Il Mediterraneo stretto tra egoismi e solidarietà

Nel Mediterraneo c’è un drammatico scontro quotidiano tra biechi interessi di parte e gratuità. I fenomeni migratori, che da sempre caratterizzano il Mare Nostrum, generano oggi approcci e atteggiamenti contrapposti tra una politica spesso sorda – principalmente per tornaconti elettorali – ai richiami di fratellanza e assistenza verso esseri umani che hanno la sola colpa di essere nati in contesti dalle maggiori criticità, e schiere di associazioni – ma anche di singoli individui non organizzati – che hanno nella solidarietà e nel volontariato il proprio scopo primario.

Le sofferenze subite da centinaia di migliaia di persone che fuggono dalla fame e sono sottoposte ad incredibili forche caudine in un percorso pieno di ostacoli sono attenuate unicamente dall’impegno di volontari che, attraverso organizzazioni internazionali o spontaneamente nei porti di approdo, oltre a denunciare le inumane condizioni vissute dai migranti, li supporta negli sbarchi e nell’integrazione attraverso la mediazione culturale, l’assistenza medica. l’orientamento o la fornitura di generi di prima necessità. I valori della solidarietà disinteressata, dell’altruismo, del sostegno, della gratuità si concretizzano nel dramma umano delle migrazioni. Nel dramma si scrivono pagine esemplari di generosità. Raccontarne dettagliatamente una equivale a descriverne altre migliaia.

C’è chi offre cibo agli affamati, il gesto di solidarietà per eccellenza. Chi dispensa una carezza o un abbraccio, che assumono un valore immenso dopo settimane di sofferenza vissute dal cittadino migrante. Chi regala un sorriso d’intesa. Chi raccoglie in braccio un neonato. Chi presta le prime cure a malati e feriti. Chi garantisce le prime spiegazioni. Chi parlando la lingua del “fratello” lo fa sentire un po’ a casa.

Le sponde del Mediterraneo, benché geograficamente vicine e culturalmente affini, restano troppo spesso distanti sul piano politico. L’Unione europea, che dovrebbe costantemente incarnare i valori civili su cui s’è plasmato il continente, di frequente sulla questione migratoria continua ad essere preda delle divisioni, dei miopi interessi, degli egoismi, delle strategie elettorali nelle singole nazioni. Di fronte ai continui sbarchi, i palazzi di Bruxelles sono sfuggenti nell’applicazione degli accordi sottoscritti tra gli Stati sul tema. E palesano la mancanza di una strategia d’insieme: è evidente la frattura, talvolta rappresentata dai confini geografici, tra esigenze di sicurezza espresse nei piani alti e slanci di solidarietà manifestata dai cittadini.

Il corpus normativo per regolamentare i flussi migratori è inconsistente e quasi sempre inefficace di fronte ad un processo che non può essere utopicamente arrestato, semmai va regolato. L’immigrazione continua ad essere vista come un problema dei Paesi comunitari che si affacciano sulla sponda settentrionale del Mediterraneo e ogni tentativo di condivisione cade nel vuoto. È chiara l’assenza di volontà nell’affrontare collettivamente i nodi di questo secolare processo egoisticamente delegato ai Paesi maggiormente esposti al fenomeno per ragioni geografiche. Così un esodo si trasforma in costante emergenza: e talvolta le emergenze fanno comodo a qualcuno, diventando occasione di business.

Il Vecchio Continente, insomma, si dimostra non all’altezza della sua tradizione di civiltà – salvo eccezioni – che lo ha caratterizzato nei secoli. Avrebbe bisogno di alimentarsi proprio dalla sua identità storica e culturale. L’Europa deve riprendere coscienza che il suo futuro è scritto nel Mediterraneo, che qui è in atto una sua missione, luogo di visioni e di decisioni strategiche per il futuro.

