I problemi e il futuro della scuola italiana

È da poco iniziato il nuovo anno scolastico e come sempre ci si interroga sugli aspetti positivi e negativi che la scuola presenta a livello strutturale, contenutistico e metodologico ma anche sul piano delle dotazioni edilizie, strumentali, scientifiche e tecnologiche.

Sul piano storico da un sistema classista in cui la frequenza era riservata a pochi privilegiati siamo passati a quello previsto dalla Costituzione Italiana negli articoli 33 e 34 in cui si delinea una maggiore equità di accesso alla formazione che non prevede tuttavia ancora condizioni ottimali di uguaglianza riservando il “diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi” ai “capaci e meritevoli”.

Di sicuro una parte dell’istruzione è stata resa “obbligatoria e gratuita” e ciò ha costituito una forma di ascensore sociale per quanti provenivano da famiglie povere.

Il sistema dei poli scolastici, organizzati purtroppo sulla base delle richieste campanilistiche dei Comuni più popolosi piuttosto che sulle esigenze dell’intero territorio su cui sono nati, sta creando ancora una volta isolamento e difficoltà d’inclusione in particolare per gli allievi provenienti dalle piccole comunità dove diventa devastante l’assenza di ogni struttura di carattere socio-culturale.

Non parliamo poi delle scuole secondarie di secondo grado e delle sedi universitarie perché le prime sono raggiungibili per molti solo con spostamenti lunghi e faticosi in pullman mentre la frequenza serena e fattiva delle seconde è possibile solo a chi può permettersi di pagare affitti ormai esorbitanti nelle grandi città in cui le facoltà hanno la sede.

Sicuramente la scuola italiana garantisce a ogni livello una buona preparazione generale sul piano contenutistico anche se i programmi risultano ancora troppo teorici e non sono adeguatamente aggiornati agli sviluppi del percorso culturale e alle nuove esigenze dei cittadini di una società in profonda trasformazione.

Probabilmente più che seguire una programmazione standardizzata occorre convincersi, come avviene già in tanti Paesi, che è necessario permettere agli allievi in piena sintonia con genitori e docenti la personalizzazione del proprio percorso di studi.

Intanto, nonostante un certo miglioramento negli ultimi anni, la dispersione scolastica secondo gli ultimi dati è in Italia all’11,5% con percentuali allarmanti specialmente in alcune regioni come la Sicilia, la Puglia e la Campania.

Le prove Invalsi e l’indagine Ocse-Pisa confermano risultati di apprendimento non molto soddisfacenti non solo nelle abilità di comprensione dei testi complessi e nella capacità espressiva ma in particolare nelle competenze in matematica e scienze.

Il gap si rileva a livello di genere, ma diventa assai accentuato sul piano territoriale tra Nord, Sud e Isole.

Il sistema di formazione iniziale come quello in servizio e anche il tipo di reclutamento del personale docente risultano del tutto inadeguati e creano problemi all’efficienza e continuità didattica determinando anche una scarsa motivazione degli insegnanti i cui salari sono ancora tra i più bassi in Europa.

Credo che anche molti dirigenti scolastici stiano dando maggiore prevalenza al ruolo di manager piuttosto che dedicare il loro impegno al coordinamento dell’attività didattica.

Le classi ancora troppo affollate ostacolano non solo l’insegnamento individualizzato ma anche l’attività di ricerca e il confronto nel lavoro di gruppo.

L’inclusione scolastica, nonostante i progressi dovuti alle attività di sostegno, presenta ancora difficoltà notevoli per gli alunni pendolari, di origine straniera e per i portatori di handicap.

La dotazione scientifica e tecnologica inadeguata di moltissime scuole soprattutto al Sud è balzata all’attenzione di tutti in modo plateale durante la pandemia.

C’è inoltre l’eterno problema dell’edilizia scolastica costituita da edifici che nel 60% dei casi mancano del certificato di agibilità; ci sono anche strutture che mancano di ogni sicurezza e di ambienti adeguati ai diversi tipi di attività didattica.

Mentre dovremmo ridurre la disparità nell’offerta formativa che purtroppo esiste tra le diverse zone del Paese, l’attuale governo con la legge sull’autonomia differenziata accentuerà le diversificazioni nei servizi sul territorio in particolare nella sanità e appunto nell’istruzione, materie che potrebbero essere gestite appunto dalle regioni se il referendum abrogativo per cui si sono raccolte le firme non cancellerà la legge 26 giugno 2024, n. 86.

Ove essa rimanesse in vigore, salterebbe, come ho scritto in più occasioni, uno dei principi fondamentali della Costituzione Italiana che è quello dell’uguaglianza dei cittadini.

Il primo problema da risolvere nella scuola italiana a mio avviso è quello di rendere adeguati e sicuri gli edifici riorganizzando i poli scolastici in funzione delle esigenze degli utenti di tutto il territorio su cui insistono.

Per gli alunni fuori sede occorre sicuramente rendere più efficiente il sistema di trasporto e garantire alloggi a canone di affitto agevolato almeno a livello di scuola secondaria di secondo grado e di università.

Va certamente modificato il tipo di reclutamento del personale eliminando ogni forma di precariato che tra l’altro penalizza pesantemente la continuità didattica nelle classi.

