Il futuro del Molise nelle “aggregazioni”?

Nei giorni scorsi l’europarlamentare Aldo Patriciello ha aperto la strada alla possibilità di aggregazione del Molise con altri territori, nello specifico con l’Abruzzo. La riflessione, supportata da ampia documentazione, ha suscitato reazioni. Ma, al di là di qualche voce contraria, più che altro s’è scatenata una sorta di “totogeografia” tra fautori dell’aggregazione con la Daunia, con il beneventano e con altre zone confinanti.

Se, da una parte, si rigireranno nella tomba i tanti che hanno lottato per decenni con il solo scopo di rendere il Molise autonomo – nel 1963 il distacco con l’Abruzzo che ha garantito comunque un’identità finalmente propria alla regione, nonché numerose opportunità – è altrettanto vero che i numeri in costante crollo, da quelli demografici a quelli economici, rendono il tema quanto mai concreto. Ma, onor del vero, la questione non è nuova: sono anni che molti esponenti di primo piano della comunità agnonese sognano ad esempio una regione montana che riunisca territori dell’Alto Molise e del Basso Abruzzo.

In fondo anche “Forche Caudine”, sin dalla denominazione, è nata anche per rivendicare le radici sannite dei territori, che oltrepassano la riduttiva geografia molisana. Ricreare la Regione Sannio (e non Molisanno, che è un’idiozia storica), garantirebbe maggiore coesione storico-territoriale e potrebbe portare il numero dei residenti oltre le 700mila unità, includendo Benevento, parte del Casertano e della Daunia e alcuni Comuni dell’Abruzzo. Inoltre assicurerebbe maggiore visibilità alla storia dei Sanniti, che rappresenta anche una sottovalutata risorsa turistica per i nostri territori.

Insomma, non si tratta di giocare con la geografia e ridurre il Molise ad uno spezzatino, come hanno proposto diversi amministratori, consegnandone una parte alla Puglia, una al Lazio e una all’Abruzzo. Facendone, insomma, uno scempio. E se proprio servisse assegnare a Benevento il capoluogo di Regione, ben venga, anche perché sicuramente la città attualmente campana ha saputo valorizzare al meglio il suo ruolo, si pensi ad esempio alla squadra di calcio due volte in serie A.

Resta, però, un’amara riflessione. Se qualche politico comincia a progettare queste ipotetiche modifiche amministrative del territorio, è perché la classe a cui appartiene ha fallito su tutti i fronti, utilizzando in gran parte i propri ruoli a fini personali e non per il bene collettivo. Se la popolazione è crollata su cifre non previste nemmeno dall’Istat dieci anni fa (siamo quasi a quota 290mila rispetto ai 314mila previsti per il 2021), ci sarà una ragione: il fallimento della politica regionale.

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