Il “sogno europeo” resta quello dell’estensione dei diritti e della salvaguardia della libertà e della democrazia. Viene ripetutamente dimenticato. Non è un caso che, inseguendo quel “sogno”, coloro che fuggono dalle guerre o dalle persecuzioni etniche e religiose, ma anche dai soprusi e dalle carestie, scelgano il nostro continente come approdo.

L’Europa della tradizione ebraica, cristiana, greco-latina, arabo-islamica, della carità quale emblema della spiritualità di ogni fede, deve assumere questi valori per governare le sfide anziché subirle: se il terrorismo cerca di annientare questa peculiarità simbolica del Mediterraneo, è proprio il rilancio dello spazio culturale e spirituale, di inclusione e di connessione, di disinteresse e di dono, a rilanciare la convivenza e a ricostruire un’identità condivisa e dialogante nei Paesi del Mediterraneo.

È necessario ricordarci che le popolazioni esposte su questo specchio d’acqua collettivo, pur nelle loro differenze storiche, culturali e religiose, godono di una radicata base di storia comune. Il Mare Nostrum, crocevia di popoli e di merci, offre evidenti tracce, disseminate in ogni nazione che compone quest’area storicamente coesa, della storia e della cultura millenarie. Sono evidenti le impronte prodotte dai costanti transiti di genti succedutesi sulle acque e sulle coste. La stratificazione è ricchezza.

Al di là della retorica, tra chi si affaccia sul Mediterraneo c’è la condivisione di una civiltà che ha generato un patrimonio interconnesso sul fronte della matematica, della letteratura, del pensiero filosofico, dell’arte, della musica, dell’innovazione tecnologica, delle attività agricole, delle pratiche ittiche e degli spostamenti in mare. E della “donazione” alla base dello scambio di saperi. La crescita collettiva – lo dovremmo avere imparato – è conseguenza di scambi, contaminazioni, elargizione, accettazione e affinamento delle reciproche esperienze. L’Europa è culla di contemplazione filosofica, spiritualità religiosa, pensiero scientifico che nasce da qui e si propaga quasi sempre in modo disinteressato.

Gli indizi della civiltà fenicia che ha inventato l’alfabeto moderno e spalancato le strade del commercio, le testimonianze della cultura greca disseminate in tutta l’area mediterranea, le tracce dell’impero romano in Nord Africa, il ruolo di Alessandria d’Egitto nella valorizzazione dei filosofi greci alla base del nostro pensiero, gli ebrei erranti con la loro profonda spiritualità, le invenzioni arabe che hanno contribuito a far evolvere scienze e matematica, il ruolo dei bizantini nella valorizzazione dei testi fondanti l’identità culturale europea sono soltanto alcune “fotografie” di questa realtà di “offerta”. Un patrimonio reso emblematico dai 400 siti dell’Unesco e da un terzo del turismo mondiale.

Certo, tutto ciò è testimonianza di un passato remoto, per quanto quei semi abbiano dato frutti tuttora visibili. Ma è stato principalmente l’irrompere della società industriale, con i suoi sbilanciamenti e le sue contraddizioni, con i suoi egoismi ed i suoi individualismi, a sconvolgere certi radicati equilibri nel Mare Nostrum: il colonialismo ha soffocato e depredato il continente africano, la pastorizia è stata sfrattata dalle sue millenarie “autostrade verdi” di transito di greggi e mandrie, le tradizionali tecniche agricole sono diventate improvvisamente anacronistiche. Società coese sono state sfaldate. Sono gli interessi economici, opposti al naturale valore della gratuità, a generare i mostri del nostro tempo.