L’insegnamento ha bisogno di sistemi metodologici e di tecniche capaci di adeguarsi sempre più alle diverse intelligenze degli alunni presenti nella classe e dunque è necessario che i docenti, oltre alla preparazione disciplinare, psicologica e pedagogica iniziale, siano coinvolti in una formazione in servizio obbligatoria e continua di livello universitario da tenere magari in un periodo di vacanza dal servizio.

Ciò è tanto più necessario nel lavoro di sostegno per gli alunni stranieri e per i diversamente abili al fine di venire incontro ai bisogni educativi particolari di chi ha difficoltà di apprendimento evitando così la dispersione scolastica e rendendo reale l’inclusione.

La ricerca disciplinare va riorganizzata e redistribuita più razionalmente evitando ripetizioni tematiche soprattutto nei vari ordini di scuola secondaria.

Riusciremo in tal modo a portare la riflessione degli allievi anche su contenuti di attualità che spesso vengono tenuti fuori dal programma “per mancanza di tempo” come affermano molti insegnanti.

Sono gli unici sistemi per dare all’istruzione una qualità elevata capace di formare in modo adeguato gli alunni nella riflessione, nella ricerca culturale, nello spirito critico e nelle competenze fondamentali per inserirsi nel mondo del lavoro e nella società in modo libero, utile, attivo e responsabile.

Per questo non si può che puntare sulle tecniche del problem solving favorendo sempre la maturazione della capacità di porsi problemi, di analizzarne gli aspetti e di cercare soluzioni adeguate al contesto in cui si pone qualsiasi situazione critica.

Per attuare a mio avviso un tipo d’insegnamento fondato sulla ricerca ragionata e l’analisi problematica dei diversi temi culturali in un lavoro individualizzato e di gruppo il numero degli alunni per classe non può essere inferiore a quindici né superiore a venticinque.

Mi auguro in proposito che una parte consistente dei fondi del PNNR sia destinata al miglioramento del sistema scolastico dalla cui efficienza dipende la formazione dei giovani e la definizione di principi condivisi per la costruzione di una società nella quale tutti abbiano il diritto di vivere in sicurezza e serenità evitando ogni forma di discriminazione.

La scuola perciò deve istruire, ma lavorare anche per educare i giovani a valori condivisi e ispirati alla Costituzione Italiana rifiutando le logiche della competizione e dei privilegi legati a funzioni o a meriti per orientare i nostri ragazzi alla saggezza, all’onestà, alla libertà, alla lealtà, alla responsabilità, al rispetto, alla condivisione, all’uguaglianza, alla giustizia sociale e alla democrazia.

È per questo che anche il testo delle nuove “Linee guida” sull’educazione civica predisposte dal ministro Valditara deve rispettare la libertà d’insegnamento e i principi condivisi fissati dalla Costituzione Repubblicana evitando che l’educazione alla cittadinanza si leghi unicamente a concetti quali patria e impresa che rischiano di essere marcatori di un’ideologia sovranista propria di chi è lontano dalle connessioni sovranazionali, da una società multietnica e multiculturale come da nuove possibili forme di organizzazione produttiva.

Anche i criteri di valutazione del comportamento degli alunni introdotti dal governo destano molte perplessità per le forme di deterrenza punitive, spropositate e difficilmente applicabili sul piano giuridico come se in Italia per contrastare bullismo o violenza non avessimo già il codice civile e quello penale; tra l’altro in chiunque si occupa di scuola dovrebbe essere forte la convinzione che la responsabilità, il rispetto e la correttezza verso gli altri si possano e si debbano ottenere promuovendoli con l’educazione e l’esempio di lineari stili di vita da parte degli adulti a cominciare da quanti occupano incarichi di governo.

Al riguardo un ruolo importantissimo può avere il settore dell’informazione il quale deve smettere di porci unicamente davanti a fatti negativi e a comportamenti devianti, ma presentarci piuttosto esempi di persone che vivono seguendo i principi della solidarietà e della condivisione che orientano al bene.

Ciò che mi auguro come persona che ha dedicato tantissimi anni all’istruzione e all’educazione dei giovani è che la valutazione nella scuola non abbia mai la funzione di punire e reprimere, ma quella di educare a una condotta in linea con i principi condivisi affermati dalla Costituzione Italiana.

Il filo nero che vedo collegare il giro di vite sulla valutazione nella scuola e il DDL sicurezza mi preoccupa parecchio perché per moltissimi aspetti sembra orientare il Paese verso una democratura capace di limitare fortemente i diritti con leggi finalizzate a reprimere ogni forma di dissenso.

Non avendo programmi preconfezionati e definiti ma solo indicazioni, la scuola anche sul piano educativo come su quello formativo non può fondarsi su pretese monopolistiche a livello contenutistico e valoriale, ma deve avere al centro la libertà e la ricerca che sono il fondamento di una pedagogia democratica.

Se la funzione dell’istruzione è stata assunta in maniera prevalente dalla scuola, è del tutto evidente che il compito dell’educazione va da essa condiviso con la famiglia, le istituzioni ecclesiali, le associazioni socio-culturali, sportive e ricreative le quali tutte devono sentire la responsabilità di guidare le nuove generazioni alla cittadinanza attiva.

I fattori e le istituzioni che determinano la qualità della vita e la civiltà di un popolo sono tanti, ma credo che la scuola sia uno dei pilastri fondamentali per la costruzione di una società libera e democratica.

Lavoriamo allora per renderla sempre più efficiente!

(Umberto Berardo)

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