Lavorare, come in una favola senza tempo. In un castello del Trecento. O in un affascinante chiostro che richiama la regola benedettina dell’ora et labora. O in una sala di un palazzo ottocentesco. Definito, nei depliant, “casa speciale”, che sa tanto di cinematografia immersa in un ammaliante centro storico siciliano. Sono tutti esempi di perfetta armonia tra antico e moderno. Merito dello smart working, lo strumento tecnologico che ha accompagnato – e talvolta salvato – tante attività nel corso della pandemia da Covid. Anzi, al “South Working”, come l’hanno brillantemente chiamato qui, a Castelbuono, Castiddubbunu, poco più di ottomila anime sulle Madonie, le montagne in provincia di Palermo. Il lavoro da remoto, da queste parti, a poco più di 400 metri sul livello del mare, è in grado di sposare l’innovazione costruita da geni meridionali con la creatività e la passionalità del nostro Mezzogiorno.
Eccoli, allora, i tre funzionali coworking “Made in Sud” freschi di varo. Davvero di livello esclusivo per ubicazione, ambientazione ed entusiasmo. Offrono ai south workers un sistema WiFi avanzato – minino 20Mbps – con stampanti multifunzione, meeting room e un tool di prenotazione delle 20 postazioni disponibili. Il “lavoro agile” qui diventa “attività indimenticabile” grazie alla dimensione onirica del contesto.
Il laboratorio di questo meraviglioso angolo di Sicilia è frutto di una proficua partnership tra amministrazione comunale e associazione “South Working - Lavorare al Sud”, composta da giovani professionisti, manager e accademici. Pubblico e privato a braccetto per lanciare un’iniziativa che mira non soltanto a calamitare lavoratori indipendenti in grado di apprezzare una qualità della vita lontana dagli standard metropolitani (clima gradevole, enogastronomia d’eccellenza, fermento socioculturale, alto senso di ospitalità e di accoglienza degli abitanti e vita che costa meno), ma anche tanti siciliani costretti ad abbandonare la terra natale per cercare fortuna altrove. Una sorta di controesodo dei cervelli in fuga. Ogni distanza può essere annullata operando da remoto. E, assicurano i promotori, c’è un impatto positivo anche sulla produttività da lavoro autonomo ma scandita dal tempo di un orologio meccanico del 1885, ditta Isidoro Sommaruga, ubicazione in piazza Margherita sulla pubblica Torre dell’Orologio.
Il sito web dedicato, sw.ccncastelbuono.com, accorpa tutti gli elementi indispensabili per pianificare il proprio “South Working”, per provare questo presidio realmente ecosostenibile, con vista mare, parco naturale e aria pulita, un contesto naturale che restituisce valore anche all’ambiente di lavoro. La contaminazione culturale e professionale è assicurata. A supporto anche una serie di convenzioni, ad esempio con i ristoratori per pause pranzo gourmet, con strutture ricettive o con il Centro commerciale naturale, che ha concesso spazi pubblici per i coworking.
ESTRO E CORAGGIO – Tale sistema locale integrato, che si affaccia sul mondo, è un’occasione anche per far conoscere Castelnuovo e le Madonie ad ogni latitudine e per provare a rilanciare il territorio dopo le ferite inflitte dalla pandemia. Perché questo borgo medievale, ma anche il corollario, sa coniugare la straordinaria bellezza storico-monumentale, naturalistica e paesaggistica con una serie di iniziative – talvolta vere e proprie sfide – che lo hanno reso celebre a livello internazionale.
La più nota è la raccolta differenziata eseguita dal 2007 con asini – anzi, con placide asine dai nomi propri di donna – della pregiata razza ragusana, capaci di raggiungere i vicoli più stretti del paese. Nonostante qualche polemica sollevata da alcuni animalisti, è indubbio che il docile asino inquini meno di un mezzo gommato motorizzato, anche in termini acustici. Rappresenti, poi, il recupero dinamico di antiche tradizioni e sia in grado di coinvolgere maggiormente la popolazione, che diventa parte attiva di un processo partecipativo. Gli amministratori evidenziano soddisfatti di fare anche risparmiare alle casse pubbliche, almeno quattro volte in meno rispetto alla gestione di autoimpattatori. Inoltre a condurre gli asini ogni mattina per le vie di Castelbuono – il trasporto con animali coinvolge circa la metà del centro abitato – ci sono operatori che provengono da situazioni di disagio, apportando ulteriore valore sociale al progetto.
