Secondo la psicologia sociale il senso di comunità dell’essere umano deriva dal riconoscimento e dall’affermazione della propria identità che lo differenzia dall’altro, ma soprattutto dalla consapevolezza dell’appartenenza a gruppi sempre più ampi in cui riconosce chi gli è simile trovandovi sintonia di valori e comportamento.
Sigmund Freud soprattutto nei saggi “Al di là del principio del piacere” e “Psicologia delle masse e analisi dell’Io” sostiene che la forza che spinge l’uomo alla ricerca del piacere, della conoscenza e dei legami è la libido che può esprimersi nell’Eros come pulsione per il bene e la vita ma anche con il Thanatos ovvero il desiderio per il conflitto, la distruzione e la morte.
È chiaro a mio avviso il risalto che il grande psicanalista dà alla prima tendenza che non è solo una funzione dell’Io ma anche della razionalità e ci spinge a relazioni positive con gli altri come a creare gruppo e comunità che non dipendono solo dalle emozioni ma soprattutto dall’ ethos ovvero dalle norme di vita condivise.
Occorre, come sosteneva Immanuel Kant, una visione del mondo in cui la ragione sia capace di disciplinare gli impulsi negativi e violenti comunque presenti in ogni essere umano.
Secondo il sociologo Talcott Parsons l’interazione di fattori psicologici, sociali, culturali e simbolici costituisce l’elemento che dà significato alle azioni dei singoli e del gruppo.
Tutti i progressi fatti dall’umanità sul piano della cultura, del sapere, delle arti, della scienza e della civiltà si devono ai positivi rapporti umani e alla capacità di lavorare e agire in team per il bene comune.
Viviamo ora un passaggio difficile tra una società industriale abbastanza stabile nei principi e nelle strutture e quella tecnologica contemporanea in cui ancora non riusciamo a fissare con chiarezza riferimenti culturali e valoriali, forme istituzionali e modalità di convivenza con il rischio di definire normale e accettabile qualsiasi comportamento.
Le logiche della competizione, un attivismo esasperato all’arricchimento come al consumismo e aggregazioni sociali con scarsissima stabilità stanno creando una società in cui l’individualismo di matrice neoliberista genera persone prigioniere della solitudine e scarsamente propense ai legami collettivi.
C’è sicuramente anche la necessità di momenti di silenzio e di riflessione funzionali alla tranquillità dell’anima, come la chiamava Seneca; comunque la pandemia, l’utilizzo spropositato dei media ma in particolare delle nuove tecnologie telematiche hanno ingabbiato molti in sistemi di vita isolata e asociale che toccano soprattutto gli anziani sempre più abbandonati nelle loro case o in strutture dove è palese il disagio dell’assenza di rapporti umani, di affetti e perfino talora della cura alla persona.
Le relazioni virtuali hanno sicuramente il vantaggio di stabilire legami condividendo almeno in parte cultura, linguaggi e forme espressive anche a prescindere dalla distanza territoriale, ma mancano di mezzi efficaci per rapportarsi agli altri su un piano emotivo reale.
Il primo nucleo in cui si costruivano i legami di socializzazione e quelli dell’amore tra i suoi componenti era la famiglia che rappresentava la base del processo educativo sul piano culturale e affettivo.
Lì abbiamo imparato le prime regole per rapportarci agli altri e il rispetto loro dovuto.
Le definizioni e i modelli di famiglia oggi sono diversi e tuttavia è certo che ogni nucleo familiare coeso e forte rappresenta una ricchezza enorme per la società perché rende felici i suoi membri e ad esso ricorriamo in ogni situazione di disagio.
Dobbiamo capire allora che il disgregamento della famiglia porta inevitabilmente alla crisi della società.
Abbiamo per questo bisogno di politiche che ne tutelino la coesione e la qualità della vita dei suoi componenti e maturino in essi legami duraturi e profondi ispirati ai principi di solidarietà, altruismo e generosità.
La scuola, la parrocchia, le associazioni ricreative e sportive completavano poi il percorso della maturazione relazionale della persona.
In questi contesti abbiamo la necessità di comprendere che per evitare conflitti insormontabili nelle relazioni interpersonali dobbiamo curare il rispetto della dignità altrui in particolare nella comunicazione dove soprattutto sui social prevale nel confronto sempre più rancore e arroganza invece della delicatezza e del riguardo verso gli altri.
