Il rinnovo della cucina molisana a Roma

Nelle recensioni su Tripadvisor, non manca chi scrive “Dall’Abruzzo con furore”. In realtà “Torcinello” di via Germanico 24/b a Roma, è molisanissimo, segno che la più piccola regione del nostro Mezzogiorno – con l’imperativo di “resistere” più che “non esistere” – ha tanto bisogno ancora di farsi conoscere e apprezzare. Nonostante dalla sua istituzione amministrativa siano trascorsi oltre 60 anni. Una vita. E in molti casi, vedi confusioni con l’Abruzzo, parrebbe invano.

La lunga storia della ristorazione molisana a Roma – e dell’enogastronomia della piccola regione in genere – è costellata di successi, ma anche di non poche afflizioni. Un po’ in linea con la terra d’origine, dal fascino unico ma anche travagliato.

Con i tantissimi “cugini” abruzzesi (i più di Schiavi d’Abruzzo, proprio al confine con il Molise), i cuochi provenienti soprattutto dalla provincia di Isernia hanno aperto molteplici locali a Roma, a partire principalmente dagli anni Sessanta, decennio di grandi migrazioni interne. Qualche anno fa se ne contavano un centinaio, sparsi in tutta la città, dalle trattorie nei quartieri più popolari – specie sulla Casilina e sulla Prenestina – fino ai ristoranti più blasonati, tra Roma Nord e i Castelli romani. Una conferma dei numeri è venuta da un’indagine promossa una decina di anni fa proprio da “Forche Caudine” con la Cna sui tanti operatori commerciali molisani nella Capitale.

Molti titolari di trattorie e ristoranti, nel tempo, sono rimasti orgogliosi dell’origine regionale sin dall’insegna adottata – tanti i richiami al Molise, storici ad esempio “Il King dei molisani” a viale Angelico o “Al cuore del Molise” a Monteverde – o dall’accenno a qualche piatto tipico, come quella scritta “Tacconelle molisane” che ha spiccato per decenni a due passi dal Vaticano (“Il Giardinaccio” a largo Cavalleggeri). Poi tutto un richiamo alla regione tra “I Molisani”, “Il Molisano”, “La Molisana”, “La Molisanella”, “Piacere Molise”, “Le Virtù molisane”, ecc.

In realtà, salvo poche eccezioni, di cucina autenticamente molisana se n’è vista poca. Sia per ragioni logistiche sia commerciali. Qualcuno utilizzava e utilizza qualche prodotto proveniente dal paese d’origine o dalle vicinanze, ad esempio gli innumerevoli formaggi e, in tempi più recenti, i tartufi. È il caso del ristorante “La Villetta” in via della Stazione Tuscolana ha primeggiano i formaggi di Colantuono o i tartufi di Frosolone. Mentre nella storica trattoria “Da Giovanni” in via della Lungara i latticini arrivavano direttamente da Bagnoli del Trigno. Ma si tratta di minoranze. I titolari confessano, seppur a malincuore, che l’enogastronomia molisana in generale è poco spendibile in locali generalisti. Meglio quindi i richiami alla cucina romana. O, specie in alcune zone turistiche, a quella internazionale.

Negli anni più recenti, molti locali, con la scomparsa del titolare, sono stati ceduti, chiusi e con il passaggio alle nuove generazioni il riferimento alle origini molisane è quasi del tutto scomparso. Del resto, se alla fine degli anni Settanta c’erano circa 30mila “romani” nati in realtà in Molise, oggi questi numero è sotto le 10mila unità. E continua a scendere.

Tuttavia l’evoluzione del settore promette bene e sta contaminando anche gli operatori molisani a Roma. L’imperativo è diversificare l’offerta, abbandonando quasi del tutto le vecchie trattorie e puntando in particolare sui bistrot in zone turistiche. Qualche giovane molisano giunto a Roma negli ultimi anni sta rilanciando il patrimonio enogastronomico regionale con nuove modalità, supportate anche dagli immancabili social.

Una delle ultime aperture è “Il Boia” a Trastevere (viale Trastevere 146), con un richiamo diretto al “caciocavallo impiccato”. Titolare del bistrot è il giovane campobassano Antonio Raffone, rinomato sommelier della birra, insieme ai soci Felice Raffone e Francesco Bufardeci. Nel nuovo locale, troneggia un patibolo in vetrina, dove i caciocavalli di Agnone vengono “impiccati” per essere squagliati su fette di pane abbrustolito e guarniti con ingredienti molisani, come la pampanella di San Martino in Pensilis. Ma non mancano anche “accompagnamenti” locali, come la porchetta di Ariccia.

Questi “presidi” del migliore Molise sono quanto mai importanti per la promozione regionale. Andrebbero premiati e supportati per ciò che rappresentano e per quanto fanno. Tanto più se si pensa ai tanti fondi regionali sperperati per mantenere in piedi “cattedrali nel deserto”, mentre Roma rappresenta un enorme potenziale bacino di visibilità per territori a due ore di auto dalla Capitale.

Un altro lodevole bistrot, operativo da cinque anni in via Germanico 24/b, non lontano dal Vaticano, è “Torcinello” di Ilaria e Fabrizio da Campobasso. Qui la molisanità è al 100 per cento, diventa quasi meritevolmente irredentista.

Gastronomia a colazione, pranzo e cena, panini, taglieri (con denominazioni attinte dalla geografia molisana, dal “Sangro” al “Trigno” fino a “Roccapipirozzi”). Nel menù, tra l’altro, le polpette cacio e ova, la pampanella, il caciocavallo alla piastra e, ovviamente, i torcinelli.

Non manca la vendita di numerosi e diversificati prodotti molisani: caciocavalli e scamorze Martella di Frosolone, salumi della provincia di Campobasso, olio tartufato, i mostaccioli, le ferratelle, le ostie ripiene e i ceppellati di Agnone e di Fossalto (ma anche, visto il periodo, il panettone alla mela zitella di Gerri di Agnone), le confetture Biosapori di Casacalenda, il Milk Pan Iannetta di Campobasso, l’immancabile vino Tintilia insieme ad altre proposte (tra cui la Falanghina), i prodotti del Birrificio del Volturno di Campochiaro, il caffè Cicchelli di Mirabello Sannitico, l’Amaro del Molise. Il tutto a disposizione anche per originali cesti natalizi.

Il proverbio sulla maglietta della titolare la dice lunga: “Vine ca zompa, pane ca canta, furmaggio ca chiagne”. La cultura molisana è servita.

Questi nuovi innesti imprenditoriali nel panorama capitolino lasciano ben sperare. Anche perché molti tentativi, soprattutto le rivendite di prodotti molisani, negli ultimi anni hanno rappresentato delle meteore. Sia perché hanno chiuso i battenti (da via dei Gracchi a via Rimini, da piazza Bologna a Cinecittà) sia perché hanno finito con il ridurre di numero i prodotti molisani preferendo altri fornitori, economicamente più convenienti.

Al di là degli accenni sul panorama storico dell’enogastronomia molisana a Roma, una cosa è certa: il Molise, amministrativamente sempre più a rischio estinzione, per salvarsi deve puntare proprio alla qualità delle sue produzioni. Nella cultura da esportazione vanno inclusi anche – se non soprattutto – i piaceri della tavola. Lo predichiamo da sempre. Qui habet aures audiendi, audiat.

(Giampiero Castellotti)

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