E’ uno scrupoloso ricercatore e già autore di monografie riferite a paeselli deliziosi dell’area matesina. Alcuni testi sono stati carezzati in tandem con don Angelo Spina, allora giovane prete e oggi Arcivescovo Metropolita in Ancona. Stavolta invece Pasquale Di Petta (molisano a Casoria) – con il conforto delle “Edizioni Universitarie Romane” – dà alle stampe “La guerra negli occhi di un bambino”.
Ma che titolo azzeccato! Soltanto lui – poeta, storico, preside, incantatore della Scuola – soltanto lui – Pasquale Di Petta – avrebbe potuto estrarlo da un sapiente cilindro magico. Perché a Colle d’Anchise (sua madrepatria), nel 1943/44, gli occhi del bambino, protagonista del libro, erano proprio i suoi. E perché lui – dopo un lungo “trastullare” didattico – ben sa che i fanciulli, sono i più bravi a vedere per la prima volta il mondo così com’è. Ad esplorarlo “con lo sguardo di un gigante”, e a scandagliarlo come in una bella canzone di Eros Ramazzotti. Con occhiate, cioè libere, gioiose e intrigate che permettono al ragazzo di entrare nelle realtà, percepirne bellezze e tristezze, e rilasciare, man mano, forme concrete di vita. E Pasquale le ha localizzate lì, a Colle d’Anchise, piccola periferia del mondo guerreggiata da tre eserciti contrapposti. Lì “dove l’umanità degli incontri tra il bambino e i soldati, ha acceso una fiamma di speranza e di fede per un mondo più bello”. Un sogno che, in questi giorni, sembra ancora al di là da venire.
Perciò, in questa epoca di perbenismo e indifferenza, non fa proprio male analizzare giorni di orrori e le mostruosità vissute, almeno per ricavarne una lieve lezione edificante di sapienza e ricchezza di esistenza.
Pasquale sparpaglia i suoi ricordi con una stesura nitida, profonda, efficace. Li ferma, ne scandisce le pause, li recupera, li rivive con una carica di identità. Punta con pienezza di sentimenti all’essenziale e si fa leggere con il gusto d’essere condotti e ricondotti nell’universo di allora: quello suo, quella della piccola Fabrizi di Cavarano divenuta scrittrice, quello mio. Perché nello stesso squarcio di vita io ero a Guardia e, idealmente adesso sono accanto a Pasquale, a Frabrizia, essendo anch’io del 1936! Siamo noi, dunque, i bimbi della guerra che, nella maturità degli anni, si sono anche accorti, ahimè, dell’avidità smoderata d’imperialismo, dell’asfissìa imposta a un collettivo libero respiro e delle follìe tiranniche sottovalutate allora anche dalle menti più illuminate.
Ventisei quadretti evocativi dipinti e allineati dalla penna di Pasquale in questo suo bel libro. E mentre ci stimolano a tirar su un sospiro a pieni polmoni perché – alla fine – noi bambini di allora, siamo riusciti a farcela; quelle nostre esperienze vissute, si affiancano adesso all’evento catastrofico della guerra in Ucraina che continua inesorabilmente a generare distruzioni, atrocità impensabili, perdite di vite umane, torture, violenze sferrate anche a migliaia di bambini, “per volontà demoniaca di feroci criminali” (Antonio Crecchia).
E mi sovviene ora l’ “expressio” di Shimon Peres, statista israeliano, gridato in una forte testimonianza per la pace tra ebrei e palestinesi: “nei gioco dei bambini e nello sport, uno solo vince senza uccidere, ma nella guerra si uccide e nessuno vince!”. E, prima di lui, John Fitzgeral Kenney, Presidente degli Stati Uniti, rivelò al mondo la sua autentica grandezza di statista, durante discorso pronunciato all’ONU nel 1961: “l’umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra pone fine all’umanità”.
E scopro sbalordito, in questo libro, la statura, la finezza e l’intellighenzia di Gilberto Di Petta, figlio di Pasquale e autore delle fascinose pagine introduttive. Ebbene, io fui stupìto in 2^ media dall’incredibilità contenuta in una forma letteraria, capace di rallegrare il cuore di un papà, offendendolo!
Ci venivano illustrati gli episodi salienti del VI Libro dell’Iliade: l’incontro tenerissimo di Ettore, l’eroe troiano, con Andromaca, sua sposa e con il figlioletto Astianatte. E lì che emerge la contrapposizione tra l’ètica femminile e l’orgoglio dell’uomo intrepido. Anteporre l’onore e la gloria maschilista e porre in secondo piano la famiglia? E, subito il prode Ettòrre, si tolse l’elmo e baciò l’adorato pargoletto, supplicando Zeus e i venerati numi: <fate che cresca questo mio figlio, gagliardo di forze. E regni sui sovrani e sul mondo; e che qualcuno un giorno di lui dica: “Non fu sì grande il padre!”>.
Vincenzo di Sabato