Con l’unico scopo di giungere con cattiveria alla denigrazione dell’operato altrui molti ormai assumono talora funzioni e ruoli impropri per i quali, non avendo alcuna competenza, sono assolutamente inadeguati.
In tali ambiti la costruzione dei legami di reciprocità segna il passo per la tendenza a vedere il rapporto con gli altri funzionale all’interesse personale o al semplice svago mentre avremmo davvero grande necessità di creare soprattutto tra le nuove generazioni una relazionalità fondata sul confronto, l’empatia e il rispetto che soli possono portarci a comunità solidali secondo il principio di fraternità così chiaramente definito da papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti”.
Riflettiamo in proposito al ruolo che può avere nel personale medico e paramedico non solo la preparazione ma soprattutto la cordialità nei riguardi di chi vive un problema choc nella sua salute e si trova ricoverato in ospedale senza la sicurezza del calore dei rapporti familiari.
A un atteggiamento positivo verso gli altri possono portarci solo le virtù dell’umiltà e dell’amore!
Ci sono esempi nella storia in cui la specie umana è stata capace di condividere tutto a livello comunitario.
Tale testimonianza ci è venuta incessantemente e continua ad essere avanzata tuttora da quelli che chiamiamo poveri perché probabilmente sono i soli a conoscere le necessità di chi vive nel bisogno.
Oggi, sempre più chiuse nell’individualismo, sono poche le persone davvero capaci di un tale atteggiamento di solidarietà.
L’intera struttura della nostra vita è costituita da legami relazionali che possono essere funzionali unicamente all’egoismo dei singoli, ma che invece diventano interattivi quando i nostri cervelli sono capaci di una sorta di sinapsi sociale in grado di porci in relazione di reciprocità con gli altri sul piano affettivo, educativo, lavorativo, religioso, politico e culturale.
La società è oggi prevalentemente caratterizzata da una concezione soggettivistica secondo la quale è importante cercare la ricchezza, il successo e la promozione dell’’immagine personale.
Molti ignorano il grande vantaggio di relazioni affettive e sociali autentiche per il benessere fisico e mentale della persona perché ne arricchiscono la riserva cognitiva e l’orizzonte culturale liberandola dalla depressione, da disturbi e malesseri fisici, sostenendola anche, secondo studi recenti, in malattie come l’Alzheimer.
Il rapporto positivo di amicizia crea in tutti noi sempre una piacevole sensazione di serenità.
Non è facile, ma noi dobbiamo porre alla base delle relazioni quanto c’insegna la psicologia positiva secondo la quale esse non possono tenersi guardando ad aspetti prevalentemente individuali, ma attivando il dono, la creatività, l’empatia, il perdono che sono meccanismi utili a innescare una condizione di benessere personale e sociale.
Quando manca nei rapporti umani il principio di reciprocità prevale in noi quello che Freud chiama il Thanatos che genera conflitti, contrasti, guerre, morte.
Siccome nella nostra società domina spesso l’irrazionalità nelle scelte, allora dobbiamo essere capaci di opporci a chi semina zizzania e soffoca il grano di cui abbiamo bisogno perché è la base della nostra esistenza.
Uscire pertanto dai legami unicamente economici del profitto, del dare e dell’avere è fondamentale perché permette di distaccarci dalle relazioni utilitaristiche guidandoci all’interattività del dono, aperti alle idee e al vissuto altrui e quindi capaci di realizzare il bene comune.
Vivere con gli altri in questa dimensione significa superare tensioni e stress trovando gratificazione nel contributo lavorativo, riflessivo e culturale che ci permette di esprimere e affermare le idee nelle quali crediamo, ma anche di fare sintesi tra le nostre e quelle altrui.
Allora entreremo in una connessione interattiva in grado di elaborare principi etici, politici, sociali condivisi e di realizzare strutture istituzionali e amministrative democratiche scelte in forme di partecipazione e decisione sempre più allargate.
Prendere parte alla vita sociale significa uscire dal riduzionismo del pensiero unico proprio di chi è convinto di essere il solo possessore della verità.
Certo, pur lavorando sempre con il dovuto rispetto degli altri, occorre comunque nel confronto orientare le decisioni nella scelta delle regole e delle finalità dei comportamenti collettivi per avere condizioni accettabili di una vita libera e serena.
Credo sia l’unico modo per riuscire a dare senso all’esistenza e futuro all’umanità.
(Umberto Berardo)