Una cosa è certa, come evidenziano orgogliosi gli amministratori: i dati della raccolta differenziata sono cresciuti anche grazie al somarello, allo sceccu come viene chiamato in siciliano, rendendo Castelbuono uno dei comuni isolani più virtuosi su questo fronte.
C’è di più: l’idea rappresenta un efficace strumento di marketing. Da anni le più importanti testate giornalistiche internazionali dedicano servizi a questo originale sistema di raccolta ed il web è pieno di video su tale eccentrico ritorno alle origini, con la perfetta integrazione tra uomo e animale.
Ma pronunciare il nome di Castelnuovo equivale anche a richiamare uno dei suoi brand più celebri, quello della famiglia Fiasconaro (www.fiasconaro.com), emblema dell’alta pasticceria siciliana e di una storia aziendale unica. Un’avventura partita nel 1953, quando Mario Fiasconaro ha iniziato a gestire una piccola gelateria nella piazza principale del paese. Epoca in cui il gelato si faceva con la neve e le creme offrivano sapori semplici ed essenziali.
I suoi tre figli, Fausto, Martino e Nicola, hanno imparato sin da bambini il mestiere e quando negli anni Novanta hanno preso in mano l’azienda, sono stati capaci di farle compiere quel salto di qualità che l’ha resa celebre anche fuori dai confini dell’isola. Gli agrumi, il miele, la frutta secca, la manna sono diventati gli ingredienti di veri e propri capolavori gastronomici.
La svolta è avvenuta, in particolare, grazie ad un’intuizione di Nicola, maestro pasticciere, che ha scelto di interpretare in chiave mediterranea il dolce più tradizionale del Nord Italia, il panettone.
Se oggi Fausto è responsabile dello showroom e Martino è a capo dell’amministrazione, Nicola accumula onorificenze per il ruolo svolto in questi anni di ambasciatore delle eccellenze siciliane nel mondo. Nel 2020 è stato incluso tra i 25 Cavalieri del Lavoro, premiato dal presidente Mattarella.
UN BORGO SORPRENDENTE – Il paese, del resto, è un’alternanza continua tra orgogliose evidenze storiche, anche enfatiche, e affascinanti luoghi da scoprire.
È palese, ad esempio, il dominio scenografico dell’imponente castello arabo-normanno, restaurato nel 1997 e oggi sede del museo civico con la meravigliosa Cappella Palatina di Sant’Anna, trionfo di stucchi. Far risaltare ogni cosa, qui, è un imperativo ineludibile. Il maniero fu voluto nel 1317 dal conte Francesco I Ventimiglia, la famiglia di origine ligure – imparentata con l’imperatore Federico II – che ha caratterizzato il destino di questo angolo di Sicilia fino al XX secolo.
Anche la quattrocentesca fontana della Venere Ciprea (“Quattru Cannola”), apoteosi dei miti di Venere, fa bella mostra di sé proprio nel cuore di Castelbuono, nel corso principale, al centro della cosiddetta “terra vecchia”.
Esplicito pure il peso della fede nel cammino della comunità locale, materializzato in ben diciotto congregazioni religiose e nella ventina di chiese: pregevoli, tra le altre, la Matrice Vecchia, con ciborio quattrocentesco e polittico del 1520, e la Matrice Nuova, con ostensorio del XVI secolo. L’organo di Castelbuono, del 1547, è il più antico della Sicilia e il quinto in Europa.
Ma se la religiosità ha nella festa patronale per Sant’Anna la sua ostentata celebrazione, la tradizione più antica e forse più sentita è decisamente laica: si tratta delle “Maschere”, parodie teatrali, a carattere fortemente satirico, messe in scena nel periodo carnascialesco. Laicismo che ha un altro presidio nel Museo del Risorgimento.
