Gli “esperti” del Covid mai all’unisono

In un Paese che non è stato capace di prepararsi alla seconda ondata, facendoci ripiombare nelle stesse condizioni della scorsa primavera (con l’aggravante che oggi il virus colpisce pesantemente tutte le regioni), coloro che hanno operato nelle stanze dei bottoni dovrebbero perlomeno mettersi in ombra. Quanti, la scorsa estate, hanno lanciato l’allarme per l’autunno? Durante la bella stagione ci sono stati controlli su assembramenti e mascherine? Cosa s’è fatto per potenziare ospedali, apparati di tracciamento e di test, nuove tecnologie in una scuola che sarebbe inevitabilmente finita nella didattica a distanza?

Se sul piano politico il rimpallo delle responsabilità rischia oggi di aggravare la situazione del Paese – bene fa il presidente Mattarella a richiamare l’unità nazionale – ben diverso è il discorso riguardante quei nuovi protagonisti della scena mediatica che rispondono al nome di “esperti”. Salvo qualche eccezione, c’è stato qualcuno di loro che ci ha messo in guardia a tempo debito, urlandolo ai quattro venti nel corso dell’estate, di quello che sarebbe successo in autunno?

Noi ricordiamo per lo più quelli che hanno minimizzato.

Ora leggiamo alcune posizioni contrapposte, tra i soliti scienziati, anche sulla scuola. C’è chi mette in risalto i crescenti studi che attestano come le aule scolastiche non siano estranee alla diffusione del coronavirus. A ciò vanno aggiunti i rischi nei trasporti verso e al ritorno dalla scuola. Di altro parere qualche pediatra che segnala i “rischi psicologici” per gli adolescenti che studiano davanti ad un computer in remoto. D’accordo, la scuola a distanza non è la regola, ma è forse meglio alimentare ulteriormente contagi, ricoveri, terapie intensive e decessi? Poi, in fondo, i ragazzi che apprendono “in presenza” non sono gli stessi che passano tante altre ore della giornata davanti a videogiochi, smartphone, computer, con casi persino notturni? Vogliamo allora arrivare a proibire l’uso delle nuove tecnologie?

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