Il Corriere della Sera, attraverso un’intervista di Aldo Cazzullo, gli dedica oggi due pagine. Il professor Giuseppe De Rita, l’inventore e l’animatore del Censis, uno dei più fini analisti della società italiana, mercoledì prossimo compirà 90 anni.
In apertura della lunga intervista, il sociologo – in realtà laureato in giurisprudenza – rievoca i primi ricordi: “Dieci giugno 1940: la dichiarazione di guerra. Ero ai giardinetti di San Giovanni con mia madre. Le signore romane erano spaventate: avevano capito come sarebbe finita… Studiavo al Massimo, dai gesuiti, e questo mi evitò il sabato fascista e il passo dell’oca. Dagli altoparlanti della scuola arrivavano Giovinezza e la marcia reale, ma a me piacevano i Puritani di Bellini: ‘Quando la tromba squilla/ ratto il guerrier si desta/ l’arme tremende appresta/ alla vittoria va!'”…
Poi il racconto vira sul Molise, nel pieno della guerra. “Con mia madre e mio fratello Massimo sfollai a Frosolone, in Molise – racconta De Rita. “Guardavamo ammirati i tedeschi: ne bastarono due, con una mitragliatrice, per tenere in scacco gli americani per una settimana. Sparavano come diavoli dalla piazza del Comune, poi si spostavano velocissimi in piazza del Duomo e ricominciavano il tiro… Gli Alleati non osavano avvicinarsi e continuavano a bombardare. Dovettero andare il parroco e il podestà a dirgli che potevano smettere: i tedeschi se n’erano andati”. Cazzullo gli domanda com’erano gli americani… “A dire il vero, prima entrarono i neozelandesi, con la mimetica e il fogliame in testa. Poi i polacchi. Mio fratello divenne il responsabile della mensa. Erano generosi, spartivano il cioccolato con noi. Ci segnammo i loro nomi. Li abbiamo ritrovati tutti nel cimitero polacco di Montecassino… Presa Montecassino, la via di Roma era aperta. Mio padre saltò in bicicletta e partì per Frosolone, per vedere se sua moglie e i suoi figli erano ancora vivi. Ci mise tre giorni, lungo la Casilina, pedalando contromano rispetto alle jeep della Quinta Armata che salivano verso Roma. Arrivò tutto pesto per le botte degli americani, che si aprivano la strada a manganellate”.
Il lungo e appassionato racconto continua con la conoscenza della futura moglie nel 1951, quando aveva 19 anni. Quindi gli otto figli, anche se “ne volevo dodici, come le tribù di Israele”, con una suocera che lo trattava “da stupratore seriale”.
De Rita è un testimone di primo piano del Novecento. Ricorda De Gasperi e Togliatti, Amintore Fanfani con l’Autostrada del Sole e il Piano casa, Enrico Cuccia, i Papi (Giovanni XXIII il preferito, “un uomo normale”), Giulio Andreotti nelle catacombe di Priscilla, in un convento di clausura. Poi gli anni Settanta, i preferiti: “Molti dicono: gli anni di piombo, l’autunno della Repubblica… In realtà fu un grande periodo di conatus essendi. Voglia di continuare a vivere, a fare azienda, a fare soldi. Esplose la piccola industria, l’economia sommersa…. C’era soprattutto la voglia di competere, anche tra campanili. La ceramica a Sassuolo, l’elettrodomestico a Fabriano, le scarpe da montagna a Montebelluna, il gioiello a Valenza Po…”.
De Rita fu un osservatore diretto, passò almeno cento notti l’anno in vagone letto per conoscere a fondo il nostro Paese. “Andai dappertutto. A Prato nel 1969 scoprii un mondo. Tutti avevano almeno due mestieri. Il conducente dell’autobus pubblico lavorava dalle 8 alle 14, poi andava a Livorno con la giardinetta a ritirare le balle di stracci sbarcate dall’America, le riportava a Prato dove venivano lavate nel Bisenzio — inquinamento mostruoso —, quindi riciclate nelle piccole fabbriche. Mi portavano nei sottoscala a vedere i telai, azionati ogni ora dai vari membri della famiglia: ognuno aveva la sua sveglia. Evasione fiscale totale. Contributi, questi sconosciuti”. Non si fa, sottolinea, “ma questa è la gente che ha fatto l’Italia. Toccavi con mano la voglia di vivere e di guadagnare, la volontà di potenza”. Poi sono arrivati i cinesi.
Il futuro? Il professore è convinto che sarà decisivo il prossimo autunno. Non per le elezioni o per il Pnrr. Ma per come reagiranno gli italiani per salvare il proprio Paese. “Conta lo struggle for life, la battaglia per la vita; e alla fine l’Italia non ha mai tradito”.
Parola di vero esperto.