Lo “spazio mediterraneo” si è profondamente trasformato nel tempo. La decolonizzazione, i conflitti bellici, le fratture ideologiche e confessionali hanno ridisegnato il quadro geografico e politico, pur salvaguardando all’area una centralità internazionale: soltanto ricordando le vicende più recenti, si pensi agli scellerati interventi militari occidentali in Iraq, in Afganistan e in Libia, all’eterno antagonismo israelo-palestinese, alla speranze accese e al conseguente soffocamento delle “primavere arabe”, alla guerra in Siria, alla stagione di Daesh. Tutto ciò ha sconvolto società ed economie, alimentando ulteriormente le diaspore dei popoli, accentuando le disuguaglianze, privilegiando economie basate sulla globalizzazione, sui consumi impulsivi e individuali rispetto al valore delle relazioni umane solidali, alla compartecipazione, all’apporto disinteressato e gratuito di matrice principalmente ancestrale e contadina.

Precedentemente le profonde trasformazioni sociali che hanno avuto inizio nel XIX secolo hanno investito anche la sponda nord del mare. Per i popoli del Mediterraneo settentrionale – italiani, turchi, greci, spagnoli – l’unica soluzione per la sussistenza sono state le valigie e l’emigrazione oltreoceano tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, quindi nel Nord Europa dopo la seconda guerra mondiale. In questo caso, nella sofferenza, sono emersi sentimenti di coesione territoriale e parentale alla base di partenze e approdi comuni e nei ricongiungimenti, mentre sul fronte dell’accoglienza si sono verificati gli analoghi problemi odierni di discriminazione, segregazione e intolleranza.

Fenomeni di epoche differenti ma, quindi, affini tra loro. Il Mediterraneo è luogo di partenze e di approdi. Esodi di ieri e quelli attuali, che spingono flussi di disperazione dall’Africa verso l’Europa. Migrazioni che hanno assunto una natura strutturale e di lungo periodo. Le previsioni, in termini di entità di spostamenti, delineano un quadro inquietante per i prossimi anni: l’enorme crescita demografica nel continente africano (sono previsti due miliardi e mezzo di abitanti nel 2050), la crisi climatica che sta accentuando desertificazione e penuria idrica, gli scompensi economici e sociali, l’insicurezza alimentare rafforzeranno i fenomeni. E anziché registrare, come risposta, l’aiuto reciproco, la cooperazione, l’intensificazione degli investimenti e degli scambi commerciali, la promozione dei diritti, la lotta serrata alla radicalizzazione, al terrorismo, ai trafficanti di esseri umani, il continente africano assiste ai nuovi colonialismi del XXI secolo, di matrice principalmente cinese e russa, che stanno ulteriormente peggiorando tale condizione, alimentando le disuguaglianze e il disagio sociale di popolazioni spogliate delle proprie terre, dei valori collettivi, di ogni ricchezza naturale.

Nel mentre, da noi è assente – sul piano politico – la consapevolezza che la nostra identità è il frutto di secoli di integrazioni. Gli accordi con i Paesi nordafricani, spesso caratterizzati da regimi autoritari, mirano a demandare la questione, a contrastare i flussi con la violenza, finendo con l’accentuare le sofferenze a causa delle tappe di un transito delle diaspore costellato di luoghi di vera e propria detenzione. I patimenti subiti da centinaia di migliaia di persone sono attenuati unicamente dall’impegno del volontariato.

Finché non si restituirà al cosiddetto “terzo mondo” la sua dignità – e le responsabilità europee non sono poche – anche attraverso progetti condivisi di sviluppo, il Mediterraneo, entità sovranazionale, continuerà ad essere un orizzonte di sofferenze, di tensioni e di drammi: i circa trentamila morti generati negli ultimi anni dal movimento migratorio costituiscono un’infamia. Quel mare, che gli europei vivono come scenario di vacanza e di divertimento, di spiagge cristalline e di immersioni, per troppi africani è stato – e purtroppo sarà – un enorme cimitero d’acqua.

Perfetta la sintesi operata da Papa Francesco: “La cultura della solidarietà esprime concretamente la partecipazione alla costruzione di una società fraterna, al cui centro vi è la persona umana”.

(Giampiero Castellotti)

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