In questo gioco sottile del simulato e del dissimulato, se l’importante Museo naturalistico “Francesco Minà Palumbo”, all’interno dell’ex Convento di San Francesco, è una miniera di informazioni da disseppellire per carpire i segreti delle Madonie, è ancora meno evidente il fraxinus ornus, l’albero da sughero che costituisce una vera e propria rivelazione per i più curiosi a caccia di singolarità. Si tratta di un genere di frassino da cui pendono piccole stalattite biancastre dal sapore dolciastro: è la manna cosiddetta “cannolo”, la linfa che un tempo era sinonimo di opulenza. Sì, proprio quella che i Re Magi portarono in dono a Gesù. Seccata, viene ancora utilizzata come dolcificante e lassativo. Oggi conserva lo status di prodotto di nicchia, quella più preziosa costa anche duemila euro al chilo, benché necessiti di continuo supporto per la sua salvaguardia.
Per compiere l’ennesima scoperta c’è da spostarsi di circa sette chilometri dal centro abitato: in contrada Piano Castagna si gode di uno dei più intriganti panorama non solo su Castelbuono e sulle Madonie, ma anche sul Mar Tirreno e sulle isole Eolie. Apoteosi siciliana.
L’ennesima fusione di esplorato e inesplorato è riscontrabile in “Putìa” (www.putia.eu), nome dialettale che indica la bottega. Si trattava proprio di un laboratorio per celebrare le autentiche produzioni locali, oggi diventato rete di artigiani e artisti “Made in Sicily” che coniugano tradizione e innovazione. Il concetto di tipicità è sottoposto a costante revisione: le strade inesplorate conducono verso nuovi linguaggi contemporanei, però con assoluta fedeltà ai materiali tipici della Sicilia, quali ceramica, corallo, pietra lavica, legni autoctoni, ecc.
CASTELBUONO, DI NOME E DI FATTO – In questi tempi di sapori ritrovati per addolcire esistenze spesso rese amare anche dalla pandemia, Castelbuono fa onore all’aggettivo inglobato nella sua denominazione attraverso un’offerta gastronomica degna della terra siciliana e delle Madonie. Del resto cultura ed enogastronomia costituiscono un binomio inscindibile.
Uno degli antipasti tipici delle Madonie è il “cacio all’argentiera”, formaggio fresco con aglio, olio, sale, pepe, origano e aceto. Oltre ad una ricca varietà di primi piatti che ricalcano la tradizione siciliana, alla carne “murata” a strati, arricchita con cipolle, patate e pomodori, alle cotolette all’aceto, alle polpette con finocchietti o ricotta, al pesce dove primeggiano gli involtini di pesce spada e le sarde a beccafico, ai funghi del Parco delle Madonie (come i “basilischi”), d’obbligo provare il “piscitello”, tipica pagnotta di pane, la frutta delle Madonie abbondante in ogni stagione (dall’uva agli agrumi, dai fichi ai gelsi, dalle fragole alle amarene), fino ai dolci, dove la fantasia non conosce limiti e le influenze arabe abbondano: oltre alla cassata, alla pasta di mandorle, ai mostaccioli, alle spumette di nocciole, tipici del posto sono la “Testa di Turco”, con cannella, limone e confettini colorati di zucchero, i “Cosi chini” (“cose piene”), biscotti a forma di fiore ricoperti di glassa bianca e i soliti confettini colorati di zucchero e i “Diavolicchi” ripieni di fichi. La ricotta, fresca e salata, è una componente frequente (eccezionali i cartocci alla ricotta di Sferruzza), così come il miele. Del panettone abbiamo già parlato. Per i biscotti il riferimento è Tumminello.
Altro capitolo particolarmente ricco è quello dei gelati, dei sorbetti e delle granite: il nome più noto è quello di Naselli, in piazza Margherita, soltanto zuccheri naturali siciliani, senza grassi idrogenati.
Infine una curiosità: tra i figli illustri di Castelbuono c’è Carmelo Abbate, nato nel borgo siciliano nel 1971, tra i maggiori giornalisti d’inchiesta: memorabili alcuni suoi servizi sulla criminalità , sul caporalato, sulla malasanità e sull’immigrazione clandestina. Tanti anche i libri che ha pubblicato per dare voce agli “ultimi”.
E’ la Sicilia che vogliamo
(Giampiero Castellotti)